Ci sono momenti nella vita di ogni essere umano caratterizzati da stati di dolore, sentimenti di mancanza e di perdita, come ad esempio quando ci si trova a soffrire per un amore non corrisposto, oppure in conseguenza a una separazione, a un lutto complicato, a una malattia, a un tradimento.
Ci si può sentire senza strumenti, senza speranze, immobili o al contrario iper-attivati pur di tenere a bada determinate emozioni, come la vergogna, la rabbia o l’ansia. Ma tali vissuti, se non ce ne prendiamo cura, possono lasciare solchi profondi dentro di noi, destinati a mettere radici sotterranee e poi a riaffiorare.
La sofferenza profonda ha il potere di insegnarci qualcosa
Secondo S. Freud, il dolore psichico può essere funzionale alla costruzione dell’Io. Sperimentando la frustrazione di aver perso qualcosa di importante per noi (come direbbe Freud il nostro “oggetto d’amore”), è possibile realizzare nuove consapevolezze utili alla crescita e alla maturazione individuale.
Nei momenti più difficili, in particolare nei momenti di perdita, possiamo sentirci molto fragili, ma diveniamo spesso più reattivi nella percezione di alcuni segni del vivere quotidiano: è come se cambiasse il nostro modo di considerare ciò che ci circonda, le nostre relazioni familiari o amicali, la proporzione e l’importanza delle cose.
È come se la sofferenza ci trasferisse un nuovo sapere che determina il nostro (nuovo) essere, il nostro (nuovo) umore, le nostre (nuove) percezioni; a volte è proprio tutto questo “nuovo” a spaventarci, a confonderci generando in noi ambivalenza, a renderci tristi, arrabbiati, delusi e quasi estranei a noi stessi.
Cosa accade dentro di noi quando la sofferenza ci coglie?
La prima cosa che siamo portati a fare di fronte ad un grande dolore è negare. Il rifiuto è uno dei meccanismi di difesa che ci permette di proteggerci, nelle prime fasi del dolore.
Quando, ad esempio, ci annunciano la morte di qualcuno, o un grave incidente, o l’insorgere di una malattia, la prima reazione è “no, non è vero!”, “non è possibile!”. Negare a lungo termine, tuttavia, richiede uno sforzo troppo grande per il sistema psichico, che rischierebbe di prosciugare l’energia vitale, conducendo ad attacchi d'ansia, grande stanchezza, insonnia, depressione reattiva.
Il rifiuto è quindi in un primo momento utile, ma poi è necessario lasciarselo alle spalle e attraversare le successive fasi di rabbia e tristezza. Quando domina la rabbia siamo alla ricerca di qualcuno o qualcosa su cui scaricare il senso di ingiustizia; la fase successiva, di profonda tristezza, è quella che invece inizia a farci fare i conti con la consapevolezza della perdita, permettendoci poi di elaborarla ed accettarla.
Affrontare la sofferenza significa:
- lasciarsi trasformare da un contesto nuovo, che non potevamo prevedere e che ci si è imposto;
- introdursi all’interno di relazioni che sono state modificate dall’evento;
- smettere di chiedersi come mai sia accaduto per tentare di dare un significato a ciò che noi stiamo diventando in seguito a tale esperienza;
- prendere la decisione di vivere e amare se stessi, nonostante tutto.
Si tratta certamente di un lavoro estremamente faticoso. Come possiamo aiutarci?
L’incontro con un terapeuta può aiutarci a trasformare il dolore
Andare dallo psicologo, attraverso l’incontro autentico tra persone (il terapeuta e il paziente) e l’instaurarsi di una relazione di fiducia, può restituire parola alla sofferenza rendendola presente, ma contenuta.
Lo psicologo è innanzitutto un interlocutore, una persona che offre ad un’altra una relazione di cura, attenta e serena. Cosa fa lo psicologo? Il terapeuta accompagna il paziente lungo il doloroso e faticoso percorso che prevede di attraversare e di oltrepassare la sofferenza. Entrando nella storia dell’individuo lo sostiene nel cercare al suo interno le risorse utili a dare significato ai propri vissuti.
All’interno di un percorso psicologico il ruolo del terapeuta non è quello di offrire soluzioni o dare consigli, ma di ascoltare, vedere e mettere insieme i pezzi che generano confusione. Non soffre insieme al paziente, ma si “siede accanto a lui”, non suppone di poter sentire il dolore di un’altra persona, per non sminuire la complessità emotiva di ciascun essere umano. Di fronte al mistero del dolore solo la solidarietà partecipe può portare conforto.
L’incontro tra terapeuta e paziente può rappresentare la porta di accesso alla strada che porta al superamento di una sofferenza profonda e dolorosa. Per trovare il tuo psicologo Unobravo compila il questionario! Hai ancora qualche dubbio? Leggi le opinioni su Unobravo dei nostri pazienti!