Cosa succede quando un libro ci mette davanti a uno specchio, ma allo stesso tempo ci invita a salire sul palco per cambiare il nostro destino? È esattamente questa la sensazione che si prova leggendo La generazione ansiosa di Jonathan Haidt, pubblicato in Italia nel 2024 da Rizzoli.
Haidt, psicologo sociale e autore di bestseller come The Righteous Mind e The Coddling of the American Mind, unisce decenni di ricerca sull'etica, la morale e l'impatto dei social media, per offrire una riflessione lucida e disarmante sul “grande riprogrammamento” che sta riscrivendo l’infanzia e l’adolescenza. Ma, mentre leggiamo, non siamo solo osservatori passivi: siamo partecipanti attivi, parte del problema e della soluzione.
Ansia tra gli adolescenti: qualche dato
I dati non lasciano spazio a dubbi. Tra il 2012 e il 2018, il tasso di adolescenti che soddisfano i criteri per un disturbo d’ansia è salito dal 34,1% al 44% in alcune regioni degli Stati Uniti.
Non solo, ragazze e giovani appartenenti a gruppi stigmatizzati hanno visto un aumento significativo dell’ansia, spesso più marcato rispetto ad altri gruppi, evidenziando disuguaglianze preoccupanti (Parodi et al., 2022).
Sappiamo inoltre che non trattare l’ansia in adolescenza può avere conseguenze in età adulta, come un aumento del rischio di dipendenze e depressione (Woodward & Fergusson, 2001).
Haidt, tuttavia, non si limita a descrivere questo fenomeno: ci guida verso una comprensione profonda di come le dinamiche sociali, tecnologiche e culturali stanno riscrivendo l’infanzia e i cambiamenti adolescenziali, aumentando la pressione su una generazione che già fatica a reggere il peso delle aspettative.
Se è vero che l’ansia è un disturbo spesso sottovalutato e poco diagnosticato (Garcia & O’Neil, 2020), allora questo libro è più di una lettura: è un invito a riconoscere il problema e a fare qualcosa per affrontarlo.
Ecco perché La generazione ansiosa non è solo un libro da leggere. È una lente per capire il presente e tutelare il futuro.
L'ansia e i social media: un problema generazionale
Andiamo dritti al punto: Jonathan Haidt, nel suo ultimo libro, analizza come l’uso massiccio e non regolamentato degli smartphone e dei social media, associato a un modello di iperprotezione genitoriale, abbia trasformato radicalmente l’infanzia e l’adolescenza, contribuendo all’aumento di ansia, depressione e isolamento sociale, soprattutto tra i membri della Generazione Z.
L’autore definisce questa trasformazione una vera e propria “grande riconfigurazione” dell’infanzia, in cui la tecnologia digitale e gli algoritmi progettati per massimizzare l’engagement spingono gli utenti verso una iperconnessione costante, alimentando un circolo vizioso di validazione sociale.
In questo volume, interazioni e notifiche sono presentati come rinforzi e strumenti capaci di creare una dipendenza psicologica dai social network, sostituendo il gioco fisico e le interazioni reali con un mondo virtuale che amplifica ideali e comportamenti irrealistici.
Haidt, consapevole del rischio di abbandonare il rigore accademico per un approccio divulgativo, costruisce il suo lavoro su una vasta bibliografia. La forza del libro risiede nella capacità di porre al centro della discussione variabili cruciali, che non possono essere ignorate nel dibattito sul benessere psicologico dei giovani.
L’autore inoltre, fin dalle prime pagine, evidenzia come le grandi aziende tecnologiche siano consapevoli dei rischi psicologici e sociali legati all’uso dei loro prodotti. Il libro, in alcuni passaggi, assume quindi i toni di una vera e propria inchiesta, paragonando le strategie di insabbiamento di queste aziende a quelle adottate in passato dalle multinazionali del tabacco.
Secondo Haidt, la dipendenza psicologica dei giovanissimi non è un fenomeno casuale, ma il risultato di scelte deliberate: risorse enormi vengono investite per mantenere gli utenti agganciati al mondo virtuale, ignorando consapevolmente gli effetti deleteri sulla salute mentale e sociale.
Un altro aspetto critico evidenziato dall’autore riguarda la mancanza di una regolamentazione adeguata. Le leggi attuali, risalenti a un’epoca in cui i social media non esistevano, risultano del tutto insufficienti per gestire i rischi del mondo digitale.
