Salute mentale

Dixit: quando un gioco aiuta la terapia

Dixit: quando un gioco aiuta la terapia
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Paolo Leo
Redazione
Psicoterapeuta ad orientamento Psicoanalitico
Unobravo
Pubblicato il
7.2.2020

Nel 2002, lo psichiatra infantile Jean-Louis Roubira decide di creare un gioco di società ispirato alla propria pratica clinica: egli, infatti, è solito ritagliare immagini da riviste per bambini da utilizzare durante le sue terapie sulla relazione madre-bambino.

Secondo le regole, ad ogni turno un giocatore diverso diverrà il narratore e dovrà rappresentare con una parola o una frase, un suono o un verso, una delle carte che ha in mano. Tutti i giocatori metteranno sul tavolo, coperta, la carta che ritengono possa rappresentare la scena descritta dal narratore.

Le carte si mischiano e poi vengono girate. A questo punto ogni giocatore, ad eccezione del narratore, dovrà indovinare la carta che è stata esposta precedentemente. Infine, i punti verranno così distribuiti:

  • se tutti o nessuno avranno indovinato la carta, il narratore non prenderà alcun punto;
  • in tutti gli altri casi, chi ha indovinato prenderà tre punti, sommati ad un punto bonus per tutti i voti che la propria carta ha preso.


In che modo Dixit ci aiuta in terapia

Questo gioco è straordinariamente semplice ma, allo stesso tempo complesso, esattamente come la mente di ognuno di noi. È proprio questa sua caratteristica a fornire un prezioso aiuto nel percorso di cura. Nello specifico, le illustrazioni presenti sulle carte sono un potente mezzo per comunicare direttamente con l’inconscio del paziente. In che modo delle immagini riescono in un compito tanto arduo?

Leah Kelley - Pexels

Uso delle immagini in psicoterapia

L’utilizzo di immagini nella psicoterapia non è certo una novità: basti pensare alle famosissime tavole del test di Rorschach, dieci tavole con rappresentate delle “macchie” capaci di produrre nell’esaminato fantasie di ogni genere in quanto immagini non strutturate. Esse sono figure che non si prestano ad un’unica interpretazione, anzi, ne sollecitano svariate perché non ritraggono nulla di riconducibile alla realtà a cui siamo abituati.

Le carte di Dixit sfruttano un meccanismo simile. Non possono essere definite “immagini non strutturate”, poiché mostrano figure certamente riconducibili alla realtà, ma sono inserite in contesti più attinenti al mondo onirico che a quello che ci circonda. Possiamo trovare gatti che consultano sfere di cristallo, letti che navigano sott’acqua, castelli che volano in aria e altre situazioni di natura fantastica.

Non dimentichiamo un'altra importante differenza: il test di Rorschach è stato scientificamente validato, questo vuol dire che ogni risposta possibile è stata statisticamente correlata con un tratto della personalità. Quindi in questo caso il compito del terapeuta è quello di raccogliere le affermazioni date dal paziente e tradurle in una diagnosi secondo specifiche indicazioni.

Giochiamo durante la seduta?

Lo scopo principale del gioco è quello di creare storie per guadagnare punti, mentre nel caso della terapia l’obiettivo sarà quello di guadagnare spunti.

Nello specifico, la procedura è simile all’interpretazione dei sogni secondo l’ottica analitica, per cui i sogni sono considerati una via di comunicazione diretta fra l’inconscio e il conscio. Queste informazioni, però, arrivano sempre “mascherate”, attraverso metafore e con un linguaggio estremamente simbolico.

Comprendere cosa realmente voglia significare un sogno è un lavoro complesso in cui lo psicologo aiuta il paziente a ragionare su quale significato hanno per lui quelle immagini notturne. Attraverso questa ricerca dei significati è possibile apprendere nuove prospettive per esaminare le situazioni di tutti i giorni.

Come funziona Dixit

Con le carte Dixit il processo è inverso: anziché partire dalle immagini per estrapolare il significato, la coppia paziente-terapeuta decide assieme il tema sul quale lavorare (ad esempio l’ansia provata dal paziente durante una determinata situazione o un malessere generalizzato) e inizia ad usare le carte al posto delle parole.

Il paziente si trova, così, davanti ad una situazione che non può ricondurre a ciò che già conosce e deve lasciare da parte la razionalità per affidarsi a qualcos’altro, a qualcosa di più istintivo. Detto in altri termini, deve affidarsi all’inconscio.

rikka ameboshi - Pexels

Una narrazione inconscia

Il paziente “istintivamente” sceglie la carta che maggiormente rappresenta il tema prescelto e inizia ad analizzarla assieme al terapeuta. Questa fase non si limiterà semplicemente alla descrizione di ciò che è raffigurato in relazione ai vissuti del paziente, ma potrà anche condurre alla costruzione di una vera e propria storia e, magari, all’inclusione di altre carte. In un certo senso, è come se fosse in atto un processo di “costruzione” di un sogno da cui poi partire alla ricerca di nuovi significati.

Le parole che non hanno mai saputo descrivere quella particolare emozione vengono sostituite da immagini che, invece, ci riescono appieno. In questo modo, il paziente sentirà di riuscire ad esprimere il proprio malessere in maniera più efficace e soddisfacente e sarà in grado, assieme al terapeuta, di partire alla scoperta di quell’emozione che, forse, ancora per molto tempo non avrà un nome ma almeno avrà un aspetto.


Bibliografia

Questo è un contenuto divulgativo e non sostituisce la diagnosi di un professionista. Articolo revisionato dalla nostra redazione clinica

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