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Claustrofobia: cos’è e come intervenire

Claustrofobia: cos’è e come intervenire
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Enrico Reatini
Redazione
Psicologo ad orientamento Cognitivo-Comportamentale
Unobravo
Pubblicato il
7.11.2024

Molte persone possono provare disagio se si trovano costrette a rimanere in spazi chiusi, ma per chi soffre di claustrofobia questa reazione è amplificata in una paura intensa e irrazionale. 

Si può provare claustrofobia in ascensore, in metro, in aereo e, in generale, in tutti gli ambienti confinati, anche in quelli che si frequentano quotidianamente.

Soffrire di claustrofobia significa anche mettere in atto comportamenti di evitamento e provare sintomi fisici significativi che possono influenzare in modo importante la qualità della vita di chi ne soffre.

In questo articolo scopriremo nel dettaglio qual è il significato psicologico della claustrofobia e come superarla.

Che cos’è la claustrofobia?

Il termine claustrofobia deriva dal latino "claustrum" che significa "luogo chiuso" e dal greco "phobos" che significa "paura". È una delle fobie specifiche più comuni e riconosciute. 

Questa condizione è caratterizzata da un'intensa paura degli spazi chiusi o confinati in cui si percepisce una mancanza di vie di fuga. La claustrofobia non è semplicemente la paura degli spazi chiusi in sé, ma piuttosto una paura legata a ciò che potrebbe accadere in questi spazi, come il timore di rimanere intrappolati o soffocare.

Nel DSM-5-TR (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders), la claustrofobia è collocata tra i disturbi d’ansia specifici insieme ad altre fobie come la paura del mare (talassofobia), la paura di volare (aerofobia) o la paura delle folle (demofobia).

La storia di questa fobia risale a tempi antichi, con riferimenti a paure simili in testi storici e filosofici. Per esempio, nella Divina Commedia di Dante Alighieri, il poeta descrive, collocate nell’Inferno, scene di tormento in spazi angusti e sotterranei che evocano un senso di oppressione e paura, riflettendo la radicata angoscia dell'essere rinchiusi.

Gli studiosi Vadakkan e Siddiqui (2019) hanno offerto una panoramica dettagliata della claustrofobia. Gli autori evidenziano che, per la persona claustrofobica, la paura è meno legata allo spazio fisico e più alla percezione soggettiva di non avere una via di fuga, una paura che può essere scatenata anche da situazioni quotidiane come rimanere in coda nel traffico o sedersi su una poltrona dentistica. 

La claustrofobia, come altre fobie specifiche, può portare a comportamenti di evitamento e sintomi fisici intensi, rendendo difficile la vita quotidiana per chi ne soffre.

che cos'è la claustrofobia
MART PRODUCTION - Pexels

Agorafobia e claustrofobia

È importante distinguere la claustrofobia dall’agorafobia, un’altra fobia specifica caratterizzata dalla paura di trovarsi in situazioni in cui potrebbe essere difficile o imbarazzante scappare, come luoghi affollati o spazi aperti. 

Mentre il senso di claustrofobia riguarda principalmente la paura di rimanere intrappolati in spazi chiusi, l’agorafobia si concentra sulla paura di perdere il controllo in situazioni pubbliche, spesso temendo un attacco di panico.

Il rapporto tra agorafobia e claustrofobia è stato esplorato in vari studi, per esempio quello di Febbraro e Clum (1995), pubblicato sul Journal of Psychopathology and Behavioral Assessment, evidenziando come queste due condizioni possano condividere caratteristiche simili, come l’evitamento delle folle.

In particolare, fattori come la “paura dell’intrappolamento” e la “paura dell’impossibilità di fuggire” sono concettualmente rilevanti per entrambe le fobie.

Questo indica una possibile sovrapposizione tra claustrofobia e agorafobia, suggerendo che le due condizioni possono condividere meccanismi sottostanti simili, come la paura di non poter fuggire agevolmente.

In casi estremi, questi pensieri possono causare un attacco di claustrofobia, che si manifesta come una paura intensa e incontrollabile che può culminare anche in un attacco di panico. 

Gli attacchi di panico sono episodi improvvisi di ansia acuta che possono manifestarsi con sintomi fisici come palpitazioni, sudorazione, tremori e una sensazione di soffocamento. Questi sintomi possono essere così intensi da portare chi ne soffre a temere di perdere il controllo o avere paura di morire.

