Abbiamo tutti dentro un mondo di cose: ciascuno un suo mondo di cose! E come possiamo intenderci, signore, se nelle parole ch'io dico metto il senso e il valore delle cose come sono dentro di me; mentre chi le ascolta, inevitabilmente le assume col senso e col valore che hanno per sé, del mondo com'egli l'ha dentro? Crediamo di intenderci; non ci intendiamo mai!
Luigi Pirandello, Sei personaggi in cerca d’autore; Enrico IV
Questa riflessione pirandelliana, apparentemente pessimista, mette in luce un tema centrale in Follemente: la difficoltà dell’incontro autentico tra persone. Ogni essere umano porta con sé un universo interiore complesso, fatto di esperienze, convinzioni, paure e desideri che modellano la percezione di sé, del mondo e dell’altro. Eppure, nonostante questa irriducibile soggettività, l’incontro è possibile? Possiamo davvero comprenderci al di là delle nostre costruzioni mentali?
Follemente, il film diretto da Paolo Genovese e uscito nelle sale il 20 febbraio 2025, non è solo una commedia romantica, ma una sofisticata esplorazione delle dinamiche relazionali e della mente umana attraverso una lente psicologica profonda.
Immagine di copertina: copyright Lotus Production.
La co-costruzione della realtà
La pellicola racconta il primo incontro tra Lara (Pilar Fogliati) e Piero (Edoardo Leo), due persone che, come tutti, non si presentano all’appuntamento da soli. Oltre a loro, infatti, ci sono le loro voci interiori, le personalità che abitano la loro psiche e che dialogano, dibattono, si scontrano nel tentativo di guidare le loro scelte.
Il film si sviluppa come un viaggio attraverso le sfumature più profonde della mente dentro e fuori i personaggi e delle emozioni, in cui ogni pensiero, insicurezza e desiderio prende forma concreta e diventa un personaggio a sé stante.
Questa rappresentazione cinematografica non è solo una trovata creativa, ma una vera e propria metafora della co-costruzione della realtà e dell’irriducibile complessità delle relazioni umane. Se ogni individuo porta con sé un proprio linguaggio interno, fatto di emozioni, esperienze e significati unici, allora ogni incontro diventa un atto di traduzione continua, un tentativo di far dialogare mondi distinti.
Universi che creano multiversi di significato. Follemente offre quindi uno spunto di riflessione su come i nostri schemi mentali e le nostre esperienze passate, intrecciati ai frammenti di relazioni, incontri ed emozioni che ci hanno attraversato, influenzino la percezione di noi stessi, dell’altro, del mondo e la possibilità stessa dell’incontro.
Lara e Piero: due anime in cerca di equilibrio tra passato e presente
Lara è una donna brillante e indipendente, ma segnata da una relazione, che definisce tossica, che ha lasciato il segno nella sua capacità di fidarsi degli altri. È una persona che ha imparato a proteggersi dietro un’armatura di sicurezza apparente, mentre dentro di sé convivono voci che oscillano tra il desiderio di libertà e il bisogno di controllo.
Piero, invece, è un insegnante di storia e filosofia, padre divorziato con una figlia che adora, ma anche un uomo che ha sviluppato un’ironia difensiva per mascherare le proprie insicurezze. È una persona che cerca stabilità, ma che, di fronte a Lara, si ritrova a fare i conti con il suo lato più imprevedibile e romantico.
È proprio qui che il film si distingue: invece di raccontare semplicemente una storia d’amore, Follemente mette in scena la battaglia tra le diverse parti di sé che emergono quando cerchiamo di aprirci a qualcuno di nuovo.
Il coraggio di conoscersi: oltre la comprensione, la trasformazione
In questo contesto, emerge un concetto chiave della psicologia costruttivista: il coraggio di conoscere. Se ogni incontro rappresenta un’opportunità di trasformazione, implica anche il rischio di confrontarsi con la propria vulnerabilità e di mettere in discussione le proprie certezze.
Questo è un aspetto spesso trascurato delle relazioni umane: non solo cerchiamo di capire l’altro, ma inevitabilmente ci troviamo a rinegoziare la nostra stessa identità, di comprendere e non più solo capire. Come osservava Bannister (1980), la psicologia dei costrutti personali non si limita a descrivere il modo in cui percepiamo il mondo, ma ci invita a considerare il nostro ruolo attivo nella costruzione della realtà.
In questo senso, Follemente diventa un film che non solo racconta un primo appuntamento, ma anche il coraggio di mettere in discussione i propri schemi, di immergersi in nuove prospettive e di accettare che la comprensione dell’altro non sia mai un processo immediato, bensì una sfida e un lavoro costante.
