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Halloween e il fascino della paura

Halloween e il fascino della paura
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Marcello Delmondo
Redazione
Psicoterapeuta ad orientamento Psicoanalitico
Unobravo
Pubblicato il
24.10.2024

Può una zucca fare il giro del mondo? Di fatto è quanto accaduto a Jack O’Lantern, il leggendario personaggio che, partendo del mondo anglosassone e americano, è diventato in tutto il mondo simbolo della festa di Halloween. 

Il nome di questa ricorrenza deriva da All Hallows Eve, letteralmente “Vigilia di tutti i Santi”. 

Un ubriacone di nome Jack, troppo briccone per il paradiso ed escluso dall’inferno in virtù di un patto con il diavolo, è costretto a vagare con un tizzone di brace in una rapa. Da qui l’usanza di intagliare zucche con sembianze di volti umani e riempirle di luci.

Cosa ha a che fare questo personaggio con la festa cristiana di Ognissanti e le numerose tradizioni che celebrano il rapporto con l’aldilà in tutto il mondo? Proveremo a scoprirlo cercando di capire ragioni antropologiche, psicologiche, economiche e culturali che hanno portato una zucca a girare il mondo.

Perchè si festeggia Halloween? Storia e tradizioni dal mondo

Lo storico Rogers (2002) ricollega la festa di Halloween alla festa celtica di Samhain, celebrata nello stesso periodo dell’anno. Come molto spesso capitava nella cultura contadina, nella quale il rapporto con la stagionalità era fondamentale, i momenti di passaggio tra le stagioni erano accompagnati da feste che fungevano da ringraziamento o rito propiziatorio, come la festa per la mietitura o la vendemmia e i nuovi fuochi per accogliere l’autunno ringraziando per l’assenza di grandinate. 

Sullo sfondo il continuo rapporto tra vita e morte. Nella cultura celtica con Samhain si celebrava il passaggio dalla stagione luminosa a quella buia (Le Goff, 1981; Cardini, 1981), momento dell’anno in cui i morti potevano tornare alle proprie abitazioni per riscaldarsi e beneficiare dei pasti preparati dai familiari. 

Nello stesso periodo anche streghe fate e folletti circolavano approfittando delle ore di buio sempre maggiori. 

Nonostante ci siano sovrapposizioni tra le due feste, compresa l’usanza di travestirsi e l’atmosfera di gioco, non siamo certi che vi sia continuità tra le due celebrazioni (Resta, 2019). Viste le testimonianze storiche frammentarie, non si può escludere che la ricorrenza celtica abbia avuto influenze anche sulla festa cristiana di Ognissanti. 

Andando oltre le connessioni tra queste ricorrenze, è interessante notare come in ogni società sembra esserci uno spazio di confronto e celebrazione del mondo dei morti. 

In Messico, per esempio, durante i Día de los Muertos si consumano i tradizionali pani dei morti e le calaveras (teschi) di zucchero e cioccolato (Di Matteo, 2015). 

Mangiare in occasione della celebrazione della morte potrebbe apparire strano, ma già nell’antichità romana era una consuetudine. Durante i refrigerium si allestivano nei pressi dei sepolcri, dei banchetti che prevedevano non solo la consumazione, ma anche l’offerta di cibo e bevande, tramite immissione all’interno delle tombe (Resta, 2019).

A partire da questi riti, passando per il romanzo Dracula di Bram Stoker, proseguendo a tempo di musica con gli zombie ballerini di Thriller, singolo del 1982 di Michael Jackson, fino ad arrivare ai moderni horror, l’uomo ha necessità di interrogarsi sul limite ultimo. 

Vita e morte nel loro intreccio ci spaventano, interrogano e affascinano fin da quando abitavamo le caverne. La luce che filtra dal ghigno intagliato di una zucca è una testimonianza di questo legame.

dìa de los muertos
Israyosoy S. - Pexels

La celebrazione della morte

Che sia tramite la speranza di consolazione nell’aldilà come nella cultura cristiana, o tramite l’accettazione del limite ultimo come eventualità ineludibile tipico della cultura messicana (Di Matteo, 2015), la celebrazione della morte è un bisogno psicologico fondamentale.