La relazione tra agorafobia, claustrofobia e attacchi di panico ci ricorda quindi come le paure legate all'impossibilità di fuga o alla perdita di controllo siano elementi cruciali che possono aggravare la sintomatologia ansiosa e sfociare in episodi di panico acuto (Barlow, 2004).

I sintomi della claustrofobia

Attraverso l’uso di test per la claustrofobia, come il Claustrophobia Situations Questionnaire (CSQ) e il Claustrophobia General Cognitions Questionnaire (CGCQ), la letteratura scientifica (si veda Febbraro & Clum, 1995 per approfondimenti), ha identificato i sintomi e i fattori che contribuiscono all’ansia e all’evitamento tipici di questa condizione.

I sintomi della claustrofobia possono essere suddivisi in due principali categorie: sintomi situazionali e sintomi cognitivi

Tra i sintomi situazionali, cioè relativi a un particolare contesto e momento, possiamo trovare:

  • paura dell’intrappolamento, che si manifesta quando una persona percepisce di trovarsi in una situazione da cui non può facilmente scappare. Per esempio, le persone claustrofobiche potrebbero sentirsi estremamente ansiose quando si trovano in un ascensore bloccato tra i piani o in un treno sotterraneo fermo tra due stazioni
  • paura del confinamento fisico, specificamente legato alla sensazione di essere fisicamente limitati o costretti in uno spazio ristretto. Un esempio comune è la claustrofobia nella risonanza magnetica chiusa, cioè quando l’individuo è costretto a rimanere immobile all’interno di un tubo stretto per un certo periodo di tempo. Tipica è anche la claustrofobia in aereo, che può essere associata anche alla paura di volare
  • evitamento delle folle e di luoghi tipicamente affollati come concerti, eventi sportivi o mezzi pubblici durante l’ora di punta. Il claustrofobico teme di non avere il controllo dell’ambiente o di non poter uscire facilmente in caso di bisogno
  • evitamento del confinamento fisico, che si manifesta con l’evitamento di spazi piccoli e chiusi come, per esempio, una cantina con soffitti bassi o un bagno senza finestre.

Tra i sintomi cognitivi più frequenti, invece, sono stati rilevati:

  • paura di perdere il controllo: la persona claustrofobica potrebbe temere di perdere il controllo in uno spazio chiuso, pensando di non riuscire a gestire l’ansia o la paura che la situazione suscita
  • paura di soffocare: un sintomo comune è la sensazione che l’aria stia finendo o che non si riesca a respirare correttamente, nonostante non ci siano effettive difficoltà respiratorie
  • paura dell’incapacità di fuggire: tra le paure più pervasive, si riferisce alla convinzione che, se qualcosa andasse storto, non si potrebbe uscire rapidamente o in sicurezza. Un esempio è la paura di entrare in un tunnel lungo e stretto, come quelli autostradali.

Queste dimensioni offrono ancora oggi un quadro chiaro di come la paura degli spazi chiusi si manifesti in diverse situazioni e attraverso specifiche paure cognitive, aiutando a comprendere meglio i sintomi e i comportamenti tipici di chi ne soffre.

Le possibili cause della claustrofobia

Perché si soffre di claustrofobia? 

La claustrofobia ha cause multifattoriali, ovvero componenti biologiche, psicologiche e ambientali. 

Secondo la teoria del condizionamento classico, i vissuti traumatici possono condizionare un individuo a sviluppare una risposta di paura in situazioni simili a quelle vissute. Per esempio, Rachman (1991) ha evidenziato come la claustrofobia possa svilupparsi dopo un’esperienza traumatica, come rimanere bloccati in uno spazio ristretto, che condiziona la persona a temere situazioni analoghe.

La claustrofobia potrebbe avere anche una componente ereditaria. Una meta-analisi sulla genetica dei disturbi d’ansia, ha dimostrato che le fobie specifiche, inclusa la claustrofobia, tendono a manifestarsi con maggiore frequenza in individui con una predisposizione genetica (Hettema, Neale e Kendler, 2001), in presenza di specifici fattori ambientali. 

Dal punto di vista neurobiologico, studi come quello di LeDoux (2000) hanno identificato l’amigdala, una regione del cervello coinvolta nella regolazione delle risposte di paura, come una componente chiave nella manifestazione di fobie.

Disfunzioni in quest’area possono portare a reazioni di paura esagerate in situazioni percepite come minacciose, contribuendo così allo sviluppo di condizioni come la claustrofobia.