I protagonisti, infatti, non si limitano a conoscersi, ma sperimentano il loro stesso modo di conoscersi. Ogni voce interiore rappresenta una parte di sé che vuole emergere, ma che si scontra con le altre parti, creando un dialogo continuo tra passato e presente, tra desiderio e paura, tra apertura e resistenza.
Piero e Lara inventano un nuovo modo di scoprirsi: danno vita a un “pielar”, un laboratorio creativo di significati in cui le loro identità si mescolano, si scompongono e si ricostruiscono. Ogni voce interiore diventa un frammento di sé che chiede spazio, che lotta con le altre parti in un intreccio di tensioni, armonie, dissonanze in un processo di creazione di un’opera in divenire dove il senso di sé si plasma nel rapporto con l’altro.
Voci interiori e identità: il talk show segreto della nostra mente
Uno degli elementi più affascinanti di Follemente è la capacità di dare voce alla pluralità dell’Io, rendendo visibile la stratificazione dell’esperienza umana. Ma attenzione, perché se pensate di essere sempre e solo “voi stessi” nelle situazioni che vivete, il film è pronto a farvi cambiare idea!
Lara e Piero non sono mai soli: in ogni momento, il loro dialogo interiore diventa un vero e proprio talk show caotico, un’arena in cui voci contrastanti si interrompono, litigano, danno consigli non richiesti e, in alcuni casi, sabotano senza pietà le loro scelte. È come avere un’intera troupe televisiva nella propria testa, con il conduttore che cerca disperatamente di mantenere un minimo di ordine, ma ogni volta finisce per essere travolto dal caos.
Dentro Lara convivono anime diverse, ognuna con un volto e una voce ben precisa
- Scheggia, imprevedibile e istintiva, che scalpita per buttarsi senza troppi calcoli
- Giulietta, la parte romantica, che sogna di abbandonarsi completamente all’amore
- Alfa, razionale e metodica, sempre pronta a prendere il controllo
- Trilli, la forza più istintiva e sensuale, guidata dal desiderio di contatto fisico.
Anche Piero è abitato da un coro interiore in perenne conflitto:
- il Professore è la sua parte più rigida e severa, quella che impone regole e giudica ogni scelta
- Romeo è l’anima passionale, il lato sentimentale che anela alla connessione profonda
- Valium dà voce all’ansia e al pessimismo, frenando ogni slancio con il dubbio
- Eros richiama il corpo, il piacere, la dimensione più istintiva, rettiliana e carnale dell’essere: perché i sentimenti sono incarnati.
Nel loro incontro, tutte queste voci si intrecciano, si scontrano e si contaminano, trasformando il loro rapporto in un viaggio dentro se stessi e dentro l’altro. Questa dinamica non è solo una scelta narrativa geniale, ma una rappresentazione esilarante di ciò che avviene davvero nella mente umana.
Siamo esseri complessi, pieni di sfaccettature, e il film ce lo ricorda in modo ironico e spietatamente realista. Il punto, però, non è solo mostrarci quanto siamo contraddittori, ma farci riflettere su come ogni parte di noi abbia una sua funzione, un suo ruolo evolutivo.
Il vero viaggio interiore di Follemente non è nel cercare di eliminare queste voci, ma nel trovare un equilibrio tra loro. Perché alla fine, per vivere bene (e magari per riuscire a terminare un appuntamento senza autodistruggersi) bisogna imparare a dialogare con le proprie voci interiori e non lasciarsi sopraffare da esse. E se si riesce a ridere di questa battaglia interna, tanto meglio!
La coppia come un universo in evoluzione: tra connessioni e cambiamenti
Pensiamo di conoscerci, ma in realtà ci scopriamo solo nel confronto con l’altro. Nel momento in cui entriamo in relazione, iniziamo a ridefinirci, ci adattiamo, ci scopriamo diversi, mutiamo. La coppia, quindi, non è mai un’entità statica, ma un sistema in continuo divenire plasmato dalle interazioni reciproche e dalla rinegoziazione costante del significato, come nell’equazione d’onda del fisico Dirac.
Formulata nel 1928, questa equazione descrive il moto di alcuni tipi di particelle subatomiche postulando che due sistemi che interagiscono non possono più essere separati completamente. Anche quando si distanziano, qualcosa dell’altro resta.
Non siamo mai del tutto indipendenti dalle relazioni che abbiamo vissuto, e il film suggerisce proprio questo: ogni incontro ci modifica, lascia un’impronta, un’eco che persiste. Si può davvero separarsi senza perdersi? Si può totalmente rimanere fedeli a se stessi se vogliamo incontrare davvero qualcuno? O, come suggerisce la fisica quantistica applicata ai rapporti umani, rimaniamo connessi in modi che non possiamo sempre spiegare? È bello non poter spiegare tutto, e Follemente ci da questo senso di liberazione.