Questa lacuna normativa consente alle piattaforme tecnologiche di operare senza vincoli significativi, esponendo gli utenti, specialmente i più giovani, a un ambiente destabilizzante, che mina il loro sviluppo emotivo e li espone a contenuti spesso inappropriati.
Dal reale al digitale
Lo spostamento dal reale al digitale può avere profonde implicazioni, riducendo il tempo dedicato ad attività fondamentali come il sonno, il gioco libero e la socializzazione faccia a faccia.
Recentemente sempre più studi sembrano dare valenza alle considerazioni di Haidt. Mundy et al. (2020), per esempio, hanno evidenziato una correlazione tra l’uso intenso dei social network e un significativo aumento dei sintomi di ansia e depressione, in particolare tra le ragazze.
Piteo e Ward (2020), in una revisione sistematica, hanno mostrato che l’uso prolungato o problematico dei social network è associato a maggiori livelli di disagio psicologico, sebbene alcuni fattori, come il supporto sociale percepito o la paura di essere esclusi (FoMO), possano moderarne gli effetti.
Inoltre, uno studio di Gray pubblicato sull’American Journal of Play (2011) associa la diminuzione del gioco libero, essenziale per lo sviluppo emotivo e sociale, all’aumento dei disturbi psicopatologici nei giovani.
Haidt sostiene che questa transizione da un’infanzia “fondata sul gioco” a un’infanzia “iperprotetta e iperconnessa”, sia iniziata negli anni Ottanta, per poi accelerare con la diffusione degli smartphone.
Di conseguenza, stiamo assistendo oggi alla formazione della prima generazione di adolescenti che ha trascorso un'infanzia in cui il tempo libero è stato costantemente mediato da dispositivi digitali.
Questo, unito a fattori precipitanti come la pandemia, ha ridotto notevolmente la possibilità di sviluppare relazioni corporee e sincrone, favorendo invece modalità di interazione frammentate e asincrone che, a lungo andare, rischiano di minare la capacità di creare legami profondi e significativi.
Gray, in particolare, sottolinea come il gioco libero in contesti reali non sia un semplice passatempo, ma una componente essenziale per il benessere mentale e lo sviluppo emotivo.
La sua progressiva scomparsa sembra avere un impatto sul disagio psicologico osservato in molti giovani, poiché la mancanza di esperienze di gioco fisico e interazioni dirette limita la crescita di competenze sociali e affettive fondamentali per affrontare le sfide della vita.
Resilienza e iperprotezione: un nuovo modello di infanzia
Tra le pagine del suo volume, l’autore mette in evidenza una discordanza che diventa rapidamente uno dei temi centrali della sua analisi: l’iperprotezione genitoriale nel mondo reale si combina, in modo apparentemente paradossale, con una preoccupante assenza di regolamentazione nel mondo digitale.
La “Grande Riconfigurazione” dell’infanzia non è solo il risultato della pervasività delle tecnologie digitali, ma riflette anche un cambiamento profondo nelle dinamiche familiari. Da un lato, i genitori limitano sempre di più l’autonomia dei figli, controllandone le attività fisiche e le esperienze quotidiane. Dall’altro, sono spesso impreparati a mediare e regolamentare l’uso della tecnologia, lasciando i più giovani esposti alle insidie del mondo virtuale.
Questo duplice squilibrio crea un circolo vizioso pericoloso: i ragazzi, iperprotetti nel mondo reale, cercano spazi di autonomia nel digitale, dove però trovano un ambiente caotico e spesso inadeguato. Questa esposizione incontrollata li rende ancora più vulnerabili, amplificando il bisogno di controllo genitoriale e aggravando ulteriormente la fragilità emotiva.
Tale dinamica è confermata da studi come quello di Hwang, Choi, Yum e Jeong (2017), che analizzano il ruolo cruciale del modello educativo nella gestione dell’uso degli smartphone. I risultati indicano che uno stile genitoriale autorevole, basato su un equilibrio tra regole e autonomia, favorisce sia una maggiore percezione di autoefficacia nei genitori, sia una mediazione attiva e restrittiva nell’uso della tecnologia da parte dei figli.
Al contrario, uno stile permissivo, spesso associato alla dipendenza tecnologica degli stessi genitori, ostacola l’implementazione di regole efficaci, lasciando i bambini alla mercé delle logiche spesso manipolative delle piattaforme digitali.
