Musica e cervello: gli effetti psicologici della musica

Musica e cervello: gli effetti psicologici della musica
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Federica Gerli
Redazione
Psicoterapeuta Sistemico-Relazionale
Unobravo
Articolo revisionato dalla nostra redazione clinica
Pubblicato il
29.3.2024
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La Commissione Pratica Clinica della WFMT - World Federation of Music Therapy ha definito la musicoterapia come “l’uso della musica e dei suoi elementi (suono, ritmo, melodia, armonia) ad opera di un musicoterapista qualificato, in un rapporto individuale o di gruppo, all’interno di un processo che ha come obiettivo quello di sviluppare potenziali e riabilitare funzioni dell’individuo”.


La finalità generale della musicoterapia è quella di ottenere una migliore integrazione sul piano interpersonale e intrapersonale e, conseguentemente, una migliore qualità della vita.


Viene utilizzata nell’ambito della prevenzione, della terapia e della riabilitazione e la sua importanza è legata alla possibilità di raggiungere obiettivi non specificamente musicali, altrimenti difficilmente raggiungibili con altre tipologie di intervento.


La musicoterapia può infatti avere effetti positivi su molti ambiti umani come la comunicazione, le relazioni, l’apprendimento, la motricità, l’espressione e può offrire una risposta a bisogni fisici, emotivi, sociali e cognitivi. 


La musica può influenzare l'attività cerebrale


Quale parte del cervello si attiva con la musica?


Quando ascoltiamo una nuova canzone o degli stimoli sonori, si verifica una stimolazione della corteccia uditiva del cervello con la conseguente conversione del ritmo, melodia e armonia in un unico segnale acustico. In seguito, in base a come si interagisce con quella melodia (per esempio ballando, cantando o ricordando esperienze del passato) si attivano aree diverse del cervello.


L’ascolto della musica, nei suoi diversi elementi, attiva infatti varie aree del cervello:


  • la corteccia prefrontale, che è coinvolta nel movimento del corpo, per esempio quando si balla o si suona uno strumento
  • la corteccia sensoriale, che gestisce gli stimoli tattili mentre si è impegnati a ballare o suonare
  • l’ippocampo che è coinvolto nei ricordi e nelle esperienze collegate alla musica
  • la corteccia visiva, implicata nella lettura della musica e nell’osservazione dei propri passi di danza
  • il cervelletto, coinvolto nel movimento mentre si danza o si suona uno strumento
  • la corteccia uditiva, implicata nell’ascolto dei suoni, nella percezione e nell’analisi dei toni
  • il nucleo accumbens e l’amigdala, coinvolti nelle reazioni emotive agli stimoli sonori.


L’attività musicale, inoltre, promuove la neuroplasticità e aumenta la connettività, producendo la sinaptogenesi, ossia quel processo che si verifica quando viene creata una nuova sinapsi all’interno del sistema nervoso centrale di un organismo.


Le connessioni neurali, il numero di neuroni e sinapsi e le tipologie di circuiti nel nostro cervello sono caratterizzati da un certo grado di plasticità, che è massimo durante l’età dello sviluppo gestazionale e postnatale, ma si mantiene anche in età adulta, come adattamento ai diversi stimoli ambientali.


Le ricerche di Schlaug (2001), professore di Neurologia e Ingegneria Biomedica alla University of Massachusetts, hanno evidenziato come, nei bambini che studiano musica, aumenti la dimensione delle aree cerebrali deputate all’analisi uditiva e alla programmazione.


Tali evidenze sono state confermate anche da alcuni studi del 2006 del neurologo Pascual-Leone, che hanno evidenziato la capacità del cervello di rispondere molto velocemente all’educazione musicale. Già dopo pochi minuti dall’esecuzione di esercizi di pianoforte con le cinque dita, sono stati infatti rilevati dei cambiamenti nella corteccia motoria dei soggetti impegnati nella prova. 


Musica e neuroscienze


Oggi sappiamo che neuroscienze e psicologia sono indissolubilmente connessi, grazie alla capacità del cervello di auto-modificarsi.


Negli ultimi anni la ricerca nell’ambito delle neuroscienze ha conosciuto un notevole sviluppo anche in riferimento alla musica e agli effetti di quest’ultima sul cervello. Infatti, numerose tecniche sperimentali come i potenziali evocati (ERP), il magnetoencefalogramma (MEG), l’elettroencefalogramma (EEG), la SQUID, la risonanza magnetica (MRI), la tomografia ad emissione di positroni (PET) e la stimolazione magnetica transcranica (TMS) permettono di identificare le parti attive del cervello durante l’elaborazione degli stimoli musicali.


