La paura è un’emozione di base che caratterizza ogni essere umano. Ognuno di noi ha un certo numero di eventi, situazioni o oggetti che lo spaventa o lo preoccupa. Che si tratti di un colloquio di lavoro, di parlare davanti a un pubblico, o di entrare in ascensore, la paura fa parte della normale esperienza umana. Ma cosa succede quando la paura non riguarda degli eventi esterni a sé, ma qualcosa di interiore? Cosa avviene quando a spaventarci sono le nostre stesse emozioni?
Immagina per un attimo di essere alla guida di un aereo. Sei l’unico pilota. Di fronte ai tuoi occhi decine di schermi, pulsanti luminosi, radar e contatori che permettono di monitorare il livello del carburante, la rotta, la velocità, la presenza di anomalie nel funzionamento del motore, le condizioni atmosferiche e altri indici di vitale importanza.
C’è un inconveniente: non sai assolutamente decifrare gli allarmi e i codici emessi dagli strumenti di bordo. Credi che riusciresti comunque ad arrivare a destinazione, o quantomeno ad evitare lo schianto? Pilotare senza prestare attenzione agli strumenti di bordo equivale ad andare alla cieca, ed è quello che capita a molti di noi nella gestione delle emozioni. Gli strumenti di bordo sono le sensazioni fisiche che segnalano la presenza di un’emozione dolorosa o difficile da gestire.
Quante volte ti è capitato di ignorare alcuni segnali del tuo corpo a cui non riuscivi a dare un significato? Tachicardia, respiro corto, tensione muscolare, percezione di un peso sul petto o di un groviglio nello stomaco. Il nostro organismo conosce molteplici strategie per avvertirci di una minaccia, reale o percepita. Cosa avviene quando non riusciamo a dare un nome, ad assegnare un’etichetta emotiva alle sensazioni che affiorano a livello fisico?
L'illusione del controllo
Molte volte siamo noi stessi a non prestare attenzione agli “strumenti di bordo” per il timore di stare a contatto con emozioni o pensieri che preferiamo ignorare. In questo modo otteniamo l’illusione di avere un controllo continuo sulla nostra vita: cerchiamo di distrarci pensando che questo farà semplicemente “sparire” l’emozione dolorosa o spiacevole che stavamo provando. In realtà si tratta di un auto-inganno potenzialmente dannoso.
Sentire le emozioni è indispensabile per diversi scopi:
- gestire in anticipo le situazioni che ci spaventano e arrivare preparati;
- capire cosa è importante per noi
- mettere a fuoco eventi o situazioni potenzialmente dannose per poterci attivare e modificarle
- regolare il nostro comportamento e le nostre scelte
- vivere le relazioni in modo funzionale.
Ma perché le persone dovrebbero scegliere di “non sentire”? Da dove deriva la paura dell'introspezione e di stare a contatto con le proprie emozioni? Per molti di noi provare emozioni intense come tristezza o ansia può significare essere deboli: tale sentimento di vulnerabilità può generare vissuti di paura o di vergogna. Per evitare di sentirsi deboli le persone possono avere la tendenza a banalizzare e minimizzare le emozioni, e attribuirle a qualche evento accidentale. Sono ricorrenti frasi come “il passato è passato, inutile rivangare”, “non ha importanza”, “ormai sono abituato”, per togliere rilevanza e intensità a stati emotivi problematici.
Il pensiero razionale si oppone dunque alle emozioni, le quali vengono relegate al mondo del sentimentalismo e della debolezza. La paura di sentire determina una perdita di contatto con il proprio sé e può degradare i rapporti umani significativi perché tende a creare distanza tra sé e l’altro. Inoltre, il continuo tentativo di non vedere le proprie emozioni comporta un ingente sforzo che può avere conseguenze negative sulla salute.
Come fuggiamo dalle nostre emozioni?
Oltre alla distrazione, le persone fanno ricorso a diverse strategie per scappare dalle proprie emozioni:
1) Razionalizzare
Affrontare i problemi facendo esclusivo ricorso alla razionalità comporta un progressivo distacco dalle emozioni e dalle sensazioni fisiche. Le emozioni vengono oscurate da un processo di vera e propria negazione, per evitare il conflitto interiore che esse ci procurerebbero. La strategia della razionalizzazione offre un’illusione di controllo sulle proprie oscillazioni emotive. In realtà l’unica forma di controllo possibile è stare in contatto con tali vissuti per poterli elaborare e integrare con le altre rappresentazioni del sé.
Esempio: Filippo sente un interesse verso Lia, che ha conosciuto tramite amici in comune. Vorrebbe chiederle di uscire ma teme di essere rifiutato. I suoi amici notano che prova qualcosa per lei, e lo incoraggiano a invitarla a cena, ma Filippo in imbarazzo risponde: “Non invito Lia ad uscire perché non mi sembra una ragazza così interessante”.
