Trauma e psicotraumatologia
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Ricordi: quando diventano una trappola

Ricordi: quando diventano una trappola
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Laura Morelli
Redazione
Psicoterapeuta ad orientamento Biosistemico
Unobravo
Pubblicato il
27.4.2022

Abbiamo tutti dei ricordi associati a particolari persone, profumi, colori o luoghi che ci hanno accompagnato per periodi più o meno lunghi della nostra vita. Più intensa è l’emozione che sentiamo mentre acquisiamo informazioni, più a lungo termine si imprimerà il ricordo di quell’evento nel magazzino della nostra memoria. 

Ma se l’emozione che percepiamo in quel momento è per noi negativa? In questo caso succede che il nostro corpo registra quel ricordo in termini emozionali, ma le nostre difese ne negano l’accesso alla mente: si assiste, così, a una sorta di dissociazione mente-corpo in cui quei ricordi rimangono impressi nel nostro corpo e si esprimono esclusivamente col linguaggio tipico delle emozioni:

  • fatica a respirare
  • tachicardia
  • senso di chiusura alla gola
  • percezione di vuoto allo stomaco 
  • apatia

Il corpo è “come un testo su cui è impressa la nostra memoria” (Katie Cannon, teologa), ma se la connessione mente e corpo per qualche motivo viene meno, ricordare può diventare una vera e propria trappola emotiva e corporea. 

Come funzionano i ricordi

In che modo ricordiamo una cosa piuttosto che l’altra, e perché? Vediamo come funzionano quei meccanismi interni di cui non siamo consapevoli, ma che hanno comunque un’influenza su come ci sentiamo e su come ci comportiamo in alcune circostanze.

Esiste una porzione del nostro cervello adibita alla registrazione dei ricordi: ci sono dettagli di vita che vengono conservati per pochissimo tempo, anche frazioni di secondo, che finiscono nel cosiddetto “magazzino a breve termine” (MBT). Da qui in maniera automatica i ricordi sono veicolati nel magazzino della memoria a lungo termine (MLT), dove possono essere conservati per ore, giorni, anni o addirittura per sempre, oppure vengono scartati. 

Il nostro cervello fa in modo che quanto più l’emozione è intensa, tanto più essa veicola il ricordo verso la memoria a lungo termine: il messaggio sottostante si può tradurre in “questa cosa è importante, tienila dentro di te!” Questo meccanismo è molto intelligente, si può dire ecologico. È intuitivo immaginarne il senso, poiché le informazioni che ci emozionano di più hanno molto probabilmente un significato protettivo, piacevole, costruttivo. Apprendiamo e ricordiamo ciò che ci serve e che ci fa stare bene, il resto è cancellabile.

Ma cosa succede se l’emozione che imprime il ricordo è, per esempio, la paura? Quell’ informazione dovrà rimanere dentro di noi per ricordarci che fuori c’è un pericolo e quindi per costruire la reazione più adeguata quando e se questo evento si ripresenterà. Può succedere, però, che l’emozione che sentiamo in particolari momenti della vita sia così forte da sopraffare questi meccanismi, non permettendoci quindi di registrare il ricordo.

Andrea Piacquadio - Pexels

Ricordi intrappolati nel corpo

Come  possono certi ricordi essere intrappolati nel nostro corpo? Secondo Lowen, psicoterapista e psichiatra:

“Si prova piacere quando si ha il totale coinvolgimento di mente e corpo in una determinata attività (…). Quando il corpo, la mente e il movimento si fondono in un momento di verità individuale, la sensazione che ne deriva è la gratificazione.”

Succede però che in particolari esperienze di vita il corpo intrappoli alcuni ricordi dentro di sé, interrompendo le vie d’accesso alla memoria esplicita, consapevole, così che quegli eventi incistati dentro di noi rimarranno parte della nostra vita senza che riusciamo a dar loro voce, un significato che vada oltre il sintomo somatico. 

Quando ci troviamo di fronte a un pericolo, il nostro cervello manda delle informazioni di allerta al nostro corpo, il quale attiverà i muscoli, accelererà il battito, aumenterà la pressione cardiaca, si preparerà cioè ad attivare un meccanismo di attacco o di fuga, rispetto alla situazione. Ma se il pericolo che noi percepiamo è troppo forte si può attivare quello che in natura viene chiamato “freezing”, un meccanismo di difesa attraverso cui il corpo “si spegne”, è sopraffatto, e blocca il movimento. 

Per alcuni accadimenti di stampo traumatico o particolarmente intensi, la fatica e l’esperienza di quel momento rimangono dentro di noi anche una volta esaurito il pericolo, si cronicizzano, e questo comporta uno stato di allerta costante, come se passassimo i giorni in attesa di un pericolo.

Cosa fare quando il ricordo diventa una trappola?

Il corpo è contenitore di emozioni, anche antiche, che molte volte non vediamo ma che influenzano il nostro modo di vivere quotidiano. Emozioni primarie come ansia, tristezza, paura, o più secondarie come il senso di impotenza o di inadeguatezza, possono esprimersi dentro di noi e condizionare le nostre giornate senza che sia apparentemente possibile dare loro un significato, accogliere, elaborarle. 

La psicoterapia biosistemica, attraverso un’attenta lettura del nostro linguaggio del corpo, permette di attivare un processo di riparazione, attraverso il quale è possibile riconoscere alcuni nostri ricordi che a volte non vengono elaborati dalla mente poiché troppo intensi e dolorosi. Riconoscendoli come parti di sé è possibile esplorarli, accoglierli, dargli un significato ed in questo modo elaborarli e riconnetterli alla nostra mente cosciente, liberandoci così dalla trappola delle emozioni non riconosciute.

Iniziare un percorso psicoterapeutico può aiutare a dipanare la matassa di ricordi faticosi, di eventi dolorosi, e permetterci di avere una visione più ampia e accogliente di ciò che ci è successo, dandoci spunti per costruire risorse nuove, partendo da un’esplorazione di sé globale e da una riconnessione mente-corpo cruciale per il nostro senso di benessere quotidiano.

Questo è un contenuto divulgativo e non sostituisce la diagnosi di un professionista. Articolo revisionato dalla nostra redazione clinica

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