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Libera. Comprendere e trattare gli effetti della violenza sulle donne

Libera. Comprendere e trattare gli effetti della violenza sulle donne
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Flavia Capoano
Redazione
Psicologa ad orientamento Strategico Integrato
Unobravo
Pubblicato il
14.12.2023

Il 25 Novembre si celebra la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne. Questa data è stata scelta in memoria delle sorelle Mirabal, attiviste politiche, che nel 1960 vennero massacrate per ordine del dittatore Rafael Leónidas Trujillo, un crimine diventato “simbolico” per modalità e contesto in cui è stato compiuto, tra violenza e torture.


Ogni anno tante piazze e strade ricordano questa violenza sfoggiando il colore rosso, colore scelto in quanto simbolo dell’amore, della passione che si trasforma in male e in violenza, della possessione morbosa che diventa una trappola mortale e della femminilità che purtroppo, oggi, troppe volte viene violata.


In ambito letterario e psicologico, sono molte le letture che, di anno in anno, vengono proposte per questa tematica, ma non sempre è facile trovare quella adeguata. Quello che viene proposto qui è il testo Libera. Comprendere e trattare gli effetti della violenza sulle donne di Dolores Mosquera edito Raffaello Cortina Editore.


Questo è un libro che fornisce ai terapeuti una guida per l'intervento clinico con le donne vittime di violenza, al fine di favorire un’adeguata comprensione della loro situazione relazionale ed elaborare un piano di trattamento che risponda alle necessità di ciascuna.


La violenza contro le donne: tra la storia e il libro


Il libro inizia con una frase di grande impatto: “La violenza contro le donne è un problema che esiste da secoli.” Se si volesse fare un excursus, questo abbraccerebbe moltissime tematiche e ambienti.


A partire da quelli religiosi, passando per l’antica Grecia e l’antica Roma fino ad arrivare al 1979, anno in cui è stata approvata la Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (CEDAW) con un vero e proprio documento giuridico che riconosceva l’autorità ai diritti umani di quest’ultime.


Per arrivare ai giorni nostri, dal 1° agosto del 2014 in Europa è in vigore la Convenzione di Instabul.


Grazie a questa convenzione, la violenza contro le donne viene riconosciuta come una violazione dei loro diritti umani e una forma di discriminazione, e ritiene responsabili gli Stati che non ne rispondono adeguatamente.


Inoltre, è segnalata come manifestazione dello squilibrio storico tra donne e uomini, laddove la natura strutturale della violenza è basata sul genere e si estende ai bambini, vittime anche loro di violenza domestica


Infine, fa finalmente luce sulle definizioni pertinenti per concettualizzare il problema sociale esistente. Suddivide la violenza in tre parti:


  1. violenza contro le donne: include tutti gli atti di violenza di genere che comportano danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, nella vita pubblica o privata
  2. violenza domestica: tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano in famiglia, in casa, tra coniugi o ex partner
  3. violenza di genere contro le donne: qualsiasi violenza contro una donna per il solo fatto di essere donna.


Secondo l’autrice, però, questo non basta per far chiarezza sulla tematica, e aggiunge altri due concetti fondamentali: responsabilità e vulnerabilità


“Anche se il perpetratore è sempre il solo responsabile dell’abuso, ci possono essere delle vulnerabilità nella vittima che provengono dalla sua storia personale e sulle quali sarà indispensabile lavorare per evitare che venga coinvolta di nuovo in relazioni che la danneggiano”. 



Quando parla di vulnerabilità, Mosquera si riferisce a esperienze avverse che durante l’infanzia o l’adolescenza possono minare il senso di sicurezza o altri bisogni primari delle donne che saranno poi vittime di violenza.


La sensazione di sicurezza è strettamente legata all’attaccamento ai caregiver primari. Lo stile di attaccamento non è semplicemente il risultato di quanto ci si è sentiti amati, ma deriva dalla percezione di essere al sicuro e protetti dai propri caregivers.


Questa esperienza di base, necessaria per lo sviluppo di una personalità sana, può venire a mancare nelle donne vittime di violenza, le quali da adulte possono fare fatica a riconoscere i segnali di una relazione abusiva. 


Il maltrattamento e l’abuso da parte dei caregiver primari genera quindi attaccamenti patologici, ed è per questo che talvolta le vittime dichiarano di “sentirsi più sicure” con l’abusatore.


Le difese messe in atto dalle donne vittime di violenza


Dolores Mosquera ha riportato all’interno del suo libro alcune ricerche scientifiche, tra cui quella di Leonore E. Walker sulla violenza domestica (1979), psicologa americana. Fu lei a introdurre il concetto di “ciclo della violenza” che porta a uno stato di assoggettamento e manipolazione della donna.


