L’uomo ha una rappresentazione psichica del proprio corpo e questo non è un fattore innato, ma qualcosa che si forma nella prima infanzia e si modifica per tutta la vita.
Cos’è il corpo?
Il corpo, quindi, non è solo un fenomeno biologico, ma anche una costruzione mentale graduale e complessa che si sviluppa a partire dalla relazione con chi si prende cura del bambino: il neonato, infatti, sperimenta una condizione in cui non percepisce una chiara distinzione tra sé e il corpo dell'altro.
Egli quindi attribuisce all’altro ciò che in realtà prova lui stesso e contemporaneamente riceve dall’altro una prima immagine di sé. Questo scambio svolge un ruolo importante nella formazione di una propria rappresentazione corporea. L’idea che abbiamo del nostro corpo si modifica per tutta la vita e varia nelle condizioni di salute e malattia.
Da che punto di vista guardiamo?
Quello di “corpo”, pertanto, si configura solo apparentemente come un concetto chiaro ed unitario: il corpo e la mente sono due aspetti di un organismo complesso che la scienza studia con strumenti diversi, biologici e psicologici.
Non sono la mente e il corpo a essere diversi, ma i punti di vista: in questo senso tutte le malattie sono psicosomatiche, in quanto sono sia psichiche sia somatiche. Quello che cambia è la diversa prospettiva che assumiamo quando valutiamo il problema.
Prospettive teoriche a confronto
Il quadro d’insieme ad oggi risulta vario ed esistono diversi approcci:
- la prospettiva psicoanalitica: che considera i sintomi corporei come conseguenza di un conflitto psicologico inconscio;
- la prospettiva psicofisiologica: che approfondisce il rapporto tra processi psicologici e fisiologici attraverso studi condotti in laboratorio, descrivendo le reazioni dell’organismo nei confronti dello stress;
- la prospettiva comportamentista: che considera la sintomatologia psichica e somatica come conseguenza dell’apprendimento. I ricercatori che seguono questo indirizzo hanno contribuito a identificare specifici comportamenti e tratti di personalità che predispongono alle malattie;
- la prospettiva dell’attaccamento: che considera i sintomi patologici e le alterazioni del comportamento di malattia come espressione di un comportamento di attaccamento o come conseguenza dell’esclusione difensiva degli affetti negativi;
- la prospettiva sistemica: che studia i problemi umani in termini di relazioni, descrivendo specifici gruppi familiari definiti “famiglie psicosomatiche”, in cui i membri tendono ad ammalarsi di malattie mediche e psichiatriche. In questa prospettiva, un sintomo manifestato da un membro della famiglia può essere conseguenza di problemi relazionali e assumere un valore funzionale per l’equilibrio del sistema;
- la prospettiva biopsicosociale: è un approccio multidisciplinare e considera le malattie come risultato dell’interazione complessa tra fattori diversi, tra cui quello genetico, biochimico, cellulare, metabolico, immunologico, psicologico, relazionale e ambientale.
La psicologia della salute
Parallelamente alla psicosomatica si è inoltre sviluppata la psicologia della salute, un movimento iniziato in tempi relativamente recenti, che si dedica maggiormente alla promozione del benessere, alla qualità della vita e alla prevenzione, piuttosto che alla cura delle malattie.
La stessa Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), oggi, considera la salute non come l’assenza di malattia, ma come il massimo grado di benessere raggiungibile. La salute e la malattia, quindi, non vengono più ritenute gli opposti di un continuum, ma due dimensioni parallele e relativamente compatibili (persone affette dalla stessa malattia possono infatti godere di stati di benessere differenti).
Il corpo in terapia
Il presupposto fondamentale della medicina psicosomatica è che l'uomo non sia considerato come una macchina, ma come “un tutto unitario, dove la malattia si manifesta a livello organico come sintomo e a livello psicologico come disagio”.
Ad oggi, si predilige una visione “integrata” dell’uomo, secondo cui la cura della malattia deve tener conto del messaggio contenuto nel sintomo, senza quindi abolirlo, ma interpretandolo e cercando di rendere cosciente il paziente del suo significato.
La terapia possibile
La malattia psicosomatica è da usare in senso comunicativo e terapeutico, come forma di linguaggio del corpo per rendere la persona consapevole dei propri conflitti intrapsichici irrisolti: il sintomo pertanto, per quanto faticoso e apparentemente privo di ogni logica razionale, è da considerarsi a tutti gli effetti come un’opportunità di introspezione per affrontare e risolvere il problema alle sue origini emozionali.
Diventa centrale, quindi, sul piano terapeutico, il bisogno di recuperare la storia che ogni malattia simbolizza: comprenderne il significato permette di collocarla in un nuovo contesto di significati e in tal modo influenzarne il decorso.