2) Trattenere
Spesso ci tratteniamo dal manifestare le nostre emozioni perché ci sentiamo così sovraccarichi interiormente che, quando ci lasciamo andare, rischiamo di eccedere in vere e proprie esplosioni emotive. Accumulare tensione e frustrazione porta infatti a tirare fuori le emozioni in misura sproporzionata. Tali esplosioni espongono al rischio di un giudizio negativo o di un rifiuto da parte degli altri.
L’emozione può svolgere la sua specifica funzione solo se viene lasciata “scorrere” e viene accolta con pienezza. In questo modo non solo riusciamo a utilizzare l’emozione come fonte di informazione su ciò che ci sta capitando, ma aumentiamo le probabilità di ottenere, attraverso la relazione, l’affetto e la condivisione necessarie per lenire le nostre emozioni dolorose.
Esempio: Matteo subisce diverse ingiustizie sul posto di lavoro. Il capo si approfitta della sua disponibilità e del suo buon carattere per assegnargli lavori extra che spesso lo portano a rimanere in ufficio molto oltre il suo orario di lavoro. Matteo sente di non poter dire di no, ma questo gli fa accumulare rabbia e frustrazione, che cerca di trattenere. Finché un giorno, per l’ennesima richiesta fuori luogo del capo, urla “Basta!” e lancia a terra tutte le cartelle.
3) Disconnettersi
Nel riferire episodi emotivi, alcune persone tendono ad utilizzare parole vuote, disincarnate, fatte di interpretazioni e valutazioni. Non riescono a cogliere la differenza tra emozione e pensiero e tra emozione e sensazione. Solo le attivazioni emotive molto intense vengono riconosciute e, anche in questo caso, le emozioni possono essere descritte solo nella loro componente somatica.
È il caso dei disturbi psicosomatici. Per la maggior parte del tempo si è letteralmente “disconnessi” dalle emozioni e, in alcuni casi, tale disconnessione può riguardare anche il corpo in generale: è possibile arrivare a percepire il proprio corpo come anonimo e sterile, tanto da non sentire nulla, irrigidirsi in caso di contatto fisico (abbracci, carezze…) o provare ansia quando qualcuno lo ricerca (è il caso dell'afefobia). In questi casi si parla di anestesia emotiva.
Esempio: In seduta, Martina descrive la sua settimana dicendo: “È stata una settimana tranquilla, niente di che”. Incoraggiata a entrare nel dettaglio e a descrivere alcune situazioni che le sono capitate, dice: “Sì beh quando sono in classe non è tanto bello, a volte non riesco a respirare e mi viene da piangere”. Il terapeuta le chiede di approfondire e di mettere a fuoco quale sia l’emozione in questione e a quali eventi o situazioni possa essere legata, e Martina risponde: “Non lo so, mi viene da piangere e basta”.
Fuggire dalle emozioni: quali conseguenze?
Applicare questo tipo di strategie, intenzionalmente o meno, può determinare uno stato di “anestesia emotiva”, un torpore che ci offre un senso di controllo illusorio, di stabilità ingannevole. Tali aspetti, seppur temporaneamente rassicuranti, possono essere dannosi quando la persona non riesce a utilizzare le proprie emozioni come bussola per orientare il comportamento e le decisioni. L’immersione in uno stato ovattato riduce la possibilità di essere feriti dall’esterno, ma anche di trarne piacere e benessere.
Un altro rischio che si corre quando si fatica a decifrare gli indicatori di bordo del nostro aereo è di introdurre sostanze di cui il motore non ha bisogno. È quello che accade con l’abuso di alcol e sostanze o nel caso in cui si crei un circolo vizioso tra cibo ed emozioni, come nel disturbo da alimentazione incontrollata. Il cibo viene ampiamente utilizzato nella nostra società come modulatore delle emozioni o anestetico emozionale (si parla infatti di emotional eating). Il motore è surriscaldato e noi aggiungiamo carburante. Ogni volta che cerchiamo di soddisfare un bisogno con altro non necessario non stiamo guardando adeguatamente gli strumenti del nostro aereo, e questo può essere dannoso.
Cucire insieme pensieri, emozioni e sensazioni fisiche
Tutte le esperienze umane sono costituite da pensieri, emozioni e sensazioni fisiche. Le emozioni, anche se a volte possono essere fastidiose o soverchianti, permettono di costruire un legame tra eventi, pensieri e sensazioni somatiche. Senza l’etichetta emotiva di ansia, ad esempio, non abbiamo strumenti per attribuire l’accelerazione cardiaca al pensiero dell’imminente colloquio di lavoro; potremmo cercare altre interpretazioni, come una disfunzione cardiaca o altro. La somatizzazione nasce infatti da messaggi veicolati dal corpo, senza che la mente dia loro un significato adeguato.
I percorsi di psicoterapia consentono di apprendere nuove strategie per cucire insieme pensieri, emozioni e sensazioni fisiche, al fine di restituire unitarietà e coerenza al sé. Mettendo a fuoco le oscillazioni emotive e i corrispettivi psicofisiologici, la terapia ci allena a sviluppare l'intelligenza emotiva e stare in contatto con ciò che più ci spaventa ma che, allo stesso tempo, definisce la nostra natura.