Come essere umani sentiamo il bisogno di confrontarci con questo tema a livello individuale e collettivo. Ci siamo resi conto durante la pandemia di quanto sia stato doloroso non poter salutare le salme dei defunti e celebrare a pieno i riti funebri. Ricostruire un significato condiviso diviene fondamentale nell’affrontare il dolore del lutto.

La tradizione culturale e religiosa fornisce comunque riti e prescrizioni su cui l’individuo può provare a modellare e cadenzare i tempi e le vicissitudini del proprio “lutto psichico” (Neri, 2002).

Già negli anni ‘20 del Novecento, lo psichiatra e psicoanalista ungherese Sándor Ferenczi nella sua opera Thalassa, paragonava i funerali alle assemblee del sonno, particolari riti che alcuni animali eseguono raggruppandosi e stringendosi gli uni agli altri.

Possiamo immaginare che in feste come Halloween, giocare e scherzare con ciò che ci spaventa, condividere con altri l’attrazione per qualcosa che diversamente si considera macabro e stravagante, assuma un valore e un significato collettivo e sociale

Pensare alla morte da soli può spaventare, ma giocare insieme agli altri su questa tematica, che mobilita emozioni intense, diviene più maneggiabile. La condivisione di pratiche porta così a sentirsi parte di un gruppo, di una comunità immaginata, concetto introdotto negli anni Ottanta dal filosofo Anderson.

La ricerca della paura

La paura è un’emozione ampiamente studiata eppure ancora discussa. Uno dei massimi studiosi di questa emozione, il neuroscienziato LeDoux, in un interessante articolo (2018), cerca di fare chiarezza sulla questione. Effettua infatti una importante distinzione tra due processi ben separati:

  • percezione della minaccia: quando la corteccia visiva recepisce un input minaccioso, si attiva l’amigdala che è responsabile della risposta fisiologica comportamentale, cioè l’aumento del battito cardiaco e la predisposizione fisica alla reazione di attacco-fuga
  • sensazione di paura: interviene un’altra area del cervello, la neocorteccia, che è responsabile della consapevolezza di quanto si sta provando.

Seguendo questa distinzione teorica potremmo arrivare alla conclusione che l’attrazione per i film horror e i thriller, il salire sulle montagne russe o l’entrare nelle case degli specchi equivale ad esporsi in maniera controllata a una minaccia. Ma perché tendiamo a farlo?

  • necessità di obiettivazione: osservare, descrivere, identificare un’emozione diviene un modo per controllarla (Comi, 2018)
  • necessità di narrazione: provare soddisfazione nel narrare la situazione affrontata (Delpierre & Reduzzi, 1976). Quante volte ci capita di raccontare ravvivando l’adrenalina, ma anche un po’ l’autostima, la visione del film horror o della corsa sulla giostra?
  • necessità di educare e trasmettere norme sociali, religiose, culturali rinsaldando l’appartenenza a un gruppo. Nel passato, davanti alle danze macabre dipinte sulle chiese di tutta Europa anche le persone che non sapevano leggere potevano familiarizzare con concetti religiosi, ma anche con la dimensione della morte e dei precetti di vita
  • necessità di entrare in contatto con paure ancestrali: malattia mentale, trasformazione del corpo, il non noto, ciò che non è umano, paura della morte, la propria aggressività. Questa ecessità può rinforzarsi in particolari contesti storici e sociali come quello odierno, segnato da angosce per catastrofe ecologica, terrorismo e pandemie (Gili, 2011).

Appare dunque complesso spiegare perché ci esponiamo volontariamente a una minaccia. La dimensione di volontarietà e controllo potrebbe farci sentire al sicuro, come se si trattasse di un esperimento, di una sorta di allenamento al quale scegliamo di sottoporci.

ricerca della paura
Pixabay

Il fascino di Halloween e delle situazioni spaventose: problema di senso?  

Sorge dunque spontaneo domandarsi cosa rappresenta la festa di Halloween.

Già in epoca latina durante i parentalia, che si festeggiavano nel mese di febbraio, dopo aver reso onore ai defunti le persone si lasciavano andare a danze e banchetti (Resta, 2019). La celebrazione della morte e del rapporto tra aldilà e aldiquà sono dunque una costante dell’esistenza umana. Perchè? 

Può aiutarci a rispondere a questa domanda la Terror Management Theory formulata da  Greenberg, Pyszczynski e Solomon (1986) sulla base della riflessione filosofico antropologica di Ernest Becker. 