Ma se esiste una legge dell’amore, c’è anche la legge dell’imprevedibilità. Se ogni relazione è una storia in divenire, allora ogni interazione è un piccolo Big Bang, un’esplosione di possibilità, una riscrittura continua della nostra identità. Non possiamo sapere dove ci porterà, né se il cambiamento sarà un avvicinamento o una separazione. Ma ciò che possiamo sapere è che nessun incontro è mai neutro. Ogni parola, ogni gesto, ogni sguardo lascia una traccia. E questa traccia si sedimenta dentro di noi, riorganizzando il nostro modo di stare al mondo.
E allora, chi siamo quando amiamo? Siamo l’eco di ciò che siamo stati o il riflesso di ciò che possiamo diventare? Il film ci suggerisce che siamo entrambe le cose. L’amore non è solo un’illusione, né un semplice bisogno. È un continuo gioco di specchi, un equilibrio precario tra il desiderio di fusione e la paura di perdersi.
E forse, in fondo, il segreto sta proprio qui: nell’accettare che l’altro non sarà mai completamente nostro, così come noi non saremo mai completamente suoi, ma che nell’incontro, nella pura esperienza di esserci, qualcosa di più grande accade. Qualcosa che, come l’entanglement quantistico, non riducibile alla meccanica classica e alla semplicità, ci lega al di là dello spazio e del tempo.
E se fosse proprio questo il significato ultimo dell’amore? Non un possesso, non una certezza, ma una vibrazione che continua a risuonare dentro di noi, anche quando l’altro è lontano. Non è forse questo, dopotutto, che resta di ogni vero incontro? Una sorta di firma invisibile, un codice segreto, il prodotto di un pielar che, anche a distanza di anni, continua a raccontarci chi siamo stati e chi, forse, potremmo ancora essere?
Ogni relazione è un viaggio senza fine
L’incontro con l’altro non è mai un’esperienza neutra, e Follemente lo dimostra con brillante ironia e profondità, invitandoci a lasciare quello spazio di “non conoscenza” e di libertà, un po’ come a dirci: “Se te lo spiegano capisci, ma se lo senti, lo sai”. Ogni relazione, anche la più fugace, porta con sé un potenziale trasformativo: non siamo mai gli stessi dopo aver conosciuto davvero qualcuno.
Piero e Lara iniziano la loro serata con convinzioni ben definite, ma mentre le ore passano e il dialogo si intensifica, i loro mondi interni si rimescolano, le loro certezze si sgretolano, le loro voci interiori, prima così dogmatiche, si contaminano a vicenda.
E allora viene da chiedersi: quanto siamo disposti a cambiare per incontrare l’altro? E quanto l’altro cambia inevitabilmente noi, anche senza volerlo? L’identità non è un monolite immutabile, ma un fluido in perenne ridefinizione, plasmato dall’interazione, dall’ascolto, dal dubbio e dalla sorpresa. Siamo costantemente co-creati dalle relazioni che viviamo, e siamo agglomerati di relazioni ed esperienze che camminano nel mondo, per sempre.
Ogni persona che incontriamo è un nuovo punto di vista sul mondo e su noi stessi, uno specchio deformante che ci permette di vedere angoli inesplorati del nostro essere. L’altro è, in un certo senso, una porta che si apre su una stanza che non sapevamo di avere dentro in un processo senza fine, sino all’ultimo giorno.
Il film ci fa riflettere su questa danza perpetua dell’identità e dell’amore: ci avviciniamo, ci sfioriamo, a volte ci allontaniamo, ma qualcosa rimane. Come nell’equazione di Dirac, due particelle che interagiscono rimangono legate per sempre, anche se separate nello spazio e nel tempo. Forse questo vale anche per le persone. A noi piace pensare di si. Forse ogni relazione significativa lascia un’impronta indelebile, una vibrazione che continua a risuonare dentro di noi, anche quando pensiamo di aver voltato pagina.
E se fosse proprio questo il senso più profondo di amare? Non avremo risposte, e così ci piace. Non il possesso, non la certezza, ma l’esperienza viva di lasciarsi attraversare dall’altro e dall’esperienza, permettendo a qualcosa di nuovo di nascere in noi e donare parti di noi. Forse non esiste un vero addio, forse non esiste una separazione definitiva: esistono solo nuove forme dell’essere con l’altro, attraverso l’altro, grazie all’altro. In questo senso, l’amore non è mai un punto di arrivo, ma sempre un processo in divenire, una continua riscrittura del nostro stesso modo di esistere nel mondo.