Relazioni

L'illusione della completezza: il falso mito della metà della mela

L'illusione della completezza: il falso mito della metà della mela
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Ilaria Montella
Redazione
Psicoterapeuta ad orientamento Psicoanalitico
Unobravo
Pubblicato il
14.5.2023


Tutti noi conosciamo il mito scritto da Platone, secondo cui, per volere degli dei, l'essere umano venne diviso in due metà, il maschile e il femminile, destinate per sempre a cercarsi per ricostituire l'unità perfetta perduta. Ma è davvero così che accade nelle relazioni sane?

Spesso, anche inconsapevolmente, crediamo che lì fuori ci siano la persona perfetta, il lavoro perfetto, qualcuno o qualcosa che finalmente ci farà sentire completi, sicuri, invincibili. Quasi come se si portasse finalmente a compimento il destino della propria vita. La completezza ci sembra un valore e ci ancoriamo con così tanta energia a questo ideale che l'assenza di questo incastro perfetto ci appare come una mutilazione, una mancanza insostenibile.

La falsità dei miti svelata

Quando desideriamo cenare nel nostro ristorante preferito ma ci dicono che sono al completo, restiamo delusi e la completezza di quel locale non ci sembra più un valore, perché ci esclude. Ecco che la completezza

  • evoca una compattezza impenetrabile
  • tiene fuori ciò che appare superfluo
  • esibisce la sua forza e potenza escludente: “Non c'è più posto e non c'è bisogno di altri. Siamo al completo!”.

Anche in alcuni gruppi di lavoro o di amici si può riscontrare questa stessa esperienza di chiusura: i nuovi, gli estranei, restano fuori, confinati dietro una distanza quasi incolmabile.


Una nuova prospettiva

Il dolore che inevitabilmente accompagna questa constatazione di esclusione, è tuttavia affiancato dall'apertura alla vita, dalla ricerca dinamica di ciò che è libero dall'ossessione del traguardo definitivo della completezza: non si tratta di "arrivare", ma di esplorare. 

Da ciò il rovesciamento della prospettiva: si scopre che l'incompletezza è apertura, il limite invalicabile è una liberazione. Nessuna coppia, identità o sistema può darci certezze o sicurezze assolute, tutto è incompleto. Il percorso non è così lineare: bisogna attraversare alcune fasi. Scopriamole insieme.

Lo sviluppo dell’identità e la consapevolezza di altro

Nelle diverse tappe evolutive che scandiscono la nostra esistenza, bisogna fare i conti con una serie di "lutti" legati ai cambiamenti della vita: non si finisce mai di trovare noi stessi, proprio come non abbiamo mai la possibilità di mettere la parola "fine" alla conoscenza degli altri.

Le tappe che ci portano alla scoperta della nostra identità implicano la necessità di allontanarci dall'idea(le) di ciò che credevamo essere o che avremmo voluto essere e di separarci anche dall'idea di chi o come desidereremmo fossero o fossero stati gli altri. Rendersi conto che la realtà presenta una certa distanza dai nostri desideri, aspettative, bisogni o fantasie è difficile. Genera rabbia, frustrazione, dolore.

Tutti noi abbiamo provato queste sensazioni, ad esempio quando scopriamo che un genitore, così idealmente invincibile e perfetto, ha anche tanti limiti, oppure che i figli o i partner sono diversi da come ce li aspettavamo e hanno caratteristiche distanti dalle nostre idee o aspettative. Inoltre, a questo processo, si affianca la constatazione che:

  • non siamo divisi a metà
  • non c'è qualcun altro o qualcos'altro che possa o debba compensare le nostre mancanze
  • che ciascuno è un intero, unico e diverso
  • che l'altro è fonte di un’originalità tutta da conoscere.

Queste difficili consapevolezze portano con sé un dolore simile a quello del lutto, perché dobbiamo lasciar andare ciò che credevamo essere definito e immutabile per accogliere la diversità e la variabilità, creando lo spazio per conoscere ciò che di nuovo può arrivare ed essere scoperto.

sviluppare l'identit del sé
Buro Millennial - Pexels


Tollerare la precarietà come fonte di sviluppo

È difficile tollerare la precarietà di ogni cosa intorno a noi e in noi stessi. Vorremmo ordine, sicurezza, stabilità e pensare che ciò sia illusorio ci può spingere verso:

  • un pessimismo rinunciatario
  • un irrigidimento dei pensieri e dei sentimenti.

In effetti, quanto più ci sente insicuri e incapaci di tollerare la propria mutevolezza e ambivalenza, tanto più si ha bisogno di cercarsi dei nemici esterni da odiare e da cui difendersi, per allontanare il dolore e l'ansia derivanti dalla minaccia della perdita di punti di riferimento.


Esiste una via di mezzo che regga dinanzi al nuovo e all'incerto?

Per imparare a tollerare l'incertezza pensiamo alla metafora della casa:

  • intesa come luogo interiore, oltre che fisico, in continua costruzione
  • che ha un suo assetto, ma che può essere modificato continuamente
  • che si adatta alle vicissitudini, agli ospiti e agli invasori attraverso confini mobili, come porte e finestre, e in cui interno ed esterno, pur mantenendo una distinzione, si combinano l’uno nell’altro secondo incastri infiniti.

La continua mutevolezza permette di mantenere la propria identità proprio grazie all’incompletezza, come un processo inesauribile, in continua evoluzione.

la metafora della casa
Jacques Bopp - Unsplash

L'incompletezza come valore. Il fascino della scoperta e la crescita personale

L'incompletezza ci comunica che c'è posto:

  • per noi
  • per gli altri
  • per ciò che ci è sconosciuto
  • per quello che è ancora indefinito
  • per ciò che è inconscio
  • per quello che c’è di più profondo.

La psicoanalisi si basa proprio sul presupposto che "ci sia posto", che vi sia cioè un'area nel mondo interno di ciascuno che può prendere forme diverse. Togliendo gli ostacoli rappresentati dalle rigidità del sé e dai dogmi di dettami interni inconsapevoli, si libera la potenzialità creativa capace di trasformare la rabbia in dolore, l'angoscia in consapevolezza e la rassegnazione  in esplorazione di vie nuove.

scoperta personale
Giulia Bertelli - Unsplash


In tal senso l'incompletezza è un valore irrinunciabile, in quanto rappresenta il posto della vita, della speranza. In una sola parola: l'evoluzione. Il lavoro psicologico è la fessura che permette di intravedere altrove, di mettere in movimento un pensiero che non cerca l'altra metà della mela e che ci dispone a

  • uscire fuori da noi stessi e dalle nostre giustificazioni
  • esporci al mistero dell'altro, lasciando spazio alla sorpresa e alla meraviglia in un incontro continuo di crescita.

Bibliografia

Questo è un contenuto divulgativo e non sostituisce la diagnosi di un professionista. Articolo revisionato dalla nostra redazione clinica

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