Il comportamentismo (anche noto come behaviorismo), è uno dei rami della psicologia. Nato tra il 1930 e il 1940, prevede lo studio del puro comportamento umano, considerato l’unico aspetto osservabile direttamente e indirettamente.
L’uomo, dal punto di vista comportamentista, emette delle risposte complesse nei confronti di stimoli esterni. Questo approccio psicologico studia le risposte considerate come uniche rilevabili, escludendo totalmente gli eventi interni e gli stati mentali che possono attivarsi.
Secondo il pensiero comportamentista, la psicologia non ha bisogno di occuparsi della coscienza e la mente viene intesa come una scatola nera alla quale è impossibile accedere:
“Le proposte e le ipotesi di psicologia devono essere verificate esclusivamente attraverso prove oggettive” B.F. Skinner
La teoria comportamentista afferma che l’essere umano apprende, viene influenzato e rafforzato dall’ambiente che lo circonda. Secondo il comportamentismo i fattori ambientali sono l’elemento principe per la crescita dell’individuo.
Il comportamentismo pone l’accento sulla modalità di apprendimento tramite un condizionamento continuo a cui l’essere umano viene esposto, volontariamente o involontariamente. Il condizionamento è inteso come un’associazione tra uno stimolo neutro presente nell’ambiente (che isolato non causa una sollecitazione da parte del corpo) e una risposta correlata alla quale può aggiungersi un rinforzo, positivo o negativo.
Chi è il padre del comportamentismo? E in cosa consiste il pensiero comportamentista?
John Watson e la nascita del comportamentismo
Il padre del comportamentismo è John Broadus Watson, psicologo che riveste grande importanza nel mondo della psicologia perché, come accennato, darà vita al movimento comportamentista (a cui si appassionò anche un altro celebre psicologo, Abraham Maslow, che teorizzò nel 1954 la Piramide di Maslow legata ai concetti di motivazione e bisogno).
Prima di illustrare come viene inteso il comportamento nella prospettiva di John Watson, facciamo un accenno alla sua biografia. Chi è e cosa ha fatto John Watson?
J.B. Watson nacque a Tavelers Rest, negli Stati Uniti, da una modesta famiglia di agricoltori. Nonostante la famiglia avesse poche possibilità economiche, riuscì a frequentare l’Università di Furman laureandosi in filosofia a soli 21 anni.
Successivamente, Watson si dedicò alla psicologia conseguendo un dottorato presso l’Università di Chicago, concludendo gli studi con la tesi Animal Education: An Experimental Study on Psychical Development of the White Rat dedicata ai processi di apprendimento.
Nel 1913, Watson pubblica quello che verrà conosciuto come il manifesto comportamentista Psychology as a Behaviorist Views (La psicologia esaminata da un behaviorista), in cui esprime la psicologia “così come la vede un comportamentista”:
“La psicologia dovrebbe essere in grado di guidare la società per quanto concerne le modalità da adottarsi nella modificazione dell’ambiente, in modo tale che esso si adatti al modo di agire del gruppo o dell’individuo; nel caso invece in cui l’ambiente non possa venir modificato, la psicologia dovrebbe indicare il modo mediante il quale l’individuo può venir modellato per adattarsi all’ambiente.”
Il pensiero di John Watson incise sulle teorie della psicologia e sugli approcci scientifici che, secondo il tempo, essa avrebbe dovuto adottare. Cosa dice Watson e cosa critica? Vediamolo meglio.
L’elementismo e il comportamentismo watsoniano
Padre dell’elementismo fu lo psicologo Wilhelm Wundt, che fondò il primo laboratorio di psicologia a Lipsia nel 1879 e per questo è considerato il padre della psicologia. Wundt teorizzò la mente come “un complesso di fattori psichici”, da scomporre in elementi più semplici per la comprensione della psiche umana. Per l’elementismo, l’oggetto di studio principale della psicologia è l’esperienza immediata della realtà, cioè le sensazioni e le percezioni soggettive.
Con esse si può completare un vero e proprio puzzle formato da vari “pezzi” che, uniti, risultano parte di un grande disegno, chiamato mente: “Più elementi semplici creano un sistema più complesso”.
Dall’elementismo nasce poi lo strutturalismo, fondato dall’allievo di Wundt Edward Tichener, che prevede come metodologia d’indagine l’osservazione empirica. Il ruolo dello psicologo è quello di usare l’introspezione per analizzare la struttura psichica, auto-osservando le proprie sensazioni, le immagini mentali e gli stati affettivi.
In questo clima orientato a un metodo introspettivo, nasce il comportamentismo di Watson che, invece, esclude dall’indagine tutti gli elementi psichici interni, focalizzandosi sul comportamento manifesto dell’essere umano.
La psicologia, dal punto di vista comportamentista di Watson, doveva evolversi rispetto alla metodologia introspettiva, facilmente influenzabile dal punto di vista soggettivo, anche di chi interpreta. John Broadus Watson, nella sua teoria introdusse così:
- la comprensione del comportamento dell’essere umano tramite risposte osservabili
- l’apprendimento e la crescita tramite un modellamento creato dall’ambiente esterno.
Lo scopo era dare un fondamento scientifico alla psicologia, così da inserirla nelle scienze biologiche.
Nasceva così con Watson la psicologia del comportamentismo: l’essere umano cresce e apprende tramite associazioni di stimolo e risposta. Avviene quindi un condizionamento da parte dell’ambiente, che si modella rispetto alla frequenza e alla contingenza della risposta stessa.
John Watson e l’esperimento sul piccolo Albert
Per dimostrare quanto gli stimoli ambientali possano condizionare le risposte emotive di un individuo, Watson effettuò un esperimento (il John Watson little Albert experiment) molto criticato.
