Salute mentale

Come è cambiata la salute mentale in Italia a 5 anni dal Covid-19: l’analisi dell’Unobravo Data Lab

Cinque anni sono trascorsi dall’alba turbolenta della pandemia di Covid-19, un tempo in cui il mondo sembrava sospeso in un limbo di incertezze e silenzi forzati. In questo arco temporale, come in un lungo cammino intriso di speranze e smarrimenti, la società ha imparato, e ancora oggi si interroga, su che cosa significhi veramente vivere, relazionarsi e prendersi cura di sé stessi e del proprio mondo interiore, che non è separato dal mondo esterno. 

Possiamo, forse, domandarci: in che modo l'emergenza ha messo in luce le nostre fragilità, spingendoci al contempo a cercare nuove strade per la resilienza?

Oggi, a distanza di cinque anni dalla pandemia, coltivare il benessere mentale è diventato una priorità imprescindibile. A confermarlo i dati raccolti da Unobravo su 924 italiani intervistati. Attraverso l’analisi delle percezioni legate alla salute mentale, l’accessibilità delle risorse e l’impatto del lavoro a distanza, il presente studio si propone di illuminare gli effetti a medio termine di una crisi globale che ha cambiato il nostro modo di vivere e di pensare.

In un clima di crescente consapevolezza, dove il sapere scientifico si intreccia con la realtà quotidiana, l’obiettivo è duplice: esprimere con chiarezza i dati raccolti e aprire spazi di riflessione profonda sulle conoscenze consolidate e sulle domande ancora aperte.

Il benessere psicologico come priorità

Le statistiche raccolte offrono uno specchio delle trasformazioni sociali e individuali intervenute negli ultimi anni. In primis, emerge come la salute mentale sia divenuta un valore centrale per la popolazione italiana. 

Circa il 66,5% degli intervistati dichiara di dare maggiore priorità al proprio benessere psicologico rispetto al periodo pre-pandemico, con una distribuzione che sfuma lievemente tra le diverse fasce d’età:

  • il 37% dei giovani under 30 attribuisce un peso notevole alla cura della propria salute mentale
  • il 36% dei 30-44enni condivide questo approccio
  • il 33% degli over 44, pur con una leggera diminuzione, testimonia comunque un cambiamento significativo nella percezione del benessere psicologico.

Questi dati, seppur quantitativamente simili, suggeriscono una convergenza tra generazioni, nella quale il Covid-19 si configura come catalizzatore di un mutamento culturale: un invito a non relegare il mondo interiore a un ruolo secondario, ma a riconoscerlo come uno dei pilastri per la qualità della vita.

Parallelamente, un’altra area di rilevante trasformazione riguarda l’accessibilità delle risorse per la salute mentale. Il 49% degli intervistati afferma che tali risorse siano oggi più facilmente raggiungibili, mentre il 34% ritiene che vi siano stati miglioramenti, seppur parziali. Il restante 14% non rileva alcun cambiamento significativo. 

Questi numeri testimoniano, in linea con quanto sostenuto da molteplici studi, che la crisi sanitaria ha portato a un’effettiva democratizzazione dell’accesso alla psicoterapia. Si tratta di un risultato positivo che, tuttavia, non deve far dimenticare la necessità di sforzi continui per colmare le lacune ancora presenti, specialmente per chi fatica a trovare il supporto adeguato.

Infatti, se il 52% delle persone si dichiara oggi più propenso a cercare un aiuto psicologico, nei cinque anni scorsi la percentuale di coloro che hanno intrapreso un percorso di supporto è salita al 76%. Questi numeri, uniti alla crescente presenza del supporto psicologico online che ha permesso di abbattere barriere geografiche e temporali, indicano una trasformazione radicale nel valore che gli italiani attribuiscono alla propria salute mentale.

Salute mentale e differenze regionali 

Sebbene il 66,5% degli intervistati attribuisca maggiore priorità alla salute mentale rispetto al pre-pandemia, permangono disparità territoriali significative.

