Geminello Alvi è un economista che scrive. Narra delle seduzioni economiche, della storia dell'economia del mondo, di rendite, di capitalismo, ma anche di vite fuori dal comune. E poi racconta degli eccentrici.
Eccentrici si presenta come un volumetto tascabile, agile, capace di compattare in 170 pagine una sfilata di quarantadue personaggi, alcuni conosciuti, altri meno, a cui ti affezionerai di nuovo, con tutta la tenerezza del mondo.
L’allegra brigata dei Quarantadue suonerà come un déjà-vu per gli addetti ai lavori e come una festa di dervisci per chiunque altro. L’ho scelto perché, da collega a collega, la sequenza di queste persone che sono diventate personaggi, che a volte hanno storie bislacche, a volte comunissime, mi ricorda l’andirivieni che testimoniamo ogni giorno nei nostri studi (reali o virtuali che siano).
Eccentrici non ha una trama: ne ha 42, piccole e densissime e sta a noi risuonare con le storie di ognuno. Come quando facciamo il nostro mestiere, insomma.
L’autore edita il libro nel 2015 per Adelphi, all’età di sessant’anni: un lasso di tempo sufficientemente frenetico da poterne scrivere adeguatamente, almeno con una certa cognizione di causa, immagino. Un tempo corposo, ma appena necessario per disimparare a osservare gli altri cercando il “perché” e interessandosi al “come”. Alvi mi sembra eccezionalmente gestaltico in questo.
Questo libro e questi personaggi, infatti, mi hanno ricordato perché faccio il mestiere che faccio con gli strumenti che uso. Quando scoprii la percezione, la Gestalt e la fenomenologia e ne fui disorientata. Da quest’ultima poi maggiormente, per la sua natura così profonda e superficiale insieme.
Mi si insegnava che fosse un gran metodo per comprendere il mondo e che avesse ancora molto da rivelarci, soprattutto quando applicata alla relazione con la realtà e con gli esseri umani. Anzi meglio, tra gli esseri umani e con la realtà.
In buona sostanza, la fenomenologia studia le essenze, astraendole dalle esistenze, per poi ricollocarle lì dove le ha prese. I filosofi ci si scervellano ancora e anche io, ma provo a renderla più digeribile per noi del mestiere della psicologia: la fenomenologia è quella lente che consente di entrare in contatto con la bellezza che ci circonda.
È a tutti gli effetti un metodo di conoscenza, uno strumento che permette a chi lo esercita di lasciarsi meravigliare dal mondo (e dalle persone) così per come si presenta.
Merleau-Ponty riassume la questione molto meglio di me: “Non si tratta di spiegare o di analizzare, ma di descrivere". In pratica, significa stare nella relazione mentre si svolge, esistendo con la persona di fronte a noi, nella cornice della relazione terapeutica, come esseri umani.
Potrebbe sembrare un esercizio inverso a quello psicologico, così storicamente affannato nel capire “il dietro le quinte”, quello di lasciarsi sorprendere dalla profondità della superficie ed estaticamente farsi travolgere, meravigliandosi dello spettacolo dei nostri pazienti.
Non solo gestalticamente parlando, ne vale la pena.
“Eccentrici” mi ricorda tanto Eugen Fink, ultimo allievo di Husserl, quando parla di fenomenologia e dice che è “stupore di fronte al mondo”. E io, francamente, mi sono stupita.
E mi stupisco sempre e continuamente quando penso a quanto questo libro mi sia sembrato una giornata in studio, con tutte le rivoluzioni e le piroette delle persone che diventano pazienti, che si raccontano in questa stanza che a volte non è nemmeno una stanza reale, ma virtuale quando si pratica da remoto.
Ogni ora, ogni volta, è “un'esperienza rinnovata del proprio cominciamento”, giacché mai la fenomenologia, come la psicoterapia e come la vita, possono dar luogo a proposizioni definitive (qua è sempre Merleau-Ponty che suggerisce, appassionatissimo).
Ed essere-con il paziente è interessante per il terapeuta perché il suo compito ultimo è comprendere i vissuti del paziente come essi si danno all’ascolto, stando definitivamente, attivamente in relazione (come ricordano Spagnuolo Lobb e Francesetti).
Leggendo il libro, mi sono intenerita degli albori di Archibald Alexander Leach, “così virile da essere fragile”, che sigaretta dopo sigaretta è diventato Cary Grant.
