Desiderare, tendere verso qualcosa, avere l’intenzione di un cambiamento: questi sono gli ingredienti base per iniziare una terapia che porti a riscoprire se stessi. Pensare che sia il terapeuta a dirci cosa vogliamo e cosa sia giusto per noi è un grande errore. È come dire “scegli tu, tanto per me è uguale”. Siamo sicuri che la soluzione proposta sia la migliore per noi?
Nella vita di tutti i giorni, sia in situazioni complesse che in quelle più banali, ci poniamo di rado la domanda “che cosa voglio?”. Per esempio, quando abbiamo fame potremmo afferrare la prima cosa che capita o l’unica che è al momento disponibile: se ci sono solo le uova optiamo per una frittata. Ma è davvero quello che ci va in quel momento o non abbiamo voglia di fare la spesa?
Tutto questo avviene non solo in psicoterapia, ma anche nella vita di tutti i giorni: c’è spesso qualcuno che decide al posto nostro, che sceglie per noi. Perché? Le ragioni possono essere tante, per esempio:
- non abbiamo voglia di discutere;
- è più comodo lamentarci;
- non riusciamo a chiedere, per una serie di fattori, che però non ci portano da nessuna parte.
Se io voglio ardentemente una cosa, ma so che qualcuno potrebbe restarci male o non approvare, come mi comporto?
“Io non so cosa voglio”: una storia come tante
La paziente, che chiamerò Luisa, seduta sulla poltrona vicino a me, alla domanda su cosa volesse rispetto alla situazione descritta, con sguardo impaurito e smarrito risponde:
L. — Ma io non so cosa voglio… pensavo me lo dicessi tu, sennò perché sono qui?
T. — Perché sei qui? Dimmelo tu Luisa, io non posso sapere cosa vuoi. Io sono io, non te. Se sei qui perché io ti dica cosa vuoi e cosa devi fare, hai sbagliato studio.
L. — Ok, ma io non lo so…
T. — Non hai studiato?
L. — Cosa?
T. — Dici che non lo sai: quello che vuoi sta scritto da qualche parte? Lo hai letto o studiato?
L. — No…
T. — Allora prova a immaginare cosa vorresti.
L. — Mmm… è difficile…
T. — Mai detto che fosse facile, prova! Prova a immaginare cosa vorresti con quella persona.
L. — Mi piacerebbe che ci capissimo… vorrei che mi capisse… anzi, voglio che mi ascolti!
Il dialogo è ovviamente andato avanti, facendo emergere diverse volontà della paziente, più o meno consapevoli, più o meno realizzabili. Quello che affiora da queste prime battute è una cosa comune a molte persone che ho visto sedersi nel mio studio: credono di non sapere cosa vogliono, quando in realtà semplicemente non se lo chiedono.
La brutta bestia della responsabilità
L. — Se gli dico che voglio vivere in quella casa senza di lui, mi lascia.
T. — Ma tu vuoi vivere lì?
L. — Sì, ma se ci vado da sola, se vado lì e non in quell’altra che avevamo visto insieme, che è più grande, adatta a due, forse tre, io… lui...
Luisa a questo punto inizia a piangere e quasi non riesce a parlare.
T. — Luisa, respira. Cosa senti? Cosa immagini che possa succedere?
L. — Ho paura che mi lasci, che pensi che non lo amo, ma non è vero! È che se penso di vivere insieme adesso, e poi magari di avere un figlio, mi manca l’aria. Sono solo sei mesi che stiamo insieme!
T. — Aspetta, fermati e respira, una cosa per volta. Gli hai detto cosa provi e cosa vuoi?
L. — No, cioè sì, gli ho detto cosa provo però sulla casa no, lui è così entusiasta, così prendo tempo: se non gli dico nulla magari non se ne parla più, oppure sceglie lui, oppure non so, ma non voglio che mi lasci!
Il dialogo prosegue ancora, fino a quando la ragazza si rende conto che al fidanzato non ha detto cosa desidera realmente perché ha paura delle conseguenze, secondo lei catastrofiche, e perché non vuole assumersi la responsabilità dei propri sentimenti, pensieri e bisogni.
Prendersi la responsabilità: quali conseguenze?
Dire di no o dire di sì, affermare ciò che si vuole o meno, ha delle ripercussioni sia per noi stessi che per chi ci sta intorno. Ma siamo sicuri che le conseguenze siano davvero così tremende? E se andassimo contro corrente e dicessimo cosa pensiamo?
Esprimendo le nostre emozioni - nel caso di Laura la paura dell’abbandono - comunichiamo all’altro qualcosa di noi, qualcosa di veramente prezioso e questo aprirà sicuramente un dialogo. Dopo aver preso consapevolezza di cosa vogliamo, il secondo passo è agire per realizzare quel desiderio. È fondamentale quindi assumersi la responsabilità di quello che succederà dopo, che si tratti di un contesto terapeutico o no.
Libertà: il filo sottile che ci lega alla responsabilità
“Tutto ciò che aumenta la libertà, aumenta la responsabilità” Victor Hugo
T. — Come stai ora Luisa? Immaginando di dirgli ciò che vuoi, provi ancora paura?
L. — No! Mi sento più leggera, è come se il peso che avevo non ci fosse più. Pensavo che non dirgli niente fosse più facile ma mi faceva sentire solo prigioniera di me stessa.
T. — Beh, ti privavi della libertà!
Sembra un concetto semplice, ma spesso non lo analizziamo a fondo e non ne afferriamo il senso. Dare agli altri il potere di scegliere al posto nostro, non prendere posizione e accettare passivamente certe situazioni, ci solleva da ogni conseguenza, ma al contempo ci priva del libero arbitrio, che è ciò che fa di noi degli esseri pensanti in grado di desiderare, amare, scegliere in piena libertà.
Fare qualcosa perché lo desideriamo davvero, perché siamo noi a decidere, non è forse più entusiasmante e gratificante? Sentirsi in dovere di accontentare l’altro, infatti, non è la strada per costruire un rapporto sano e sincero. Pertanto gli ingredienti base di una terapia sono la volontà e la responsabilità, perché grazie a queste due componenti si riscopre la libertà di essere se stessi.