Quiet quitting: la rivoluzione silenziosa che sta cambiando il mondo del lavoro

Quiet quitting: la rivoluzione silenziosa che sta cambiando il mondo del lavoro
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Antonio Dessì
Redazione
Psicologo ad orientamento Cognitivo-Costruttivista
Unobravo
Articolo revisionato dalla nostra redazione clinica
Pubblicato il
8.1.2025
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Il quiet quitting è molto più di una semplice tendenza: rappresenta un cambiamento profondo nel modo in cui le persone affrontano il loro rapporto con il lavoro. 

Questa “dimissione silenziosa” non implica un abbandono fisico del posto di lavoro, ma un rifiuto consapevole di dedicarsi a mansioni extra non previste dal contratto di lavoro. Durante la pandemia, il quiet quitting ha ricevuto particolare attenzione poiché molte persone hanno riconsiderato il ruolo del lavoro nella loro vita, ponendo al centro il benessere personale e relazionale (Harter, 2022).

Studi recenti, come quello condotto da Gallup nel 2022, mostrano che il tasso globale di coinvolgimento sul lavoro è solo del 21%. Questo dato scende ulteriormente in Europa, dove l’engagement medio è del 14%, con l’Italia che registra il valore più basso, pari a un preoccupante 4%. 

Tali numeri mettono in evidenza una crisi strutturale nel rapporto tra datore di lavoro e dipendenti, che richiede un’analisi approfondita e strategie di intervento mirate. Il fenomeno del quiet quitting riflette un malessere legato alla cultura organizzativa, alle dinamiche di potere e alla hustle culture

Quest’ultima ha imposto per anni un modello lavorativo basato sull’iperproduttività e sul sacrificio personale, spesso a scapito della salute mentale e dell’equilibrio vita-lavoro (Mardiana et al., 2023). Il quiet quitting non va inteso come pigrizia o svogliatezza (Bellante, 2023), ma come una strategia consapevole per gestire il burnout e le aspettative irrealistiche. 

Questo articolo esplora cos’è il quiet quitting, le cause, le implicazioni e le possibili soluzioni di questo fenomeno, integrando contributi di ricerca scientifica in ambito di psicologia del lavoro ed economia e dati recenti.

Quiet quitting: cos’è?

Il termine quiet quitting, che potrebbe essere descritto in italiano come “abbandono silenzioso”, descrive generalmente un distacco emotivo e psicologico dal lavoro. I lavoratori si limitano a svolgere il minimo richiesto, senza investire ulteriori energie in compiti straordinari. 

Questo fenomeno non si riferisce solo al lavoro: si può parlare anche di quiet quitting nelle relazioni, riferendosi a quelle situazioni nelle quali un partner tende a riporre sempre meno impegno in termini emotivi, di comunicazione e fisici nella relazione con l’altra persona.

Il quiet quitting nel lavoro si distingue dalle cosiddette “grandi dimissioni” o great resignation che, invece, stanno comportando una separazione fisica dall’organizzazione lavorativa tramite dimissioni volontarie. Mentre il quiet quitting rappresenta una forma di resistenza interna e silenziosa, il fenomeno delle “grandi dimissioni” riflette un cambiamento radicale in cui i lavoratori lasciano il loro impiego per cercare opportunità migliori o per motivi personali.

La cultura dell’iperproduttività ha un effetto negativo sul benessere psicologico, aumentando i livelli di stress, ansia e deflessioni dell’umore. Le lunghe ore di lavoro, il sovraccarico di compiti e l'elevata pressione in termini di aspettative, contribuiscono a peggiorare il benessere mentale dei lavoratori (Mardiana et al., 2023). 

Il quiet quitting è particolarmente comune tra i Millennials e la Generazione Z, che tendono ad attribuire maggiore valore all’equilibrio vita-lavoro rispetto alle generazioni precedenti (Pew Research Center, 2022). 

Questo fenomeno è spesso il risultato di una percezione di ingiustizia organizzativa, nella quale il contributo del lavoratore non è adeguatamente riconosciuto o valorizzato (Greenberg, 1987). Mardiana et al. (2023) aggiungono che il linguaggio motivazionale della hustle culture, basato sull’idea che “più lavoro equivale a più successo”, ha contribuito a creare un ambiente tossico in cui molti lavoratori non riescono più a identificarsi.

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*Non ha valore diagnostico e non sostituisce una diagnosi professionale

Quando nasce il quiet quitting?

