Nel nostro quotidiano lavoro come psicologi, tocchiamo con mano la complessità della vita delle persone e ci impegniamo a supportarle in ogni percorso terapeutico. Ci sono volte in cui, oltre che per il supporto al singolo individuo, ci sentiamo chiamati a contribuire a qualcosa di ancora più grande, che non può essere ignorato.
Abbiamo avuto la fortuna di conoscere la Fondazione Soleterre, la sua missione e il suo operato nei territori mediorientali afflitti dalla guerra e il suo progetto di realizzare il Soleterre Children Center, un centro per la cura del trauma psicologico infantile in Cisgiordania. Abbiamo scelto di contribuire alla sua realizzazione attraverso una donazione, perché la salute mentale sia sempre di più considerata un diritto inviolabile.
«Siamo profondamente toccati da ciò che sta accadendo in Palestina, una terra dove le vite, soprattutto quelle dei bambini, sono segnate da un conflitto incessante. Quando abbiamo incontrato il Dott. Rizzi e conosciuto il progetto del Soleterre Children Center, siamo stati felici di poter dare il nostro contributo, supportando concretamente un'iniziativa che riteniamo di grande valore.
Questo centro rappresenta molto più di un luogo di cura: è un simbolo di speranza e di possibilità di rinascita, in un contesto dove il diritto alla salute mentale è spesso negato. Intervenire sul benessere psicologico significa affrontare ferite invisibili che, se ignorate, potrebbero compromettere il domani di intere generazioni.
Sostenendo i bambini e gli operatori che li affiancano, vogliamo contribuire a gettare le basi per una ripresa stabile e duratura. Invitiamo tutti a unirsi a noi in questa missione: ogni contributo, piccolo o grande, può fare la differenza nel costruire un futuro più giusto e umano.» dichiara Danila De Stefano, CEO e Founder di Unobravo.
Sarà possibile infatti donare direttamente online alla Fondazione Soleterre, anche con un piccolo ma significativo contributo, e unirsi al progetto per la realizzazione del Soleterre Children Center.
In questa intervista, incontriamo il Presidente della Fondazione Damiano Rizzi, psiconcologo, psicoterapeuta, docente per il Master di Psicologia Pediatrica dell’ Università Cattolica e membro dell’Unità di Ricerca sul Trauma del Dipartimento di Psicologia dell’Università Cattolica, che ci racconta di più.
Soleterre in Cisgiordania: gli obiettivi del progetto Soleterre
Dott. Rizzi, grazie per questa intervista. Iniziamo subito con la prima domanda. In quale contesto si muove e quali sono gli obiettivi di questo progetto di Soleterre?
Credo che il contesto del progetto sia ben definibile dalla considerazione che si svolge all’interno dell’unico e ultimo ospedale rimasto in Palestina per la cura del tumore infantile.
Una realtà in cui i bambini palestinesi si ammalano di cancro in uno scenario di occupazione, dove la violenza strutturale si accompagna alla mancanza di adeguate possibilità di cura, sia fisica sia psicologica, per i traumi subiti. Traumi secondari alla malattia e al conflitto armato.
Nella Striscia di Gaza, le strutture sanitarie pediatriche sono state completamente distrutte, e i bambini con malattie croniche sono stati evacuati o lasciati senza accesso alle cure necessarie. Nonostante l'intensificarsi della violenza a Gaza e nei territori palestinesi occupati, non possiamo interrompere l'assistenza sanitaria per i bambini malati, in particolare per quelli affetti da cancro.
L’esperienza di Soleterre nella cura del cancro pediatrico maturata in contesti di emergenza e guerra evidenzia come, durante i conflitti, il rischio di morte legato agli attacchi al sistema sanitario aumenti significativamente.
Secondo il diritto internazionale, i bambini devono beneficiare di una protezione speciale, essere tutelati dalla violenza in ogni circostanza e avere accesso alle cure in qualsiasi condizione. È un diritto inviolabile.
L’intervento di Soleterre intende contribuire al miglioramento della salute fisica e mentale della popolazione palestinese in Cisgiordania, con particolare attenzione al benessere psicologico dei bambini oncologici e pediatrici e delle loro famiglie presso l'Ospedale Beit Jala, l’unico appunto ospedale per la cura del cancro infantile ancora attivo.