Un’altra teoria suggerisce che la claustrofobia possa avere radici evolutive. Marks (1987) ha esplorato come alcune fobie possano essere il risultato di meccanismi di sopravvivenza evolutivi, dove la paura degli spazi stretti avrebbe potuto offrire un vantaggio adattivo in tempi antichi, proteggendo gli individui da potenziali pericoli.

Infine, le influenze ambientali e sociali giocano un ruolo significativo nello sviluppo della condizione. Lo studio di Ost (1987) ha evidenziato come l’età in cui si verificano esperienze spaventose e l’esposizione a comportamenti ansiosi da parte dei genitori o figure di riferimento possano contribuire a instaurare la fobia. 

cause della claustrofobia
MART PRODUCTION - Pexels

Conseguenze della claustrofobia

La claustrofobia può comportare conseguenze significative sia psicologiche che fisiche. 

Per esempio può causare in chi ne soffre ansia anticipatoria e isolamento sociale, poiché gli individui potrebbero decidere di evitare situazioni che valutano essere in grado di scatenare la loro paura. Una persona potrebbe quindi limitare la propria partecipazione a eventi o evitare l’uso di ascensori, compromettendo le attività quotidiane e sociali (Valentiner et al. 1996).

Fisicamente, gli attacchi di claustrofobia possono manifestarsi con sintomi come:

  • tachicardia
  • sudorazione o brividi
  • vertigini
  • difficoltà respiratorie e iperventilazione
  • incremento della frequenza cardiaca 
  • sensazione di oppressione e svenimento.

L’evitamento delle situazioni temute, inoltre, può compromettere notevolmente le attività quotidiane, limitando opportunità lavorative e occasioni sociali. Per esempio, la rinuncia a esami medici necessari per una diagnosi, come una risonanza magnetica, può influire negativamente sulla salute e sulla qualità delle cure ricevute. 

Uno studio della Ohio State University (Nguyen et al. 2020) esplora come la claustrofobia e altre reazioni ansiose possano influenzare l’esperienza dei pazienti anche quando questi decidono di sottoporsi ad esperienze attivanti, come la risonanza magnetica (MRI). 

L’eccessiva attivazione del paziente può, infatti, compromettere la qualità delle immagini ottenute, ritardando o impedendo diagnosi accurate. 

Come superare la claustrofobia

È possibile superare la claustrofobia in aereo, in ascensore o nella risonanza magnetica? 

Grazie ad alcune tecniche di rilassamento e al ricorso alla terapia, si può convivere con questa condizione.

Ricorrere a un supporto psicologico, non solo può aiutare a indagare le paure e le ansie profonde legate agli spazi ristretti, ma attraverso specifiche strategie può aiutare il paziente ad affrontarle attivamente. 

Tra le tecniche più efficaci vi sono il rilassamento muscolare progressivo, le strategie di esposizione e il training autogeno.

Il rilassamento muscolare progressivo, sviluppato da Edmund Jacobson nel 1925, aiuta a ridurre l’ansia attraverso la pratica di contrazione e rilascio dei muscoli. La sua efficacia nel trattamento dei disturbi d’ansia, è confermata da evidenze scientifiche (Conrad & Roth,2007), che sottolineano il suo ruolo nel superare anche la claustrofobia.

Le strategie di esposizione, descritte da Joseph Wolpe fin dagli anni ‘50, coinvolgono l’esposizione graduale e controllata alla situazione temuta, come gli spazi ristretti, per ridurre la risposta fobica attraverso l’abituazione. 

Anche il training autogeno, sviluppato da Johannes Heinrich Schultz e Wilhelm Luthe, utilizza l’auto-suggestione per indurre un profondo stato di rilassamento. La sua efficacia è supportata da ricerche, come quella di Lukins, Davan e Drummond (1997), che ha dimostrato come il training autogeno possa ridurre l’ansia durante procedure mediche stressanti come la risonanza magnetica, sebbene non riesca a prevenire lo sviluppo di paure a lungo termine associate a queste esperienze.

La terapia per la claustrofobia, guidata da professionisti come gli psicologi online di Unobravo, permette di lavorare sulle paure sottostanti alla fobia e sviluppare strategie efficaci per superarle. 

Grazie a un supporto psicologico, è possibile infatti ridurre i sintomi e migliorare la qualità della vita, affrontando con più serenità gli spazi chiusi che prima generavano ansia.

Bibliografia

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Questo è un contenuto divulgativo e non sostituisce la diagnosi di un professionista. Articolo revisionato dalla nostra redazione clinica

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