In alcune regioni, come Basilicata, Calabria, Campania, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Sicilia, Toscana, Trentino-Alto Adige, Umbria e Valle d’Aosta, gli intervistati dichiarano che il disagio si manifesta principalmente sotto forma di solitudine o isolamento sociale, mentre in altre realtà – quali Abruzzo, Molise, Sardegna e Veneto – riferiscono che è la difficoltà di mantenere un equilibrio tra vita lavorativa e privata a indicare le tensioni quotidiane. In Liguria, infine, riferiscono che la principale problematica riguarda la mancanza di motivazione o produttività, una condizione che si inserisce in un quadro complesso di sfide emotive.

Queste differenze ci spingono a chiederci: può il Covid-19 essere stato il seme di un mutamento culturale che, pur ravvivando la consapevolezza generale sul benessere mentale, non ha uniformato le esperienze vissute dalle diverse comunità italiane? Tale interrogativo apre uno spazio per riflettere sul fatto che le sfide specifiche legate a contesti socio-economici e culturali continuano a richiedere interventi mirati, capaci di valorizzare le peculiarità di ogni territorio.

L’accessibilità della terapia psicologica: un progresso da consolidare

La maggioranza degli italiani intervistati ritiene che le risorse per la salute mentale siano maggiori rispetto a prima della pandemia. Un dato particolarmente incoraggiante emerge dal sondaggio: l’83% degli intervistati ritiene che le risorse per la salute mentale siano diventate più accessibili negli ultimi cinque anni. 

Questa percezione positiva si riflette, in parte, nell’espansione della psicologia online, che ha saputo abbattere barriere geografiche e temporali, rendendo il supporto psicologico più fruibile anche per chi vive in aree meno servite. Tale evoluzione è ulteriormente corroborata dal fatto che il 52% delle persone è oggi più propenso a cercare aiuto psicologico, con un incremento del 76% di chi ha intrapreso un percorso di supporto negli ultimi cinque anni.

Tuttavia, continuano a emergere criticità per coloro che, pur consapevoli delle nuove opportunità, faticano a trovare il supporto adeguato. Questo scenario invita a riflettere sulla necessità di sforzi continui per ampliare ulteriormente la rete di sostegno psicologico, affinché il benessere mentale diventi realmente un diritto accessibile a tutti.

Ansia sociale, solitudine e burnout: le conseguenze della pandemia sulla psiche

Secondo le stime raccolte sul campione, la pandemia ha avuto un impatto negativo sulla salute mentale della popolazione, sia in merito al piano relazionale che lavorativo. 

In particolare, il 41.3% dei rispondenti riferisce che la pandemia ha accresciuto la frequenza e la diffusione di sintomi di ansia sociale e paura delle folle. Per il 38.6% si è verificato anche un aumento della percezione della solitudine in conseguenza all’emergenza globale. Infine, il 37.9% ritiene che la pandemia abbia contribuito ad aumentare lo stress lavorativo e il burnout della popolazione, peggiorando il rapporto degli individui con il lavoro.

In che modo tre fenomeni tanto diversi sono tutti collegati alla pandemia? Per rispondere a questa domanda è utile, in primo luogo, circoscrivere le tre conseguenze psicologiche della pandemia emerse nel sondaggio:

  • L’ansia sociale è la paura persistente e intensa delle interazioni sociali. Prevede, in particolare, il timore di essere oggetto di critiche e giudizi da parte delle altre persone, associato con emozioni negative intense come imbarazzo e vergogna. Generalmente, chi soffre di ansia sociale tende a mettere in atto l’evitamento come meccanismo di difesa: limitando l’esposizione alle situazioni sociali, la persona previene il disagio, privandosi tuttavia di una parte significativa della propria identità e vita quotidiana.
  • La solitudine è la percezione di non avere connessioni sociali significative. Può verificarsi anche se il soggetto è circondato da altre persone: si tratta di una percezione individuale di isolamento e non appartenenza, che non si traduce obbligatoriamente con la solitudine fisica e l’assenza totale di legami. Questo vissuto può essere passeggero o cronicizzarsi, con conseguenze negative sulla salute psicofisica dell’individuo.
  • Il burnout invece è una forma estrema di stress legato al lavoro. Prevede un affaticamento generalizzato, sul piano cognitivo, fisico ed emotivo e, se non trattato, tende a cronicizzarsi nel tempo. Il soggetto, oltre a percepirsi stanco e senza più energie, può vivere un abbassamento dell’autoefficacia professionale, una decrescita della motivazione, problemi del sonno, somatizzazioni e un forte distacco emotivo dalla propria identità lavorativa. 