L’uomo condivide con tutti gli altri animali l’istinto di sopravvivenza. Si differenzia, tuttavia, per la consapevolezza del limite ultimo: sa di essere mortale. Questa certezza genererebbe un’angoscia di fondo che spingerebbe alla ricerca di visioni del mondo capaci di dare un senso più profondo all’esistenza minacciata dalla mortalità. 

Autostima e adesione rigida a visioni del mondo come quelle basata sulla fede, sarebbero necessarie a raccontarci di essere qualcosa in più di animali legati a un preciso ciclo biologico. 

“Voglio trovare un senso a questa vita anche se questa vita un senso non ce l’ha” con le parole di Vasco Rossi. Un problema di senso, dunque, sarebbe alla base del nostro flirt continuo con tutto ciò che è legato alla morte, al terrore, all’ignoto e all’orrorifico. 

Niente paura, per trovare una soluzione basta guardare ai bambini. Loro vi direbbero “giochiamoci su”. Trasformare dubbi così profondi sulla morte e il post-morte in una festa giocosa, permette quasi la catarsi. Allo stesso modo, nell’antica tragedia, assistere a qualcosa di drammatico permetteva di alleggerirsi di diversi pesi: “non sono il solo a pensare ad una cosa tanto stravagante, macabra, grottesca, aggressiva o aberrante, fortunatamente non è capitata a me ma al protagonista del racconto”. 

Da un punto di vista psicologico è un po’ come se, nei rituali come quello di Halloween, ci si esponesse alla minaccia in maniera controllata, si rientrasse nella zona di comfort sicura della realtà rendendosi conto di essere sopravvissuti e di avere le risorse per affrontare quel contesto così spaventoso. Una sorta di terapia di desensibilizzazione (LeDoux, 2018). 

Quante esperienze i bambini iniziano a conoscere in questo modo attraverso il gioco e il far finta? Ci si espone alle emozioni, le si riconosce, le si tollera e si impara a regolarle.  

Questo accade anche con film, video, spettacoli, motivo per il quale gli eventi di Halloween continuano a proliferare e l’horror riscuote sempre più successo.

Halloween come momento per esorcizzare la morte

Semel in anno licet insanire: una volta all’anno è lecito uscire di senno, ripetevano i latini in occasioni dei Trionfi. Erano situazioni particolari, riprese poi dalla tradizione carnevalesca, in cui si potevano sovvertire le comuni gerarchie sociali. 

Ci si poteva prendere gioco di condottieri e imperatori, rompere lo status quo attraverso il gioco e la fantasia. Si festeggiava fingendo di essere chi normalmente non si era, predisponendosi al rientro nei ranghi della quotidianità e al ritorno al rispetto dei ruoli e norme sociali. 

A proposito di film thriller e dell’orrore viene in mente la pellicola La notte del giudizio (2013) in cui in un futuro distopico, per una notte all’anno, il governo degli Stati Uniti sospende i servizi sanitari e di polizia per permettere lo sfogo delle frustrazioni attraverso la sospensione completa delle regole: tutto è permesso, omicidio compreso. 

Possiamo immaginare che anche per Halloween si attivi qualcosa di simile nello spazio sicuro e controllato del gioco. Morte, aggressività, demoni, fantasmi, bene e male si animano ed entrano in scena.  Il potere da mettere in discussione è però quello della morte.

Delumeau (2018) descrive le usanze superstiziose dei contadini in Francia, i quali tenevano con sé occhi o denti di lupo. Un po’ come se, per esorcizzare la paura, si cercasse di indossare l’elemento che spaventa. Questo potrebbe dare una risposta alla domanda: perchè ad Halloween ci si traveste? 

Delumeau (2018) osserva ancora come la presenza delle maschere è una costante nei rituali che esorcizzano la paura, per esempio nella cultura africana. La maschera diviene espressione, difesa e strumento di diffusione della paura. Si possono così incontrare l’ignoto legato agli animali della foresta, al loro spirito arrabbiato, a creature spaventose di cui si narra l’esistenza, ai morti, agli elementi naturali ma anche all’aggressività umana nelle sue forme più violente sadiche e cannibaliche. 