In un contesto in cui il conflitto ha reso sempre più fragile il sistema sanitario, i bambini malati di cancro sono tra le vittime più silenziose: per loro, la guerra significa quasi sempre una condanna. Il problema principale non è solo la carenza cronica di farmaci essenziali ma anche la difficoltà dei pazienti nel raggiungere gli ospedali, ostacolati dai checkpoint militari e da restrizioni imposte dall’occupazione israeliana.
I bambini oncologici, con difese immunitarie quasi inesistenti, non possono aspettare: senza cure, non hanno alcuna possibilità di sopravvivere.
Il nostro progetto mira a offrire cure sempre più complete ai piccoli pazienti. Uno degli obiettivi principali nel lungo periodo è la creazione di un centro per i trapianti di midollo osseo in Palestina, che permetterebbe di migliorare significativamente i tassi di sopravvivenza, soprattutto in caso di recidive tumorali.
A questo, aggiungiamo l’obiettivo specifico di fornire un supporto mirato, efficace e duraturo per aiutare nell'elaborazione del trauma legato all'accettazione della malattia, promuovendo un percorso di cura integrato e di sostegno emotivo.
Il trauma nei bambini è particolarmente complesso da affrontare. A differenza degli adulti, i bambini spesso non esprimono il loro dolore con parole, ma attraverso comportamenti, come l’aggressività, il silenzio. Utilizziamo molto il gioco e i disegni, con i materiali che abbiamo. Attività in cui i bambini rimettono in scena i loro traumi e possiamo identificare le loro necessità di aiuto.
La maggior parte dei bambini nelle zone di guerra porta il peso di traumi multipli: non solo la perdita di familiari o la violenza vissuta, ma anche il costante senso di insicurezza. Traumi che non si risolvono in breve tempo. Per questo grazie a raccolte fondi private possiamo restare anche dopo le emergenze perché i bambini hanno bisogno di un supporto continuativo, che in questi contesti è raramente garantito.
Non solo i pazienti: il lavoro con gli operatori sanitari e gli psicologi
Quali sfide affrontano gli operatori sanitari e psicologi nel fornire supporto ai bambini traumatizzati, soprattutto in contesti di emergenza e conflitto?
La sfida più grande è quella di essere parte della stessa popolazione colpita. A differenza della componente medica che può essere attivata da un contesto internazionale, gli psicologi sono quasi esclusivamente locali.
Seppur coordinati dal personale internazionale di Soleterre, provengono dagli stessi luoghi colpiti. Quindi si trovano, loro e i loro familiari, esposti e in una posizione che li rende preziosi per il supporto e l’aiuto che possono dare.
Quando gli operatori sanitari e gli psicologi si trovano a lavorare con bambini traumatizzati in contesti di emergenza e conflitto, affrontano sempre una realtà estremamente complessa e sfidante.
Contesti spesso privi o con poche risorse: in molte zone colpite da guerre o disastri naturali, le infrastrutture sanitarie sono in “crisi”, sovraffollate o sotto attacco, e trovare spazi sicuri per offrire supporto ai bambini diventa quasi impossibile. A volte riusciamo a spostare bambini dai luoghi sotto attacco e li curiamo in aree sicure.
A ciò si aggiunge, per i motivi che dicevamo prima o per la particolare formazione in età evolutiva e psiconcologia, la carenza di personale qualificato, ossia professionisti in grado di riconoscere e trattare i traumi specifici dell’infanzia. In alcune culture, poi, esiste uno stigma più profondo legato alla salute mentale, che scoraggia le famiglie dal cercare aiuto, anche quando i bambini mostrano segni evidenti di sofferenza.
Gli obiettivi del Soleterre Children Center
Come il Soleterre Children Center MHPSS mira a rispondere alle esigenze di supporto psicosociale e mentale di bambini e operatori sanitari?
Aprire uno spazio dedicato all’ascolto del dolore psichico dei bambini e degli operatori sanitari è già di per sé la creazione di un luogo in cui elaborare vissuti complicati dallo stato di malattia, traumi diretti o vicari negli operatori.
È noto che fattori psicologici, cognitivi, emotivi e motivazionali influenzano direttamente o indirettamente la salute fisica delle persone, contribuendo all'insorgenza e alla gestione di disturbi e malattie. Allo stesso tempo, la malattia ha un impatto significativo sul benessere psicologico.
Questo rende ancora più cruciale prendersi cura della salute mentale dei pazienti, soprattutto nel caso di patologie gravi come il cancro. Considerando che la popolazione palestinese è esposta a un rischio elevato di problemi di salute mentale a causa della violenza politica cronica e delle espropriazioni subite, è risultato urgente un intervento multisettoriale per rafforzare l'onco-ematologia pediatrica e supportare in modo mirato i bambini malati, le famiglie e il personale sanitario e non sanitario del Beit Jala Governmental Hospital.