Questi tre fenomeni, seppur distinti tra loro, trovano nelle trasformazioni sociali portate dall’emergenza globale, un fattore di amplificazione.

Le restrizioni sociali in voga dal 2020 al 2022, in particolare i lock-down, la quarantena in caso di positività, il distanziamento sociale, l’obbligo di indossare la mascherina, potrebbero avere portato le persone a disimparare a relazionarsi. 

In tale condizione, l’ansia sociale potrebbe essere aumentata come difficoltà a tornare a vivere pienamente gli scambi interpersonali, sviluppando timori legati all’altro che prima era pensato come una fonte di contagio e quindi potenziale pericolo. 

Il ritorno alla normalità delle interazioni, saturate da interazioni virtuali durante i mesi più critici, ha anche previsto il ripristino di eventi pubblici (concerti, manifestazioni sportive, manifestazioni culturali e politiche), riportando in auge il contatto con l’altro in situazioni che potrebbero essere state percepite non più come sicure, ma caotiche e pericolose per la salute. 

In questa stessa cornice, l’isolamento forzato, la chiusura di spazi comuni e lo smart working, potrebbero avere aumentato la percezione di solitudine individuale. Questo fenomeno ha colpito in particolare studenti e lavoratori in trasferta che vivevano soli e lontani dalla famiglia, potendo contare solo su reti sociali limitate in momenti di emergenza.

Inoltre, l’introduzione dello smart working nella routine lavorativa delle persone, potrebbe avere causato un’impropria sovrapposizione, in termini di spazi e di orari, tra vita privata e professionale. Tale mancanza di confini, insieme alla percezione di incertezza economica e sanitaria globale, potrebbero avere consolidato lo stress lavorativo ed esacerbato questa condizione fino al burnout.

L’impatto psicologico del lavoro a distanza: tra adattamento e sfide da affrontare

Con la pandemia, il lavoro a distanza è diventato una realtà sempre più consolidata per molti professionisti, trasversalmente a diversi ambiti di lavoro. Tuttavia, la percezione dell’impatto del lavoro a distanza sul benessere psicologico è molto eterogenea. 

Le statistiche rilevate attraverso la nostra survey evidenziano che per il 27,6% del campione lo smart working ha rappresentato una parentesi conclusasi con l’emergenza globale. Infatti, con la fine della pandemia per molti lavoratori è stato naturale tornare in ufficio, interrompendo la dinamica del lavoro da casa. Diversamente, il 19.8% degli intervistati continua a svolgere la propria attività professionale in smart working.

Sebbene ci siano numerosi vantaggi legati al lavoro in remoto (come costi ridotti per il mantenimento degli spazi da parte delle aziende e per gli spostamenti da parte dei lavoratori), il 22.4% del campione riferisce che questa modalità di lavoro possa avere avuto un impatto negativo in termini di benessere psicologico.

Approfondendo questa tematica in coloro che hanno riportato questo tipo di difficoltà, il 57% ha riferito come lo smart working porti con sé maggiore isolamento sociale, legato al non condividere più spazi, momenti e interazioni con i propri colleghi. Per il 47.8%, invece, con lo smart working è diventato più difficile bilanciare gli spazi e gli orari di vita privata e lavoro

Su questo dato possono influire numerosi fattori quali la soluzione abitativa, la numerosità dei membri del nucleo familiare e le modalità individuali di gestione dell’ansia. Il 39.6% ha, inoltre, riferito una diminuzione della motivazione e della produttività nel lavoro da remoto. È possibile interpretare questo dato alla luce di una maggiore distanza, nello smart working, da quelle dinamiche interpersonali che possono rinforzare il senso di autoefficacia e gratificazione del lavoratore. 

