L’utilizzo di strumenti e giochi nella pratica clinica non è un aspetto nuovo. Ne sono un esempio le carte di Dixit, un gioco nato nel 2002 da un’idea dello psichiatra infantile Jean-Louis Roubira, specializzato nella relazione madre-bambino. Le carte sono caratterizzate da immagini destrutturate, disegni volutamente ambigui e fantastici che non rimandano a significati simbolici precodificati.
La forza del gioco è legata alle caratteristiche delle carte, costituite da disegni ambigui e fantastici che, usate come strumento nella pratica clinica, consentono l’accesso alla dimensione del simbolico e del profondo del paziente.
Se utilizzate in specifici momenti della terapia e con una specifica consegna, saranno di grande aiuto nell’accesso per il paziente, così come per il terapeuta, a emozioni e vissuti profondi del paziente stesso. Questi elementi poi troveranno spazio nel processo di co-costruzione del percorso terapeutico.
Le tante e diverse carte del gioco sono costituite da immagini atemporali e impersonali, con rimandi alla realtà ma che proiettano il paziente in un mondo fiabesco e onirico. Stimolano l’accesso al suo mondo profondo e simbolico, a vissuti latenti con cui il paziente fa fatica a connettersi.
Il gioco nella terapia clinica
Nella clinica, il gioco consente la creazione di uno spazio intermedio in cui:
- terapeuta e paziente si incontrano;
- si illuminano gli angoli oscuri;
- il cambiamento non viene forzato ma si aumenta il numero di nuove possibilità.
L’utilizzo del gioco non evoca connessioni con il mondo del paziente solamente nella durata della seduta, ma ha spesso effetti nel tempo. Ciò che emerge durante il gioco, infatti, lavora poi dentro il paziente e ritorna nelle narrazioni successive.
Le carte all’interno della terapia individuale
In terapia si può utilizzare il gioco con diverse finalità. Nel lavoro clinico individuale si possono utilizzare i mazzi di carte con diversi scopi. Anche in maniera rituale, all’inizio di ogni seduta, si può fare il gioco per stimolare il paziente a connettersi con le sue emozioni e i suoi vissuti in quella fase specifica della sua vita, chiedendogli di scegliere una carta che descrive il suo umore del giorno.
Possiamo scegliere di utilizzare le carte anche con la finalità di esplorare le relazioni del paziente con alcune persone significative della sua vita. Nel setting terapeutico individuale ciò consente di mettere in connessione il paziente con il suo mondo interiore e con i vissuti delle sue esperienze di vita in maniera ludica e non invasiva.
Il gioco di coppia
L’uso del gioco trova utile impiego anche nel setting di coppia che, rispetto ad un setting di terapia individuale, vede coinvolte due persone legate da una relazione affettiva. In questo tipo di contesto clinico l’utilizzo delle carte può rivelarsi di grande utilità sia per la coppia che per il terapeuta, per esempio con lo scopo di:
- ripercorrere le tappe della formazione e dell’evoluzione della coppia nel tempo;
- individuare i momenti di difficoltà e le azioni messe in atto per superarli.
Nel gioco della terapia di coppia le carte possono trovare utilizzo nel lavoro su individuazione e differenziazione dei differenti ruoli, quello coniugale e quello genitoriale.
Un gioco per il cambiamento in terapia
Lo strumento delle carte, dunque, si può rivelare molto importante nel processo terapeutico verso il cambiamento in terapia. È importante che il terapeuta conosca i mazzi e li scelga in funzione della consegna, ma anche del paziente e del momento della terapia in cui si decide di utilizzarle.
È necessario curare il clima all’interno della relazione in cui si utilizzano le carte e prevedere il giusto tempo perché il paziente possa scegliere e riconoscere nelle immagini aspetti che evocano in lui:
- vissuti conosciuti ed emozioni profonde;
- connessioni con il vissuto presente e con pezzi della sua storia passata.
È possibile, dunque, utilizzare il gioco al fine di esplorare e sperimentare nella terapia insieme al paziente altre possibilità, abbandonare narrazioni di sé statiche e che bloccano, per accedere a narrazioni altre, nuove che curano.