L’ esperimento fu effettuato nel 1920 su Albert, un bambino di 9 mesi, che fu esposto allo stimolo visivo di un topo bianco. Il piccolo fu subito interessato all’animale, senza patire alcuna preoccupazione.
Successivamente, ogni volta che il bambino vedeva il topo bianco, Watson produceva un forte rumore, creando così un’associazione tra stimolo neutro (il topo) e uno stimolo spiacevole (il rumore). Il bambino rispondeva con pianto e terrore.
Albert associò così emozioni spiacevoli alla vista del topo bianco, ma non solo, perché l’associazione continuava con altri stimoli che potevano ricordare il topo bianco, come altri animali dello stesso colore. Che cosa voleva dimostrare Watson con l'esperimento sul piccolo Albert?
L’esperimento dimostrava come uno stimolo apparentemente neutro, possa essere correlato a risposte spiacevoli e, successivamente, generalizzato e che ogni essere umano apprende tramite un condizionamento da parte dell’ambiente.
Secondo il padre fondatore del comportamentismo, quindi, il comportamento umano è fortemente collegato alle risposte ambientali.
Le critiche a Watson e all’esperimento del piccolo Albert erano correlate al condizionamento che Watson creò e non “decondizionò”. In effetti Watson non ebbe il tempo di farlo, in quanto il bambino fu portato via dalla madre prima del previsto. Il piccolo Albert, in seguito, soffrì di incubi notturni e morì precocemente alla tenera età di 6 anni.
La vicenda del piccolo Albert non solo ha destato scandalo, ma ha contribuito alla nascita degli attuali comitati etici universitari, responsabili di valutare se la conduzione di un esperimento sia moralmente accettabile.
Comportamentisti a confronto
Oltre a Watson, altri due illustri nomi vengono ricordati quando si parla di comportamentismo e storia della psicologia: Ivan Pavlov e Burrhus Skinner.
Il medico, fisiologo ed etologo russo Ivan Pavlov osservò negli animali come uno stimolo neutro potesse essere correlato a una risposta involontaria, creando un condizionamento. Teorizzava così il condizionamento classico.
Successivamente, Burrhus Skinner, psicologo statunitense che studiò il comportamento dei ratti nella famosa Skinner box, teorizzò il condizionamento operante, secondo cui l’ambiente è in grado di rinforzare o punire il comportamento umano sulla base delle conseguenze che esso sperimenta.
Teorie dell’apprendimento: il comportamentismo di Watson e Pavlov
Il condizionamento classico (o pavloviano) è un’associazione ripetuta, in un tempo contingentato, di una risposta a uno stimolo inizialmente neutro. Negli esperimenti effettuati da Pavlov, egli presentava ad alcuni cani il cibo, che creava un riflesso incondizionato di salivazione.
Poi, associò il suono di una campanella alla presentazione del cibo, creando nel cane un’associazione incondizionata. Ancora successivamente, suonando semplicemente la campanella senza la presentazione del cibo, il cane aveva una risposta condizionata, cioè la salivazione. il cane quindi:
- associa una risposta incondizionata ad un suono che, isolato, non creerebbe la stessa risposta
- apprende così una risposta incondizionata ad uno stimolo neutro.
Proprio seguendo il filone di Pavlov (che come abbiamo accennato teorizza il condizionamento classico), con l’esperimento del piccolo Albert Watson cercò di dimostrare che anche le risposte emotive dell’uomo non sono altro che il frutto di un condizionamento derivato dall’ambiente.
Il behaviorismo di Skinner e Watson
Nel behaviorismo di Watson e Skinner, il comportamento dell’essere umano può essere studiato solo tramite manifestazioni esterne osservabili, tramite risposte che l’uomo manifesta.
Pilastro della teoria comportamentista, il condizionamento operante inserisce nella teoria dell’apprendimento classico il confetto di rinforzo. Skinner ha individuato due tipi di rinforzo che possono seguire al comportamento:
- i rinforzi positivi aggiungono una conseguenza positiva.
- i rinforzi negativi sottraggono la persona da una situazione avversiva.
Entrambi sono finalizzati all’adattamento: tramite i rinforzi un organismo apprende e, successivamente, può generalizzare quell’apprendimento ad altri contesti.
Comportamentismo e psicoterapia
Le teorie del comportamentismo vengono tuttora ampiamente utilizzate e sono alla base di uno degli approcci psicoterapeutici più studiati, la Behavioral Therapy (BT) o terapia comportamentale.
La Behavioral Therapy è poi confluita all’interno della terapia cognitivo-comportamentale, dove accanto allo studio del comportamento osservabile trova spazio l’analisi delle cognizioni e delle credenze soggettive. La terapia cognitivo comportamentale è utilizzata per esempio, nel trattamento dei disturbi d’ansia come il disturbo da panico o nei disturbi fobici.
Le teorie comportamentiste trovano ampio campo di applicazione anche nel trattamento dell’autismo, all’interno di specifici metodi come l’Applied Behavior Analysis (Analisi Comportamentale Applicata – ABA)
Watson e il comportamentismo: libri per approfondire
Per approfondire, ecco una breve bibliografia con i libri sul comportamentismo di Watson:
- Cent'anni di comportamentismo. Dal manifesto di Watson alla teoria della mente, dalla BT all'ACT, a cura di P. Moderato e G. Presti, edizioni Franco Angeli
- Dal comportamentismo alla terapia del comportamento, F. Carnevali, P. Meazzini, edizioni Franco Angeli
- J.B. Watson: The Founder of Behaviourism, D. Cohen, edizioni Routledge Kegan & Paul
- I riflessi condizionati, I. P. Pavlov, Bollati Boringhieri
- Difesa del comportamentismo, B. F. Skinner, Armando editore.