Il centro di supporto psicosociale e per la salute mentale (MHPSS) di Soleterre, dedicato alla gestione del trauma infantile e della malattia, sarà da subito dotato di almeno due stanze per garantire adeguati spazi di supporto e riservatezza, e si rivolgerà sia ai bambini sia agli operatori sanitari e non sanitari che operano nei reparti pediatrici presso l'ospedale di Beit Jala e negli ospedali Holy Family e Caritas Baby a Betlemme.
L'urgenza di questa iniziativa è stata sottolineata durante alcune missioni fact-finding di Soleterre ma anche dal personale sanitario e dagli psicologi palestinesi, in risposta alla situazione drammatica e traumatica vissuta dalla popolazione in Cisgiordania, aggravata dalla crisi in corso a Gaza.
Il centro sarà situato nelle vicinanze dell'ospedale di Beit Jala e avrà come figura chiave la psicologa di Soleterre specializzata in staff care e nella fornitura di supporto psicologico specifico per il trauma infantile.
Creare uno spazio adeguato a visite e trattamenti oncologici pediatrici, inclusi spazi per le visite ambulatoriali e un’area di attesa adatta dove i bambini possano giocare, è importante perché migliora l’esperienza del bambino durante la cura, ma ha anche un impatto diretto sulla qualità del trattamento e sul benessere psicologico di tutti i coinvolti, familiari inclusi.
Un ambiente accogliente che stimola speranza e serenità riduce il trauma psicologico e aiuta i bambini a mantenere un senso di normalità durante un periodo difficile. Inoltre, la separazione delle aree di trattamento e delle aree di gioco è cruciale per evitare che il bambino associ il momento delle cure al dolore e alla sofferenza.
Infine, la creazione di spazi dove i bambini possano interagire tra loro, anche in un contesto di cura, può aiutarli a sentirsi meno soli, a condividere emozioni comuni e a sviluppare supporto reciproco.
Help the helpers, il programma di Soleterre per gli operatori
Qual è l’importanza di programmi come "help the helpers" per sostenere il personale in prima linea, e quali risultati si attendono da iniziative di questo tipo?
Considerando l'immensa pressione e lo stress che affrontano gli operatori sanitari, un intervento rivolto al personale di cura con sessioni di formazione per sviluppare strategie di gestione dello stress psicologico legato al lavoro con i bambini traumatizzati è fondamentale.
Il personale, che opera nei reparti di emergenza come quelli per la cura dei pazienti oncologici, infatti, è particolarmente esposto al rischio di sviluppare sintomi associati alla compassion fatigue, una condizione caratterizzata da stress cronico, esaurimento emotivo e tensione derivante dalla grande sofferenza dei pazienti (Larsen & Stamm, 2008).
Soleterre fornirà supervisione individuale e di gruppo, oltre a sessioni di formazione specializzate per la gestione dello stress e la resilienza emotiva. I servizi offerti saranno allargati ad altri due ospedali pediatrici locali il cui personale tratta patologie croniche infantili.
I trattamenti saranno personalizzati in base alle esigenze specifiche di ciascun team, assicurando una risposta efficace alle sfide del loro complesso ambiente lavorativo. L’esperienza di Soleterre dimostra come la supervisione (staff care) facilita l'analisi e la risoluzione di casi complessi, migliorando l'efficacia del team nel loro lavoro quotidiano, elemento fondamentale in un contesto dove le condizioni dei pazienti sono spesso critiche.
Il sostegno agli operatori fa bene a tutti
Perché il sostegno psicologico agli operatori sanitari in zone di guerra è fondamentale per garantire la qualità dell’assistenza ai pazienti, soprattutto ai bambini che hanno subito gravi traumi?
Sostenere psicologicamente gli operatori sanitari nelle zone di guerra è una condizione imprescindibile per garantire che i pazienti, in particolare i bambini traumatizzati, ricevano cure di qualità, umane ed efficaci.
Investire nel benessere degli operatori significa costruire una rete di supporto più forte e capace di rispondere alle immense sfide poste da questi contesti estremi. Come dicevamo gli operatori sono spesso parte della stessa popolazione colpita. Hanno una famiglia esposta al conflitto e loro stessi lo sono. Inoltre i contesti di guerra espongono gli operatori ai traumi secondari dei pazienti.