Nell’ascolto musicale, si attivano entrambi gli emisferi del cervello: quello sinistro, che si concentra sul linguaggio, sulla struttura del brano e le parole della canzone, e quello destro, che gestisce le funzioni più intuitive e si concentra dunque sull’aspetto musicale. L’emisfero destro è quindi quello che consente di ascoltare la musica lasciandosi trasportare dai suoni, mentre il sinistro permette di analizzare il sonoro da un punto di vista tecnico.


I benefici della musica sono pertanto evidenziabili in entrambi gli emisferi:


  • nell’emisfero sinistro, nei termini di miglioramento della memoria, della motricità, del senso del ritmo e della coordinazione corporea
  • nell’emisfero destro, con un cambiamento dell’immaginazione e della creatività. 


Gli effetti della musica sulla psiche


La musica ha un ruolo primario anche nel produrre sensazioni di benessere psichico. Sono noti gli effetti positivi degli stimoli sonori sulla regolazione del battito cardiaco, sulla pressione sanguigna, sulla respirazione e sul livello di alcuni ormoni come quelli dello stress.


Ascoltare brani musicali o suoni gradevoli, stimola infatti regioni del cervello che regolano il piacere. In particolare i suoni attivano il nucleo accumbens, considerato il “centro del piacere” del cervello. Quest’ultimo rilascia la dopamina, un neurotrasmettitore che produce un senso di gratificazione tale da indurre il nostro corpo a ripetere l’esperienza dell’ascolto per sperimentare nuovamente il piacere.


Le risposte emozionali agli stimoli sonori differiscono anche sulla base delle caratteristiche di questi ultimi. In particolare, i parametri che vanno presi in considerazione sono:


  • l’altezza, in quanto suoni più acuti tendono a produrre maggiore tensione rispetto ai suoni meno acuti
  • l’intensità, nella misura in cui suoni più forti hanno un effetto psicologico energizzante, mentre quelli più deboli promuovono il rilassamento
  • il timbro, poiché, se prevalgono gli armonici consonanti, l'ascoltatore avverte un suono pieno, rotondo, ricco, mentre quando prevalgono gli armonici dissonanti, il suono può essere percepito come povero, rigido o spigoloso
  • il ritmo, che può avere un effetto stabilizzante se regolare, destabilizzante se irregolare
  • il tempo di esecuzione, che può avere un effetto eccitatorio se veloce, calmante se è moderato
  • l’armonia, che può produrre sensazioni di calma e stabilità se consonante, mentre se dissonante può indurre sensazioni di tensione e inquietudine.


La musica può avere diverse proprietà in ambito terapeutico, per esempio:


  • facilitare la comunicazione e l’espressione emotiva
  • sostenere il movimento e la danza stimolando la corteccia motoria e i gangli della base
  • migliorare l’acquisizione del linguaggio nelle persone con dislessia o sordità congenita
  • offrire una stimolazione sensoriale alternativa alle persone con disturbi dello spettro autistico e non vedenti
  • ridurre il dolore, offrendo conforto a pazienti oncologici, a persone che stanno elaborando un lutto o soffrono di depressione
  • promuovere un senso di appartenenza, indurre un comportamento prosociale e rafforzare la coesione
  • indurre sonno nel bambino e rilassamento dell’adulto, rallentando l’EEG.


La psicologia della musica


La psicologia della musica è quella disciplina che studia il rapporto tra le strutture musicali (ritmo, melodia, armonia) e le risposte degli ascoltatori, non solo in termini comportamentali, ma anche di elaborazioni cognitive.


Anche la musicoterapia si occupa della relazione tra musica e individuo, tuttavia essa si serve di stimoli musicali spesso molto più semplici di quelli più sofisticati, utilizzati negli esperimenti di psicologia della musica.


I soggetti a cui si rivolgono gli esperimenti di psicologia della musica sono spesso adulti, talvolta musicisti, selezionati per vagliare ipotesi su competenze percettive e mnemoniche. La musicoterapia, invece, utilizza un insieme di tecniche per la cura e la riabilitazione di persone, sia in età infantile che adulta, spesso affette da disagio psichico, comportamentale e disabilità.