Halloween e bambini
Yaroslav Shuraev - Pexels

L’importanza di Halloween per i bambini

Tradizione importata o macchina commerciale, la festa di Halloween ha preso piede nel nostro paese. Una riflessione particolare la merita il rapporto che questa festività ha con l’infanzia. 

In una società in cui parlare di morte ai bambini è diventato tabù, un momento in cui a livello di gruppo è possibile giocare con ciò che spaventa può essere prezioso. 

Attraverso il gioco e il far finta si scopre infatti che una certa situazione può essere affrontata e superata senza pericolo. In uno spazio protetto si fa esperienza di un’emozione, si impara a riconoscerla, nominarla, tollerarla e in definitiva regolarla. Come nel travestimento carnevalesco si fanno i conti con i poteri del bene e del male favorendo l’integrazione di valori morali. 

Psicologia ed elaborazione del lutto

In questo contesto, la psicologia può dare il proprio supporto per:

  • favorire la narrazione di emozioni come la paura e i discorsi intorno al limite e alla morte promuovendo la death education
  • contribuire alla elaborazione del lutto. Il lutto è un processo normale che può tuttavia complicarsi dando luogo a vere e proprie patologie. Perdere una persona provoca fisiologicamente tristezza e una risposta emotiva e comportamentale che segue precise fasi. Rivolgersi a un professionista psicologo o psicoterapeuta può essere importante per favorire il processo di elaborazione utile ad analizzare pensieri, emozioni, vissuti evitando che la persona resti bloccata nell’assenza totale di senso e nella disperazione.

Morire di…paura

Al termine di questo viaggio di approfondimento su Halloween non resta che augurare a ognuno di trovare uno spazio adeguato per affrontare l’ancestrale rapporto con il limite estremo. 

La morte ci spaventa perché ci pone di fronte all’ignoto contro cui la nostra ragione non può nulla. Feste come Halloween ci permettono di ricomporre almeno parzialmente questo divario. 

Sotto il sangue finto, i denti da vampiro, le cicatrici da zombie giochiamo a morire… di paura!

Bibliografia

  • Cardini, F. (1983). I giorni del sacro. Il libro delle feste, Novara: Editoriale Nuova
  • Comi, A. (2008). Fear, Sin and Guilty. Review of Jean Delumeau, Sin and Fear: The Emergence of the Western Guilt Culture, 13Th-18th Centuries. Governare la paura. Journal of interdisciplinary studies
  • Delpierre, G., & Reduzzi, F. (1976). La paura e l'essere. Roma: Il pensiero scientifico
  • Delumeau, J. (2018). La paura in Occidente: storia della paura nell'età moderna. Milano: Il Saggiatore
  • Di Matteo, A. (2015). Pane dei morti, pane di vita. Una conversazione con Gloria Corica in occasione della pubblicazione di Pan del alma. Altre Modernità, (13), 186-190
  • Ferenczi, S. (1934). Thalassa: A theory of genitality. The Psychoanalytic Quarterly, 3(1), 1-29
  • Gili, G. (2011). Media e violenza: perché guardiamo?. Spazio Filosofico, 323-332
  • Greenberg, J., Pyszczynski, T., & Solomon, S. (1986). The causes and consequences of a need for self-esteem: A terror management theory. Public self and private self,  189-212. New York, NY: Springer 
  • LeDoux, J. (2018). Abbiamo equivocato i concetti di paura e ansia?. PNEI review: rivista della Società Italiana di Psiconeuroendocrinoimmunologia: 2, 2018, 5-21
  • Le Goff, J. (2013). La civiltà dell’Occidente medievale, Torino: Piccola Biblioteca Einaudi
  • Le Guay, D. (2004). La faccia nascosta di Halloween. Come la festa della zucca ha sconfitto Tutti i Santi. Torino: Elledici 
  • Neri, C. (2002). La condivisione del dolore. Quaderni di Psicoterapia Infantile, 44(8)
  • Resta, M. (2019). Ognissanti versus Halloween: note sulle origini storiche di un conflitto reale e virtuale in Italia. Sanctorum. Scritture, pratiche, immagini, 95-107
  • Rogers, N., (2002). Halloween. From Pagan Ritual to Party Night. Oxford: Oxford University Press.

Questo è un contenuto divulgativo e non sostituisce la diagnosi di un professionista. Articolo revisionato dalla nostra redazione clinica

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