Sono stata affascinata da Emilio Salgari, l’orientale pigro, e da Tolkien il filologo innamorato. Sono stata persino rapita dall'imperturbabilità di Buster Keaton, dall’estro benefattore Pellegrino Artusi e dal fosco gentiluomo Mr. Lovecraft. Innamorata, infine, della conturbante Ninotchka.
Ho allenato, leggendo e rileggendo queste descrizioni, la facoltà della percezione: strumento fondamentale della materia gestaltica e grande spunto per ogni curioso che così voglia battezzarsi. Lasciando andare quel Pensiero che tanto mal di testa a volte procura, grazie alla fenomenologia e alla Gestalt ho scoperto che “mondo non è ciò che penso, ma ciò che vivo”, come dice il sempre illuminato Merleau-Ponty.
E la percezione ci salva, sempre e ancora una volta, quando non sappiamo dove andare e dove sbattere questa testa piena di pensieri: ché per svuotarla basterebbe stare-con la percezione, apprezzare la descrizione che la persona fa di sé quando diventa paziente, in ultima analisi permettersi di meravigliarsi, come suggeriva il saggio Erving Polster.
Mi aiuta il maestro Piero Cavaleri quando dice: “Ritengo che uno degli aspetti più specifici dell’approccio gestaltico risieda nel focalizzarsi su quanto accade fra terapeuta e paziente nel momento stesso del loro incontro”, chiosa sempre con stile e mi riempie di liberazione.
L’interpretazione non è più necessaria quando questi esseri umani fuori dall’ordinario ci sfilano davanti. Alvi ne sceglie quarantadue, e chissà quale criterio ha utilizzato per scegliere appositamente quelli, giacché ogni volta che una nuova persona varca la soglia dell’incontro, se ascoltata e osservata con sufficiente interesse, nelle movenze, nelle coreografie con cui occupa lo spazio, diventa straordinaria.
La percezione, però, non è mai infallibile, e tanto meno ci fornisce una conoscenza perfetta ed esaustiva delle cose che ci circondano, e nemmeno la fenomenologia, o la foto di questi personaggi.
La percezione si annoda con la fenomenologia, con la psicoterapia della Gestalt, con la nozione di campo, con il mio passato, con quello che ho imparato e soprattutto con il mio presente, che contiene tutto il resto e incontra qualcun altro. Due eccentrici in una stanza che non sanno nemmeno di esserlo.
Ancora, ciò che mi ha colpito poi è la particolarità dell’autore medesimo: un economista ardito, un eccentrico lui stesso, che ci illustra con fraseggi mai banali, linguaggi misti, uno stile confidenziale e sofisticato da crooner d’altri tempi, le vicende di persone a cui sembra abbia stretto la mano almeno una volta.
E se Kimura paragona l'esistenza ad una festa, questo testo ne riporta le cronache: navigatori, buddisti, pionieri, pittori, generali, digiunatori, alchimisti e domatori: li abbiamo incontrati tutti, e questa fila di perle nero su bianco ci regala il piacere di ascoltarli di nuovo, con garbo ci invita a essere curiosi ancora una volta.
L’interpretazione non è più necessaria, finalmente. Siamo liberati dalla fatica dei "perché": emerge il qui e ora, la vita stessa, il tratto indubitabile della percezione, cioè semplicemente che “c’è un mondo” o, meglio ancora, “c’è il mondo”.
Bibliografia
- Alvi, G. (2015). Eccentrici. Adelphi Edizioni spa.
- Cavaleri, P. A. (2003). La profondità della superficie. Percorsi introduttivi alla psicoterapia
- della Gestalt (Vol. 63). FrancoAngeli.
- Kimura B. (2005, ed. or. 1992). Patologia dell’immediatezza.
- Kimura, B., Salonia, G., & Cavaleri, P. (2013). Tra: per una fenomenologia dell'incontro. Il
- pozzo di Giacobbe.
- Merleau-Ponty, M. (1965). Fenomenologia della percezione, trad. it. a cura di A. Bonomi,
- Bompiani, Milano.
- Spagnuolo Lobb M., Francesetti G. (2013). Fenomenologia, in Nardone G., Salvini A. (a
- cura di), Dizionario Internazionale di Psicoterapia, Milano: Garzanti Editore.