Come professionisti, per lavorare con questi tipi di pazienti è fondamentale conoscere non solo la spirale della violenza ma anche quali sono le difese a cui le vittime ricorrono per proteggersi mentalmente. Alcune delle più comuni sono le seguenti:


  • negazione, meccanismo di difesa interno per il quale la vittima non è in grado di prendere coscienza di ciò che è avvenuto
  • razionalizzazione, la paziente funziona solo a livello cognitivo, interpretando e giustificando senza connettersi emotivamente
  • evitamento, spesso combinata a quella di negazione, la paziente evita il problema che noi vogliamo esplorare e si concentra su un altro, di solito meno rilevante
  • proiezione, una delle più difficili da individuare, permette alla vittima di eliminare il suo disagio e le sue difficoltà spostandoli da sé stessa agli altri
  • minimizzazione, spesso legata alla tendenza di relativizzare ciò che è accaduto, affermando “questo l’ho completamente superato”
  • compiacenza, adattarsi a ciò che gli altri vogliono mettendo da parte i propri desideri e i propri bisogni. 


Che tipo di intervento proporre


È comune che una donna vittima di violenza all’interno del suo processo di cambiamento, alterni fasi diverse, a seconda della consapevolezza e della sua storia personale. È importante, quindi, iniziare con una raccolta di informazioni primarie, ricordandoci che spesso queste pazienti sono stanche di raccontarsi e scoraggiate dalle esperienze passate.


Per questo motivo Mosquera non si stanca mai di ribadire quanto sia importante instaurare, fin dai primi incontri, una solida alleanza terapeutica. In generale, si possono dividere le informazioni da raccogliere nel colloquio clinico in cinque punti:


  1. situazione attuale, consapevolezza del problema e grado di rischio
  2. sintomi o problemi piú limitanti
  3. storia di traumi passati
  4. risorse della persona
  5. rete di supporto sociale.


Una volta esplorati questi aspetti in un contesto di validazione delle emozioni delle pazienti, si può iniziare ad aiutarle a districarsi dalla situazione fissando, insieme a loro, degli obiettivi settimanali realistici e iniziando a trasmettere tranquillità e fiducia. 


La fase di stabilizzazione


Molto importante è fare un uso sapiente delle tecniche di contenimento e stabilizzazione. Il primo contatto avviene in un momento critico in cui sarà necessario stabilizzare e contenere le emozioni senza esplorare troppo la storia della vittima e rispettando i tempi di ciascuna.


La fase di stabilizzazione deve includere aspetti emotivi, economici e fisici. É necessario sia esplorare ciò di cui la vittima e i suoi figli, se presenti, hanno bisogno affinché lei si senta in grado di sostenere la situazione immediata, sia valutare possibili presidi a cui la paziente può essere indirizzata per proteggersi.


Il ruolo dell'EMDR


Alcune delle tecniche proposte da Mosquera per l’intervento clinico sono la mindfulness, le strategie di rilassamento, le tecniche di radicamento (grounding) e l'EMDR.


L’EMDR può essere utilizzata per superare un possibile impasse in terapia dato dalla presenza dell’idealizzazione e dei conseguenti sentimenti di ambivalenza comuni nelle vittime di violenza di genere, che possono sentire la mancanza del perpetratore o provare sentimenti irrealistici di difettosità e autocolpevolizzazione.


L’uso massiccio di una difesa come l’idealizzazione può infatti impedire il pieno accesso ai ricordi traumatici sottostanti, necessario per l’elaborazione del trauma. Questo tipo di lavoro, da fare con estrema cautela e rispetto per la paziente, può portare un grande beneficio terapeutico.


All’interno del libro sono riportati esempi di interventi con queste tecniche e approcci, andando a sottolineare sia i limiti che le situazioni critiche che un professionista può trovarsi ad affrontare. 


Cosa ci insegna questa lettura


Nonostante la delicatezza e la difficoltà del tema affrontato, Dolores Mosquera riesce a trasmettere a ogni lettore, professionista della salute mentale e non, una rappresentazione attuale e reale di un sistema che ha ancora tanto da imparare sulla gestione delle donne vittime di violenza.


Gli stralci delle storie che si leggono all’interno del libro, più o meno sconnesse, sono la testimonianza reale di chi ancora non riesce a trovare il coraggio e la forza di affrontare quello che le accade.


Il modello di intervento proposto da Mosquera vuole essere una prima guida per i terapeuti e le terapeute che vogliono accostarsi al lavoro con le donne vittime di violenza e con chi perde una persona cara a causa della violenza di genere. 


Questo è un contenuto divulgativo e non sostituisce la diagnosi di un professionista. Articolo revisionato dalla nostra redazione clinica

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