Un’altra caratteristica importante che distingue la musicoterapia dalla psicologia della musica risiede nella possibilità, per il terapeuta, di utilizzare il mezzo musicale come mediatore per sintonizzarsi sulle emozioni del paziente e comunicare con lui. Nel momento in cui paziente e terapeuta si posizionano “sulla stessa lunghezza d’onda”, infatti, il paziente può sentirsi compreso e contenuto e può accedere a una profonda elaborazione dei propri vissuti emotivi


L'uso della musica in terapia


La musicoterapia è in genere associata ad altre pratiche terapeutiche (medicina, psicologia, logopedia) e trova applicazione in numerosi contesti clinici.


Nel settore del benessere psicologico, per problemi depressivi, di ansia e stress, l’approccio musicoterapeutico può integrare quello psicoterapeutico per favorire l’espressione e l’elaborazione delle emozioni del paziente


Il musicoterapeuta utilizza la musica a scopo terapeutico per promuovere il benessere emotivo e cognitivo. Lo psicologo, invece, è formato per diagnosticare e trattare disturbi mentali attraverso tecniche specifiche. Tuttavia, uno psicologo può anche formarsi come musicoterapeuta, integrando entrambe le competenze nel suo lavoro con i pazienti.


Musicoterapia e bambini


Attraverso la musicoterapia è possibile entrare in un rapporto empatico anche con bambini affetti da gravi deficit sensoriali, motori e relazionali, che non possiedono il linguaggio verbale o manifestano atteggiamenti di chiusura verso il mondo esterno. In questi casi la musicoterapia si avvale di tecniche di rispecchiamento e facilitazione che offrono un canale alternativo di comunicazione fatto di suoni, gesti, contatti tattili e corporei.


Tutto ciò al fine di promuovere quella che viene definita “una relazione felice”, cioè caratterizzata da una comunicazione fluida e organizzata, in opposizione a modelli comunicativi contraddistinti da turbolenze, antagonismi e interruzioni.


È possibile riscontrare i benefici della musicoterapia anche nel contesto della prevenzione, con l’ottica di promuovere il benessere psico-fisico dei bambini e degli adulti. Per esempio, nel contesto scolastico, può rappresentare uno strumento efficace per favorire l’integrazione sociale, ridurre atteggiamenti di aggressività e problematiche comportamentali dei minori.


Musicoterapia per persone anziane e affette da malattie croniche


Altri ambiti clinici in cui può essere utilizzata la musicoterapia sono quelli legati alla malattia oncologica o cronica. È stato riscontrato l’effetto positivo dei suoni sulla cosiddetta fatigue, cioè la stanchezza persistente associata alla malattia e ai trattamenti, e sulle emozioni di ansia, paura e depressione, riuscendo persino a influire positivamente sul controllo del dolore fisico.


La musicoterapia può essere impiegata anche in ambito neurologico, come terapia riabilitativa per le funzioni motorie e sensoriali di pazienti affetti da malattia di Parkinson, Alzheimer e varie tipologie di demenza.


Esplorando il potenziale terapeutico della musica nel cervello


È ormai noto come la musica influenza la mente, grazie alla proprietà di attivare entrambe le parti del cervello e creare connessioni neurali. Non è necessario essere musicisti professionisti per cambiare la struttura cerebrale, in quanto attraverso la musica è possibile apprendere e, nel contempo, modificare le connessioni nel cervello.


L’interesse per queste possibilità di apprendimento offerte dal sonoro si accompagna agli enormi benefici che può avere l’utilizzo dei suoni all’interno di una relazione terapeutica, per la cura e riabilitazione di numerose patologie e disturbi neurologici, sensoriali, emotivi. 


Bibliografia


  • Bruscia K., 1993, Definire la musicoterapia. Percorso epistemologico di una disciplina e di una professione, ISMEZ, Roma, pp. 16-18
  • Proverbio A.M., 2019, Neuroscienze cognitive della musica. Il cervello musicale tra arte e scienza, Zanichelli, Bologna
  • Manarolo G., 2009, Psicologia della musica e musicoterapia. Appunti per un dialogo, Edizioni Cosmopolis, Torino
  • Schlaug G., 2001, The brain of musicians. A model for functional and structural adaptation, Annals of the New York Academy of Sciences
  • Pascual-Leone A., 2006, The brain that plays music and is changed by it, Annals of the New York Academy of Sciences 
  • Curinga L., 2006,  Voce grammatica della musica, in Enciclopedia dei Ragazzi Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Giovanni Treccani, Roma. 


Bibliografia
Questo è un contenuto divulgativo e non sostituisce la diagnosi di un professionista. Articolo revisionato dalla nostra redazione clinica

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