Il quiet quitting non è un fenomeno recente, ma una reazione a un modello lavorativo in crisi da decenni. Negli anni ’70, lo psicologo Walton (1973) sottolineava l’importanza della qualità della vita lavorativa come elemento essenziale per il successo aziendale. Tuttavia, l’ascesa della hustle culture ha ribaltato questo equilibrio, promuovendo l’idea che il lavoro debba essere al centro dell’identità personale (Sussman, 2012).

Durante la pandemia di Covid-19, molti lavoratori hanno sperimentato un cambiamento radicale nelle loro priorità. Il lavoro da remoto e lo smart working, pur offrendo flessibilità, hanno spesso accentuato il senso di isolamento e disconnessione, portando a un’ulteriore riflessione sul significato del proprio impiego (Harter, 2022). 

Il quiet quitting può essere letto come una risposta collettiva a un mercato del lavoro percepito come oppressivo, nel quale il contributo individuale è spesso sottovalutato o sfruttato (Zieba, 2023).

Yan Krukau - Pexels

Le cause del quiet quitting

Comprendere le cause delle dimissioni silenziose significa analizzare il contesto lavorativo moderno, spesso caratterizzato da stress cronico, talvolta aspettative irrealistiche e una cultura aziendale spesso poco attenta al benessere dei dipendenti. 

A questi fattori si è sommata la pandemia, che ha ulteriormente esacerbato queste problematiche, portando molte persone a rivalutare il loro rapporto con il lavoro e se stesse, così come il modo in cui investono tempo ed energia. 

Le cause del quiet quitting sono complesse e interconnesse, radicate sia in fattori individuali come il burnout e la percezione di ingiustizia, sia in problemi strutturali come la mancanza di crescita e riconoscimento all'interno delle organizzazioni. 

Analizziamo i principali fattori che contribuiscono a questo fenomeno:

  • burnout e stress cronico: il burnout è una delle principali cause che spingono i lavoratori verso il quiet quitting. Questa sindrome non è semplicemente il frutto di carichi eccessivi, ma anche di un ambiente lavorativo incapace di offrire il giusto supporto emotivo e di valorizzare il contributo individuale (Bellante, 2023). La mancanza di strategie aziendali per mitigare lo stress, come programmi di benessere o supporto psicologico, contribuisce a una spirale di disimpegno che può sfociare nel quiet quitting
  • avversione alla perdita e costi sommersi: Kahneman e Tversky (1991) hanno introdotto il concetto di "avversione alla perdita”, secondo cui gli individui tendono a rimanere in situazioni sfavorevoli per evitare di perdere ciò che hanno già investito. Questo fenomeno è particolarmente evidente nel contesto lavorativo, dove molti dipendenti rimangono intrappolati in ambienti tossici o insoddisfacenti, anche quando il lavoro non li soddisfa o peggiora il loro benessere. L’incapacità di uscire da questa trappola dei costi (sforzi) sommersi porterebbe a un disimpegno progressivo, poiché i lavoratori cercano di minimizzare ulteriori investimenti emotivi, riducendo il proprio impegno al minimo indispensabile. Questa dinamica non è solo psicologica, ma è alimentata anche dalla paura di non trovare alternative migliori, una condizione che diventa ancora più critica in contesti economici instabili
  • mancanza di riconoscimento e crescita: i lavoratori che si sentono sottovalutati o esclusi da opportunità di crescita percepiscono il proprio contributo come marginale e poco importante (Greenberg, 1987). Secondo il Pew Research Center (2022), un importante centro di ricerca statunitense, una delle principali ragioni per cui i lavoratori riducono il proprio impegno è la mancanza di possibilità di avanzamento e i vissuti emotivi legati all’esperienza di essere ignorati.
    Questa mancanza di riconoscimento non è solo economica, ma può riguardare anche aspetti più sottili, come l'apprezzamento del lavoro svolto e il rispetto per il tempo e le energie investite. Il quiet quitting in Italia è particolarmente frequente, poiché molti lavoratori lo mettono in atto per difendere il proprio equilibrio emotivo. Strategie volte a offrire percorsi di crescita chiari e riconoscimenti tangibili sono essenziali per contrastare questa tendenza.

Quiet quitting: strategie e consigli per lavoratori e aziende

Il quiet quitting rappresenta una sfida significativa sia per le aziende che per i lavoratori. 

Il disimpegno dei lavoratori tende a ridurre la produttività, ostacolare l’innovazione e compromettere la capacità di attrarre nuovi talenti. Questo fenomeno può generare un clima di sfiducia, influenzando negativamente la coesione e il morale del gruppo e dei singoli lavoratori (Zieba, 2023).