Risulta evidente come, in questo contesto, un’informazione chiara e libera su questi temi sia essenziale per sensibilizzare genitori e istituzioni. Fornire ai genitori conoscenze realistiche sui pericoli del mondo digitale, insieme a strategie per bilanciare protezione e autonomia, è fondamentale per supportarli nel loro ruolo educativo.
Contestualmente, una maggiore consapevolezza pubblica può incentivare interventi normativi e culturali volti a garantire ai giovani ambienti reali e virtuali più sicuri e stimolanti per il loro sviluppo emotivo e sociale.
Le proposte di Haidt per migliorare la salute mentale dei giovani
Allora, cosa fare? L’intento divulgativo di Jonathan Haidt è talmente chiaro che non si preoccupa nemmeno di creare suspense: la risposta breve a questa domanda è sul retro del suo libro. L’autore propone quattro semplici linee guida per aiutare genitori, insegnanti e istituzioni a contrastare gli effetti negativi della pervasività tecnologica.
- evitare l’introduzione di smartphone prima delle scuole superiori, per permettere ai giovani di sviluppare competenze sociali e cognitive senza le distrazioni digitali
- vietare l’uso dei social media fino ai 16 anni, momento in cui le capacità di regolazione emotiva e critica sono più consolidate
- adottare politiche scolastiche che vietino l’uso dei cellulari durante le ore di lezione, creando spazi di apprendimento e socializzazione liberi da interferenze
- promuovere il gioco libero e non supervisionato, fondamentale per sviluppare resilienza, autonomia e capacità di affrontare i rischi della vita reale.
Haidt sottolinea l’importanza di bilanciare il rapporto con la tecnologia con esperienze autentiche nel mondo reale. Per lui, si tratta non solo di proteggere i giovani da contenuti potenzialmente dannosi, ma anche di permettere loro di costruire una mente antifragile, in grado di crescere grazie all’esposizione a sfide reali.
Le sue proposte non rappresentano soluzioni definitive, ma un punto di partenza per affrontare un problema urgente che, se non affrontato, rischia di compromettere il benessere di un’intera generazione.
Un telefono che squilla a cui decidere se rispondere
La Generazione Ansiosa si distingue per la capacità di affrontare temi estremamente attuali e rilevanti, in modo chiaro e diretto. Questo approccio rappresenta sia un punto di forza che una criticità.
Haidt costruisce la sua analisi utilizzando un ampio corpus di ricerche accademiche e statistiche, stimolando un dibattito fondamentale sulla qualità della vita dei giovani e sui profondi cambiamenti sociali legati all'era digitale.
Per farlo, l’autore aggrega numerosi dati provenienti da correnti e tradizioni diverse, cercando di stabilire una relazione di causalità piuttosto che limitarsi a evidenziare una semplice correlazione.
Questo approccio rende il suo messaggio facilmente comprensibile, ma espone il libro a critiche da parte di coloro che sollevano dubbi sul rigore scientifico della sua tesi.
Nonostante queste considerazioni tecniche, però, è impossibile ignorare l’importanza dei temi trattati. Lo stesso Haidt riconosce i limiti del suo approccio, ma ribadisce che la questione non può essere rimandata.
In quanto psicologo sociale e non clinico, l’autore offre una prospettiva che privilegia l’analisi dei fenomeni su scala collettiva. Sebbene questo posizionamento metodologico possa essere visto da alcuni accademici come una semplificazione, risulta utile per comprendere l’impatto culturale e sociale della "Grande Riconfigurazione" dell’infanzia.
L’idea che la combinazione di iperprotezione nel mondo reale e l’iper-esposizione a stimoli virtuali abbia contribuito a rimodellare le connessioni sinaptiche e le esperienze formative degli adolescenti è una provocazione che merita attenzione da parte dei cittadini, delle aziende del settore e delle istituzioni.
Il dibattito non può più essere rinviato: la psicologia dell’adolescenza ha bisogno di risposte urgenti, non solo per comprendere l’origine della crisi attuale, ma anche per proporre soluzioni pratiche. In questo processo, il libro di Haidt rappresenta una tappa importante, mettendo al centro del discorso pubblico la necessità di ripensare l'educazione digitale e il ruolo della tecnologia nella vita dei giovani. Un tema che brilla come una notifica non può essere più ignorato.