I dati emersi sono lo specchio di una società in continua evoluzione, nella quale le aziende che continuano a proporre il lavoro in remoto possono adottare strategie per ridurre il senso di alienazione dei lavoratori (eventi, focus group e team building periodici in presenza), per migliorare il work-life balance dei loro dipendenti.

Salute mentale post-pandemia: più consapevolezza e richiesta di supporto 

Nonostante le conseguenze negative della pandemia, è anche importante evidenziare come essa sia stata un catalizzatore di cambiamenti positivi per gli individui e la società. Infatti, in seguito all’emergenza globale, si è diffusa una crescente consapevolezza sul benessere psicologico. 

Questo cambiamento è in linea con le più recenti definizioni di coping e resilienza secondo cui individui e società, sottoposti a vissuti traumatici, possono uscirne fortificati e con maggiori capacità di adattamento. In questo caso, l’emergenza sanitaria globale ha accelerato il dibattito sulla diffusione capillare e l’accessibilità di servizi di salute mentale, riducendo lo stigma legato alla ricerca di aiuto psicologico.

Infatti, i dati a nostra disposizione indicano che il 47,6% degli intervistati è più incline oggi a rivolgersi ad uno specialista della salute mentale rispetto a prima della pandemia. Rivolgersi ad uno psicologo o a uno psicoterapeuta, dunque, non è più percepito come un tabù, ma piuttosto come una risorsa importante per occuparsi di sé stessi e del proprio equilibrio. 

Il 76,1% del campione della nostra survey, inoltre, testimonia di avere intrapreso per la prima volta un percorso di supporto psicologico proprio negli ultimi cinque anni. Questo dato fa riflettere su come la pandemia abbia rappresentato per molte persone una spinta a riflettere su di sé, sul proprio funzionamento, sulla gestione delle emozioni negative e sulla necessità di darsi strumenti per affrontare con sicurezza i cambiamenti.

Dai dati si evince come la domanda di supporto psicologico, in Italia, continui ancora oggi a crescere, in linea con un maggiore interesse per temi legati alla salute mentale. In questo senso, nell’era post-pandemica, sembra che la salute mentale stia guadagnando la stessa risonanza sociale e mediatica precedentemente detenuta esclusivamente dalla salute fisica. 

Per rispondere alla crescente domanda della popolazione nel post-pandemia, servizi di psicologia online come Unobravo hanno reso più fruibile e accessibile questo tipo di supporto alle persone. Ciononostante, tuttora resta fondamentale la sensibilizzazione sul benessere psicologico, affinché si normalizzi la ricerca dell’aiuto professionale, combattendo lo stigma ancora persistente sulla terapia psicologica.

Piena accessibilità della terapia psicologica: un obiettivo da raggiungere

A cinque anni dalla pandemia di Covid-19,il panorama della salute mentale in Italia si configura come un territorio in trasformazione, in cui l’esperienza collettiva ha messo in luce tanto le fragilità quanto le potenzialità di rinascita

I dati emersi dal nostro sondaggio mostrano come la pandemia abbia catalizzato un importante cambiamento di atteggiamento verso la salute psicologica: gli italiani sembrano sempre più inclini a cercare supporto professionale, in linea con una sempre maggiore necessità e richiesta di servizi di supporto psicologico.

I dati emersi ci aiutano a riflettere, proprio in questo anniversario, sull’importanza di promuovere politiche e servizi che rendano il supporto psicologico sempre più accessibile. La diffusione di questo tipo di servizi, infatti, può mettere le basi per costruire individui e collettività non solo più sane, ma anche più resilienti.

Questa evoluzione invita a promuovere politiche e servizi mirati, affinché il supporto psicologico diventi un diritto per tutti. Solo attraverso un impegno continuativo e l’adozione di strategie innovative sarà possibile costruire una società in cui il benessere mentale non sia solo un valore riconosciuto, ma una realtà tangibile per ogni cittadino.

Nota metodologica

Il Data Lab di Unobravo ha ottenuto queste statistiche sulla base dei risultati di un sondaggio condotto su 924 italiani.

Note

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