Il termine “meccanismi di difesa” è stato reso noto da Sigmund Freud, il padre della psicoanalisi. Secondo la teoria psicoanalitica classica ciò di cui abbiamo consapevolezza (quello che noi pensiamo e diciamo) è solo una piccola parte di tutto il lavoro che fa la nostra mente: come la punta di un iceberg, sotto il livello dell'acqua nasconde la parte più grande, l’inconscio.
Questa parte sommersa è caratterizzata dal movimento tra desideri ed emozioni diversi, a volte contrastanti. Il conflitto che ne scaturisce può generare angoscia, e quindi sofferenza. La psicoanalisi del tempo si poneva come obiettivo quello di portare alla luce l’inconscio e quindi l’angoscia, per risolvere il conflitto ad essa sotteso.
Che cosa sono i meccanismi di difesa?
Meccanismi di difesa come la sublimazione e la proiezione, secondo Freud aiutavano le persone a difendersi dall’angoscia.
Ci sono diversi modi di definire i meccanismi di difesa, a seconda della teoria di riferimento con cui scegliamo di approcciarci alla mente. In linea generale, possiamo intenderli come strategie che la nostra mente mette in atto per affrontare il mondo e interagire con esso. Spesso si traducono in comportamenti, ma possono anche essere schemi di pensiero.
Come si forma un meccanismo di difesa?
Fin da piccolissimi entriamo in contatto con il mondo in modo attivo: apprendiamo velocemente dalle nostre esperienze creandoci schemi di azione, selezionando quelli che troviamo più utili. Man mano che la nostra vita relazionale diventa più complessa, sperimentiamo delle situazioni sempre più stressanti e quindi anche delle strategie per affrontarle con la minor fatica possibile.
Quelle che funzionano vengono consolidate, portate avanti e sperimentate anche in altri contesti. Nascono così i meccanismi di difesa, cioè le principali modalità di adattamento che abbiamo trovato nel corso della nostra vita e che diventano parte della nostra storia.
Perché a volte sono controproducenti?
Può capitare che, come tutte le strategie, queste ci permettano una visione solo parziale delle cose oppure ci consentano di agire solo in alcuni modi: non permettono, insomma, un'esperienza complessiva della situazione e una totale flessibilità di risposta. Per alcune situazioni stressanti possono fare comodo, per altre, possono risultare poco utili e addirittura dannose.
Modificare le nostre difese
Quello che spesso succede nel corso della psicoterapia è di rendersi conto degli effetti negativi dei meccanismi di difesa. Prenderne consapevolezza è il primo passo per avere la possibilità di ampliare la propria esperienza favorendo il cambiamento. D’altra parte, questo processo può avere anche l’effetto di considerarli come qualcosa da combattere, cosa che in qualche modo può rivelarsi controproducente.
Non combattiamoli, comprendiamoli
È molto importante invece ricordarsi che se i meccanismi di difesa ci sono, se sono stati scelti e consolidati dall’infanzia ad oggi, vuol dire che ci hanno dato un grande aiuto: nessuno nasce con il desiderio di infliggersi sofferenza da solo! Percepirli come aspetti negativi di sé, da dover eliminare, può essere deleterio rispetto al lavoro terapeutico che è fatto invece di comprensione e accettazione di sé.
Capire perché quei meccanismi di difesa fanno parte di noi, proprio quelli e non altri, ci permette di conoscerci maggiormente e ci dà la possibilità di scegliere e sperimentare nuove strategie, che siano però compatibili con la nostra storia e la nostra identità. Cercare di combatterli, al contrario, rischia di farci reagire con forza ricorrendo a comportamenti che non ci si addicono, e rischiano di farci soffrire allo stesso modo.