Oggi la salute viene concepita in un’ottica bio-psico-sociale ed è definita dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) come “uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non semplicemente l'assenza di malattia o infermità.”
Secondo quanto emerge dal sito del Ministero della Salute, la salute mentale ha un forte impatto a livello economico e l’obiettivo è quello di puntare maggiormente alla prevenzione per evitare gli elevati costi a livello mondiale. Per sensibilizzare sul tema è stata anche istituita una giornata mondiale della salute mentale, che si celebra ogni anno il 10 Ottobre.
Un tuffo nel passato
Fino agli anni Settanta, ma purtroppo anche molto dopo, chi soffriva di disturbi mentali veniva rinchiuso nei cosiddetti “manicomi”, luoghi spesso sporchi e maleodoranti in cui si consumavano vere e proprie torture e in cui mancava qualsiasi forma di rispetto, di libertà e di dignità dell’essere umano.
I pazienti venivano legati al letto con cinghie e cinture, venivano picchiati, rinchiusi, nascosti e confinati. Erano malnutriti, subivano elettroshock e metodi di contenzione lontani da ogni forma di cura. Nel libro Centro di Igiene Mentale. Un cantastorie tra i matti, dell’artista Simone Cristicchi, viene ben resa l’idea di cosa fossero i manicomi. Sono descritti da pazienti ricoverati, che scrivevano lettere, spesso mai recapitate, ai loro cari.
Che manicomio!
L’articolo 1 della legge Giolitti del 1904 disponeva:
“Debbono essere custodite e curate nei manicomi le persone affette per qualunque causa da alienazione mentale, quando siano pericolose a sé o agli altri e riescano di pubblico scandalo e non siano e non possano essere convenientemente custodite e curate fuorché nei manicomi.”
Così, persone ritenute pericolose, soprattutto per gli altri, venivano rinchiuse nei manicomi senza possibilità di guarire e di uscirne. Venivano rinchiuse anche persone che non erano affatto pericolose e che non avevano alcun bisogno di cure particolari che necessitassero la reclusione in un ospedale.
Un paziente veniva dimesso solo se il direttore dell’Ospedale Psichiatrico se ne assumeva la responsabilità, avvisando il Procuratore del Re e presentando le dimissioni del paziente a un rappresentante dell’ordine pubblico, l’unico che poteva decidere per un ritorno del paziente in società.
La Legge 431 del 1968, denominata Provvidenze per l’assistenza psichiatrica fece diminuire i ricoveri forzati e, per supportare i pazienti dimessi dai manicomi, vennero creati in tutto il territorio nazionale i Centri di Igiene Mentale.
La Legge Basaglia
Nel 1978 fu emanata la Legge 180 denominata Legge Basaglia, grazie alla quale l’Italia predispone per prima in Europa la chiusura dei manicomi.
Questa chiusura ha dato una fondamentale importanza ai servizi ambulatoriali su tutto il territorio e all’istituzione dei Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura, divisioni di psichiatria destinate al trattamento dei pazienti acuti degli ospedali.
La Legge Basaglia venne recepita nella Legge 833 del 23 dicembre 1978, che istituiva il Servizio Sanitario Nazionale. Il principio fondante di tale legge era che, alla base del trattamento sanitario, doveva esserci il bisogno di cura di ogni singola persona.
Oggi
La riforma della psichiatria ha fortunatamente restituito dignità e diritti alle persone, consentendo loro di ricevere un’assistenza orientata all’integrazione nella società.
Lo psichiatra Peppe Dell’Acqua, promotore della battaglia per la chiusura dei manicomi insieme a Franco Basaglia, dice nel suo libro:
“Riportare persone con disturbo mentale nell’ambito della normale fruizione di beni, delle leggi e dei servizi rappresenta, oggi, la più importante via di uscita dalla spirale disturbo mentale-etichettamento-emarginazione”
Oggi i manicomi sono stati sostituiti da:
- centri di salute mentale
- strutture residenziali psichiatriche
- residenze per le misure di sicurezza (REMS)
- progetti di sostegno alla persona
- assistenza domiciliare.
Lavoro d’equipe
Per evitare un ritorno al passato, bisogna rafforzare il territorio dando impulso ai Dipartimenti di salute mentale e creare una cabina di regia regionale forte, che dialoghi con gli enti locali. Oggi più che mai si rivela necessario, direi obbligatorio, un lavoro di equipe e in rete, svolto dai diversi professionisti dei vari settori della salute mentale per assicurare:
- una cura;
- una vera riabilitazione;
- un reale ed effettivo reinserimento sociale e lavorativo.
Ergastolo bianco
Qualche anno fa, l’allora ministra della Salute Beatrice Lorenzin, annunciava l'avvenuta chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG), parlando di "grande traguardo" sul fronte dei diritti umani e della salute mentale. Purtroppo però le REMS spesso replicano lo stesso schema di segregazione proprie degli ex OPG.
Inoltre vige il concetto di "pericolosità sociale", che può:
- essere rinnovato in base a rivalutazioni periodiche;
- portare, in alcuni casi, a quello che viene definito “ergastolo bianco”, una sorte di “fine pena mai”, da scontare nelle REMS o addirittura nelle residenze sanitarie che non sono attrezzate per i soggetti definiti pericolosi.
È, a mio parere, alquanto rischioso, sia per gli utenti che per il personale sanitario. L’ ergastolo bianco può essere assegnato a quelle stesse persone che un tempo venivano messe nei manicomi criminali, oggi REMS, che non possono però più accogliere lo stesso numero di persone del passato.
“Ogni gesto che dalla gente comune e sobria viene considerato pazzo coinvolge il mistero di una inaudita sofferenza che non è stata colta dagli uomini” Alda Merini