La sensazione d’impotenza nel proprio lavoro, legata alla percezione di perdita dell'autonomia decisionale, provoca uno stress intenso, associato al burnout. Le ricerche su questo fenomeno si sono sempre focalizzate sugli aspetti negativi della sindrome, per evidenziarne gli aspetti sintomatici e proporre strategie per ridurli. Solo di recente l’attenzione si è spostata sul benessere dell’individuo, sulle potenzialità e sulle risorse personali e sociali, introducendo il concetto di work engagement.
Christina Maslach, psichiatra americana e psicologa sociale, fu la prima ad utilizzare la definizione “Burnout Syndrome” per indicare una situazione che aveva avuto modo di osservare con frequenza sempre maggiore negli operatori dei servizi socio-sanitari.
Dopo mesi o anni di impegno, essi manifestavano un atteggiamento di nervosismo ed irrequietezza o di apatia, indifferenza e, talvolta, cinismo nei confronti del loro lavoro. Maslach ha individuato tre aspetti rappresentativi del burnout:
- l’esaurimento emotivo, ossia il sentimento di chi si sente emotivamente svuotato e annullato dal proprio lavoro, per effetto di un sovraccarico lavorativo;
- la depersonalizzazione, intesa come un atteggiamento di allontanamento e rifiuto (come risposte comportamentali negative e sgarbate) nei confronti di coloro che richiedono o ricevono la prestazione professionale, il servizio o la cura.;
- la ridotta realizzazione personale, in riferimento alla percezione della propria inadeguatezza al lavoro, la caduta dell’autostima e il sentimento di insuccesso rispetto alle mansioni.
Per misurare questi aspetti Christina Maslach ha elaborato un famoso test sul burnout il Maslach Burnout Inventory.
Fattori individuali nelle cause del Burnout
La ricerca in psicologia del lavoro e delle organizzazioni sulle cause del Burnout si è orientata nell'individuazione dei fattori individuali e dei fattori organizzativi che sono associati alla sindrome. Tra i fattori individuali ci sono:
- tratti di personalità
- atteggiamento verso la professione;
- esperienza precedente.
Per quanto riguarda i tratti di personalità, sembra che gli individui con una “personalità di tipo A”, cioè inclini a uno stile di vita attivo e competitivo, siano esposti maggiormente allo stress da lavoro e, di conseguenza, ad essere con più probabilità vittime del Burnout.
Gli individui differiscono, inoltre, nel grado in cui credono di avere il controllo degli eventi nella loro vita. C'è chi ritiene che gli eventi dipendano esclusivamente dalle proprie capacità e volontà, oppure chi ritiene di essere alla mercé del destino o di fattori esterni al proprio controllo. Gli “esterni” sono più propensi a credere di non aver alcun potere su una situazione e, di conseguenza, tenderanno a ritirarsi di fronte allo stress, subendone gli effetti.
La ricerca evidenzia due serie di atteggiamenti verso la professione:
- un orientamento di ruolo “professionale”, che tende ad enfatizzare l’autonomia e le decisioni individuali;
- un orientamento di ruolo “burocratico”, che enfatizza l’efficienza, la standardizzazione e la sottomissione all’autorità organizzativa.
Si è osservato che lo stress è potenzialmente più elevato in coloro che hanno allo stesso tempo alti valori di tipo burocratico e professionale. Anche la misura in cui si è acquisita esperienza nel passato è determinante nel modo in cui si affronterà lo stress nel presente e nel futuro.
Fattori organizzativi
I fattori organizzativi si riferiscono allo squilibrio tra risorse e richieste: in alcuni casi, le richieste superano le risorse, in altri casi le risorse eccedono le richieste, con una conseguente mancanza di stimolazione.
Gli sforzi del lavoratore per raggiungere il successo psicologico e la sensazione di efficienza, dipendono anche dalla distribuzione del potere all'interno di una realtà lavorativa. Le decisioni possono essere prese:
- dalla stessa persona (decisione autonoma);
- da quella persona con un gruppo di altre persone (decisione collettiva);
- dalla singola persona o gruppo che forma la supervisione (decisione gerarchica).
Dalla cura dei sintomi alla prevenzione: il work engagement
In questa nuova prospettiva è stato studiato un fenomeno legato al burnout: il work engagement. Esso può essere definito come uno stato mentale positivo caratterizzato da:
- vigore
- dedizione
- assorbimento nel lavoro.
Più che ad una condizione specifica e momentanea, si riferisce ad uno stato cognitivo-affettivo più persistente, non focalizzato esclusivamente su un oggetto, un evento o una situazione particolare. Il work engagement è considerato il contrario del burnout: ciò che comincia come importante, pieno di significato e competitivo diventa poi spiacevole, insignificante e inappagato.
Come favorire il work engagement?
Occorre una rimodulazione dei rapporti di lavoro, con l'obiettivo di sviluppare un senso di reciprocità e di supporto. Fondamentale è, inoltre, il coinvolgimento attivo del lavoratore. Un ambiente lavorativo che sostiene l’autonomia fornisce i motivi per cui una persona dovrebbe impegnarsi in un’attività:
- offrendo la possibilità per il lavoratore di scegliere;
- conoscendo i sentimenti della persona attraverso il suo lavoro;
- incoraggiando la persona a mettersi in gioco attraverso le proprie iniziative.
In tali contesti viene promossa la motivazione autonoma (chiamata “intrinseca”) in opposizione alla motivazione indotta (definita “estrinseca”).
Si è visto come le strategie d’intervento che non mirano al singolo individuo, ma al gruppo, rappresentano un fattore preventivo determinante, con il presupposto che è dal clima collettivo che origina il benessere individuale. Uno stato mentale positivo garantisce maggior produttività, risultando vantaggioso sia al singolo lavoratore, sia all'organizzazione stessa.