Sessualità
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La disforia di genere e il percorso per il cambiamento di sesso

La disforia di genere e il percorso per il cambiamento di sesso
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Serena Lepore
Redazione
Psicoterapeuta ad orientamento Sistemico-Relazionale
Unobravo
Pubblicato il
7.2.2020

Per disforia di genere, o incongruenza di genere, si intende il malessere dovuto al non riconoscersi nel sesso biologico assegnato alla nascita e l’identificazione col sesso opposto. Per esempio, chi nasce femmina non sente il proprio corpo in linea con il genere che esperisce intimamente e tenderà a voler indossare vestiti maschili e a comportarsi come un maschio. Lo stesso può succedere ad un bambino.

Incongruenza di genere ed orientamento sessuale non sono la stessa cosa infatti, una persona transgender potrà essere:

e riconoscere la propria condizione dalla preadolescenza o, addirittura, dall’infanzia.

La disforia di genere non è una patologia psichiatrica. Nel 2018, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) sposta l’incongruità di genere dal novero delle malattie mentali a quello dei disturbi della salute sessuale, una tappa importante per depatologizzare la condizione di transessualismo, ovvero per non considerarla più una malattia.


Il percorso per il cambiamento di sesso

Tale percorso si sviluppa in tre passi fondamentali:

  • una relazione di tipo psicologico
  • un percorso endocrinologico
  • un iter legale.

Gli aspetti psicologici e medici

La relazione di tipo psicologico è necessaria per attestare la presenza della disforia di genere, diagnosi essenziale in Italia per consentire l’accesso a visite, farmaci e colloqui psicologici di supporto alla persona in transizione.

Un percorso endocrinologico è il secondo step da seguire. Il medico specializzato potrà prescrivere una terapia ormonale sostitutiva (TOS) femminilizzante nel caso di transizione “Male to Female” (MtF), cioè da uomo a donna, o una terapia ormonale mascolinizzante nella transizione “Female to Male” (FtM), cioè da donna a uomo.

Inoltre, siccome, di solito, si ha coscienza di essere nati “nel sesso sbagliato” sin da piccoli, negli ultimi anni si è iniziato a ricorrere a farmaci detti “bloccanti della pubertà”, così da mettere in pausa gli inevitabili cambiamenti fisici e dare più tempo al ragazzo di riflettere sulla propria identità di genere.


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Gli aspetti legali

L’iter legale è necessario per richiedere al tribunale una sentenza per la rettificazione di attribuzione del sesso e il cambio del nome. In Italia, l’unica legge che rettifica l’attribuzione di sesso è la Legge 164 del 1982 Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso.

Esiste, inoltre, una sentenza della Corte di Cassazione del 2015 che consente di indicare sui documenti un sesso diverso da quello assegnato alla nascita, anche senza riassegnazione chirurgica. Questo è sicuramente un passo di notevole importanza per tutte quelle persone che non si sentono pronte o non vogliono sottoporsi ad un intervento di cambiamento del sesso, perché sentono di aver raggiunto la loro serenità psico-fisica con la sola terapia ormonale.

Quest’ultimo step non è sempre detto che ci sia. Non tutte le persone con incongruenza di genere infatti decidono di sottoporsi all’operazione per la riconversione chirurgica del sesso (RCS), ma, laddove ci sia questa intenzione, dopo due anni dall’inizio del percorso psicologico e con l’autorizzazione del Tribunale, la persona transgender può procedere all’intervento chirurgico che implica la rimozione dei genitali di un sesso e la costruzione dei genitali del sesso opposto.

L’intervento psicologico nell’incongruenza di genere

Nel momento in cui un bambino sente che sta interpretando un ruolo di genere che non gli si addice, perché magari i genitori non riescono a sostenerlo e a comprenderlo, si troverà esposto al rischio di:

Da adulto rischierà l’abuso di droghe, atti autolesionistici, comportamenti sessuali estremi e tentativi di suicidio. Tutto questo, ovviamente, causa un significativo disagio e un’importante compromissione a livello sociale, lavorativo, scolastico e relazionale. Ecco perché è fondamentale intervenire al più presto, già in età pre-adolescenziale o adolescenziale.

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È importante, dunque, mettere in campo un sostegno di tipo psicologico e individuare eventuali comorbilità, lavorare sulla transfobia interiorizzata, ovvero sul disagio derivante dall’interiorizzazione, più o meno consapevole, dei pregiudizi, degli stereotipi di genere e degli atteggiamenti negativi e discriminatori che le persone transgender vivono sulla propria pelle, che fanno parte del così detto minority stress. Lo psicoterapeuta potrà anche aiutare la persona a comprendere quanto in là vorrà andare con la transizione.

Altro punto importante, oltre al sostegno costante dello psicologo durante il percorso di transizione, è quello di evitare la spaccatura tra la vita prima dell’operazione chirurgica, laddove venisse fatta, e la vita dopo. È necessario integrare i due momenti e far capire al paziente che c’è una continuità tra chi vedeva prima nello specchio e chi vede adesso, continuità che si realizza in un’identità più integrata e autentica.

Quando chiedere aiuto

Il doversi costantemente confrontare con un mondo per lo più ostile ha un forte impatto sul benessere fisico e psicologico dell’individuo, che inizierà ad esperire sentimenti di vergogna, di inferiorità e bassa autostima.

Non è sempre facile chiedere aiuto, ma l’empatia e l’accoglienza che lo psicologo potrà dare saranno un valido sostegno nel percorso verso la realizzazione del proprio vero Sé e il benessere che ne deriva.

Questo è un contenuto divulgativo e non sostituisce la diagnosi di un professionista. Articolo revisionato dalla nostra redazione clinica

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