Secondo Harter (2022), il quiet quitting evidenzia una crisi di leadership. I manager incapaci di riconoscere i segnali di disimpegno rischiano di amplificare il problema, portando a un aumento del turnover e a costi significativi per la formazione di nuovi dipendenti. Questo richiede un cambio di paradigma nelle politiche di gestione del personale, con un focus maggiore sulla valorizzazione e il supporto dei dipendenti.

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Per i lavoratori

I lavoratori hanno un ruolo attivo nel gestire il proprio benessere e adottare strategie per prevenire il disimpegno. Un passo fondamentale è quello di stabilire confini chiari tra vita personale e lavoro, evitando di portare a casa il carico mentale delle attività lavorative. 

Un altro aspetto cruciale è cercare supporto psicologico o partecipare a programmi di crescita personale. Questi strumenti possono aiutare i lavoratori a identificare le fonti di stress e a sviluppare una maggiore resilienza emotiva. Il sostegno psicologico è particolarmente utile per affrontare il burnout e ripristinare il senso di equilibrio e  benessere lavorativo.

Inoltre, i lavoratori possono investire nello sviluppo personale e professionale, partecipando a corsi di formazione o migliorando le proprie competenze. Questo non solo apre nuove opportunità di crescita, ma aumenta anche il senso di realizzazione personale. La capacità di rivalutare regolarmente le proprie priorità e di pianificare obiettivi a breve e lungo termine è essenziale per mantenere la motivazione e il coinvolgimento.

Per le aziende

Le organizzazioni hanno la responsabilità di creare un ambiente lavorativo che promuova il benessere biopsicosociale e il coinvolgimento. Investire in politiche di benessere aziendale è il primo passo per affrontare il quiet quitting. Walton sottolineava già negli anni ’70 che un ambiente che valorizza la qualità della vita lavorativa è fondamentale per il successo aziendale. 

Questo include programmi di gestione dello stress, iniziative per migliorare l’ergonomia del lavoro e l’adozione di orari flessibili, nonché interventi mirati al miglioramento della comunicazione interna all’azienda.

Altri pilastri sono la trasparenza e la giustizia organizzativa, come suggerito da Greenberg (1987). I lavoratori che percepiscono equità nella distribuzione di compiti, premi e opportunità di crescita sono più motivati e coinvolti. 

Le organizzazioni potrebbero anche promuovere percorsi di crescita chiari. Offrire ai dipendenti la possibilità di avanzare professionalmente, attraverso formazione continua e piani di carriera personalizzati, è essenziale per mantenere alta la motivazione. 

Infine, si auspica che le aziende favoriscano un clima inclusivo in cui ogni lavoratore si possa sentire apprezzato e parte integrante del team. Questo può essere realizzato attraverso programmi di mentorship, feedback regolari e un maggiore riconoscimento dei successi individuali e di gruppo. 

cottonbro studio - Pexels

Quando considerare un cambiamento?

Il quiet quitting può essere una strategia temporanea per proteggere il proprio benessere e ristabilire un equilibrio tra vita privata e professionale, ma non sempre è una soluzione sostenibile nel lungo termine. 

Distinguere tra un bisogno di “limitare l’impegno” e la necessità di cercare nuove opportunità lavorative richiede un’attenta riflessione su diversi fattori. Prima di intraprendere un cambiamento radicale, è tuttavia utile valutare se esistano margini di miglioramento all’interno dell’attuale contesto lavorativo.

Per evitare di rimanere in situazioni insoddisfacenti a causa della paura di perdere ciò che si è investito, è essenziale analizzare obiettivamente la propria situazione. Per esempio, se il malessere deriva da stress temporaneo o da progetti particolarmente impegnativi, ridurre l’impegno potrebbe essere una soluzione efficace. 

Tuttavia, se i problemi sul lavoro sono legati a una leadership inefficace, a una mancanza cronica di opportunità o a una cultura organizzativa che non valorizza i dipendenti, potrebbe essere il momento di valutare altre opportunità.

Il passaggio a un nuovo lavoro deve essere considerato non come una fuga, ma come la ricerca di un contesto più allineato ai propri valori e obiettivi che possa contribuire a un futuro lavorativo più soddisfacente e sostenibile.

Bibliografia
Questo è un contenuto divulgativo e non sostituisce la diagnosi di un professionista. Articolo revisionato dalla nostra redazione clinica

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