Garantire il benessere psicologico degli operatori è fondamentale per preservare la stabilità del sistema di supporto.
In contesti di guerra, il personale qualificato è spesso limitato, e la perdita di un singolo operatore, che abbandona per esaurimento o difficoltà psicologiche, può avere un impatto devastante su un’intera comunità di pazienti. Fornire ai professionisti un sostegno emotivo adeguato non è solo una forma di cura verso di loro, ma anche una misura per assicurare la continuità e la qualità del servizio. Ossia garantire le migliori cure per i pazienti.
Le difficoltà psicologiche degli operatori
Quali sono i principali sintomi delle difficoltà psicologiche osservate tra il personale sanitario che opera in contesti di conflitto?
Trattare bambini che hanno perso i genitori, subito violenze o vissuto eventi drammatici significa immergersi costantemente nel dolore e nella sofferenza.
Questo contatto diretto e prolungato può portare gli operatori a sviluppare sintomi di stress post-traumatico, ansia o depressione, condizioni che rendono difficile mantenere la concentrazione, l’empatia e la capacità decisionale necessarie per offrire cure di qualità.
A ciò si aggiunge il burnout, uno stato di esaurimento fisico ed emotivo che deriva dal lavorare per lunghi periodi in condizioni di alta pressione, con risorse limitate e, spesso, un senso di impotenza di fronte alla vastità del bisogno, e la compassion fatigue.La compassion fatigue può essere scomposta in 2 elementi: il burnout e la traumatizzazione secondaria (Secondary Traumatisation Stress - STS), o trauma vicario.
Il concetto di compassion fatigue è attualmente uno dei quadri teorici dominanti negli studi sullo stress lavoro-correlato, che esaminano le conseguenze del prendersi cura degli altri. La “fatica da compassione” si riferisce al tributo psicologico cumulativo associato al lavoro con i sopravvissuti a traumi o gravi malattie come parte del lavoro quotidiano; a volte viene considerata come il costo inevitabile del caregiving.
Manifestandosi con sintomi simili a quelli riscontrati nel disturbo da stress post-traumatico (PTSD) ossia pensieri intrusivi, incubi e flashback, evitamento dei ricordi del trauma, cognizioni e umore negativi, ipervigilanza e disturbi del sonno.
Come per il burnout, in cui la sensazione prevalente è “di non farcela” in uno stato di prostrazione e insoddisfazione, è stato dimostrato che la compassion fatigue influisce sulla cognizione, sulle emozioni, sui comportamenti e persino sulla fisiologia dei lavoratori.
Inoltre, i clinici che sperimentano la compassion fatigue hanno riportato sintomi simili a quelli sperimentati dai loro pazienti traumatizzati. In un contesto di guerra si può parlare di compassion fatigue e burnout cumulativo, nel senso che oltre ai traumi dei pazienti gli operatori devono elaborare anche i propri. Per essere parte della popolazione colpita dal conflitto.
Staff care: quali tecniche vengono attuate
Quali tecniche o metodologie specifiche vengono utilizzate nei programmi di staff care per aiutare gli operatori a gestire lo stress psicosociale e prevenire il burnout?
Dopo anni di esperienza di lavoro in emergenza con operatori sanitari (medici, infermieri, operatori socio assistenziali) abbiamo individuato moduli di lavoro che si basato su incontri di gruppo sistematici (intervisioni e focus group) unite a sessioni di sedute individuali per elaborare “il sentire” a livello emotivo che spesso nelle azioni di emergenza è “congelato” per dare precedenza alla rapidità d’azione.
Gli operatori sanitari nello svolgimento della loro attività, oltre alle competenze di natura tecnica, utilizzano anche e soprattutto abilità sociali e relazionali volte a soddisfare i bisogni dei pazienti che necessitano di aiuto in una situazione di emergenza. In tale scenario essi devono agire, rapidamente ed efficacemente, orientandosi al fare più che al sentire.
Non è del tutto scontato che chi svolge tali mansioni sviluppi una forma di “tolleranza alle emozioni” generate da situazioni traumatiche.
Il distanziamento emotivo è la difesa che comunemente viene agita. Una risorsa di coping sicuramente funzionale per raggiungere l’obiettivo. Eppure, tale distacco può diventare disfunzionale e a volte patologico quando l’operatore non è più in grado di entrare in contatto con le emozioni suscitate dall’evento traumatico, spinto dalla volontà non consapevole di voler aderire allo stereotipo dell’imperturbabilità.
La conseguenza diretta di tale processo fa sì che si tendano a sovrastimare le proprie capacità, sperimentando un senso di inadeguatezza ancora maggiore quando per qualche ragione si perde il controllo. La tecnica è quindi un protocollo di Emergency fatigue che abbiamo elaborato durante l’emergenza Covid-19 all’interno di IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia laddove abbiamo svolto in “prima linea” attività di supporto al personale nei reparti di Pronto Soccorso, Terapia Intensiva, Malattie Infettive e Pneumologia.
Questo modello ha avuto una pubblicazione dopo uno studio clinical trial di due anni con un gruppo sperimentale che ha ricevuto supporto psicologico in presenza, uno da remoto e un gruppo di controllo. Tale modello è stato adattato al contesto di guerra in Ucraina e ora in Palestina.
L’efficacia del protocollo compassion fatigue
In che modo le sessioni di sviluppo delle capacità per gli operatori sanitari possono migliorare la loro resilienza e abilità nel lavorare con bambini traumatizzati?
Il protocollo compassion fatigue permette di analizzare i sintomi più insidiosi per ogni singolo operatore e trattarli in modo da verificare, insieme al paziente, la loro riduzione. Questo rappresenta uno strumento fondamentale per migliorare le loro condizioni di salute, quindi di lavoro, quindi la loro resilienza potenziando le loro abilità nel lavorare con pazienti bambini traumatizzati.
Questi interventi rafforzano le competenze tecniche e psicologiche degli operatori e li aiutano a gestire meglio il carico emotivo e lo stress che derivano dal loro lavoro. Le sessioni forniscono anche una formazione specializzata su come riconoscere e affrontare i segnali del trauma nei bambini.
Attraverso tecniche pratiche e approcci evidence-based, gli operatori imparano a interpretare il comportamento dei piccoli pazienti, a creare un ambiente sicuro e a utilizzare strategie di comunicazione che favoriscono la fiducia e l’apertura.
Tali sessioni di sviluppo delle capacità aiutano gli operatori anche a costruire la loro resilienza personale, insegnando tecniche di gestione dello stress, mindfulness e self-care e offrono opportunità di condivisione e supporto tra pari.
Investire nello sviluppo delle capacità degli operatori non solo li rende più preparati e resilienti, ma si traduce in un’assistenza migliore e più empatica per i bambini traumatizzati.
È prevista una formazione specifica nel progetto Soleterre per supportare gli operatori sanitari e non sanitari coinvolti, e se sì in cosa consiste?
Abbiamo già iniziato con alcuni operatori in oncologia pediatrica (medici e infermieri) attività di formazione in Palestina presso il Beit Jala Hospital e faremo nel 2025 una sessione di formazione in presenza in Italia presso IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia.
La formazione consiste in attività teoriche e pratiche in cui come dicevano prima attraverso sessioni di gruppo si affrontano casi specifici. Lavoriamo con un modello di “gruppo terapia” o “gruppo terapeutico” nel senso che tutti i nostri operatori (Italia, Palestina, Ucraina, Marocco, Costa d’Avorio, Uganda..) lavorano insieme e si scambiano esperienze per creare un team internazionale di emergenza capace di intervenire in collaborazione con Ospedali e Università. Ogni modello di formazione degli operatori parte dal protocollo compassion fatigue e viene poi adattato al contesto del Paese e del luogo di lavoro.
Il supporto di tutti può essere fondamentale
Quali azioni immediate può intraprendere ciascuno di noi a supporto del progetto e perché è importante poter dare un contributo?
Una delle azioni immediate più significative per supportare il progetto è donare, per creare insieme il Soleterre Children Center e fornire supporto psicologico e farmaci ai bambini malati di cancro.
Donare è un gesto che va ben oltre il semplice contributo economico. Donare significa partecipare attivamente a una causa, sostenendo chi opera in prima linea per portare aiuto a chi ne ha più bisogno.
Ogni contributo, piccolo o grande, ha un impatto concreto: permette di acquistare risorse essenziali, finanziare interventi salvavita, garantire supporto psicologico o costruire infrastrutture che offrono rifugio e sicurezza.
Soprattutto nei progetti dedicati ai bambini e alle comunità vulnerabili, come quelli in zone di conflitto o emergenza, le donazioni sono uno strumento che trasforma il nostro desiderio di fare la differenza in un'azione tangibile.
Per effettuare una donazione alla Fondazione Soleterre basta visitare la pagina https://soleterre.org/childrencenter/