Il fallimento è un'esperienza comune a tutti gli esseri umani, ma il modo in cui lo viviamo e lo interpretiamo può variare notevolmente a seconda delle circostanze e delle caratteristiche personali.
Per esempio, nella nostra quotidianità, potremmo trovarci più volte a non raggiungere dei piccoli obiettivi che ci eravamo prefissati: magari avremmo voluto trovare qualche minuto in più per fare colazione con calma, ma ci siamo svegliati troppo tardi, o avere il coraggio di chiedere un appuntamento che desideriamo da tempo, ma non abbiamo premuto invio.
Mentre alcune persone potrebbero percepire questi episodi come fallimenti, altre potrebbero non considerarli affatto tali. Questo dipende da come ciascuno di noi definisce questo concetto. Ciò che per qualcuno è un ostacolo minore o una semplice battuta d’arresto, per altri potrebbe rappresentare una fonte di frustrazione o delusione.
Il fallimento e la sua percezione
La psicologia ha affrontato il tema del fallimento in diverse epoche, offrendo prospettive sempre più complesse rispetto al suo impatto su dimensioni quali motivazione, performance e benessere emotivo.
Muovendoci tra diversi contributi scientifici, possiamo tracciare un'evoluzione di questo concetto che parte dagli studi classici di Kurt Lewin negli anni Cinquanta e arriva a ricerche più recenti che si concentrano sul ruolo di concetti collaterali come la passione.
Kurt Lewin, infatti, è tra i primi a esplorare il legame tra fallimento e autostima, introducendo una riflessione innovativa nel campo della psicologia della motivazione.
Gli studi sul concetto di fallimento
In un suo studio del 1958, Lewin sostiene che la percezione del successo o del fallimento non dipende tanto dall'esito oggettivo di un compito, quanto dal grado di difficoltà percepito. Se un compito è troppo difficile, non si prova un vero senso di fallimento, poiché si considera l'obiettivo irraggiungibile.
Al contrario, se il compito è troppo facile, non si ottiene una reale sensazione di successo. Il fulcro della questione, per Lewin, è il rapporto tra il livello di aspirazione personale e il risultato.
Di conseguenza, il fallimento è più doloroso quando le aspettative sono elevate e non vengono soddisfatte.
Questo modello concettuale ha contribuito a far emergere l'idea che il fallimento sia una costruzione psicologica, più che un mero evento oggettivo (Lewin, 1958).
L'approccio di Lewin viene ulteriormente sviluppato negli anni '60 da Norman Feather, che focalizza l'attenzione sull'influenza delle esperienze passate di successo e fallimento sulla performance futura. Coloro che affrontano un fallimento iniziale tendono a ridurre le loro aspettative e a peggiorare le loro prestazioni successive, mentre chi ha sperimentato successo mostra una maggiore fiducia e risultati migliori.
Questo fenomeno è spiegato attraverso la teoria della motivazione al successo, secondo la quale il fallimento passato influenza negativamente non solo la performance futura, ma anche la percezione delle proprie capacità.
Feather sottolinea anche come persone focalizzate al raggiungimento del successo reagiscono in maniera più "tipica" e positiva alle esperienze di successo, mentre quelle focalizzate ad evitare il fallimento sono particolarmente vulnerabili alle esperienze negative e fanno più difficoltà a notare i loro successi (Feather, 1966).
Questo studio evidenzia come il fallimento possa diventare un ciclo che si autoalimenta, condizionando il comportamento futuro.

A partire dagli anni 2000, la psicologia del fallimento si è ulteriormente arricchita spostando il focus di ricerca sul ruolo della passione nella reazione agli insuccessi. Un ampio team di ricercatori (Bélanger et al. 2013) ha osservato due gruppi di individui suddividendoli in base al fatto che dichiarassero di avere una passione ossessiva o una passione armoniosa, e ha studiato le differenze che mostravano nel rispondere alle informazioni sul successo o sul fallimento dei loro obiettivi.
Le persone con una passione ossessiva sembrano essere guidate principalmente dalla paura del fallimento, che può portare a un miglioramento delle prestazioni, soprattutto quando è in gioco qualcosa di significativo per la loro identità. Tuttavia, tale miglioramento deriva da una pressione autoimposta e dal timore di perdere il proprio status o valore personale. Nel lungo periodo, questa rigidità può generare stress e ansia fino all’abbandono del compito.
Il modo in cui percepiamo e reagiamo al fallimento dipende, quindi, non solo dalle esperienze precedenti o dalle aspettative, ma anche dal tipo di motivazione che ci guida.
Oggi sappiamo quindi che il concetto di fallimento si riferisce ad un'esperienza complessa e sfaccettata, il cui impatto sul benessere e sulla performance varia in base a molti fattori, tra cui le aspettative personali, la storia pregressa e la motivazione intrinseca.
Comprendere questi meccanismi è fondamentale per sviluppare strategie efficaci di resilienza e crescita personale.
Reazioni emotive al fallimento percepito
Quando ci si confronta con un fallimento, è comune sperimentare una gamma di emozioni spiacevoli, tra cui vergogna, tristezza, frustrazione, rabbia e un profondo senso di perdita. Queste emozioni possono influenzare non solo il benessere emotivo dell'individuo, ma anche le sue relazioni interpersonali e la sua autostima.
Come suggerisce un articolo pubblicato sulla rivista specializzata Cognition and Emotion (Krohne et al.2010) queste emozioni, se considerate ingestibili, possono portare a concentrarsi su pensieri e sentimenti negativi, alimentando un ciclo di rimuginio che intensifica frustrazione e tristezza.
Senza adeguate strategie di gestione cognitiva, infatti, il rischio è che la costante esperienza di emozioni spiacevoli ostacoli il superamento anche di piccoli fallimenti e renda più difficile adattarsi a nuove sfide.
Chi percepisce il fallimento come una componente naturale del proprio lavoro, tende a subire meno ferite emotive. Questa visione può favorire un atteggiamento costruttivo, trasformando un'esperienza negativa in un'opportunità di apprendimento. Al contrario, contesti in cui il fallimento è stigmatizzato e visto esclusivamente come risultato di errori o cattiva gestione, può generare vergogna e frustrazione, portando a un'ulteriore diminuzione dell'autostima e a difficoltà nelle relazioni interpersonali (Sheperd et al., 2012).
Il modo in cui il fallimento è percepito e vissuto è fortemente influenzato dal contesto sociale e dalla cultura organizzativa.
Un altro studio (Zhang & Cross, 2011) porta all’estremo questo concetto, mostrando come differenze culturali a livello nazionale, abbiano un ruolo cruciale nella comprensione delle reazioni emotive al fallimento.
In particolare, lo studio confronta le risposte al successo e al fallimento in due contesti culturali diversi, gli Stati Uniti e la Cina. Gli americani tendono a vedere il successo come un fattore che rafforza l'autostima, e sono più inclini a evitare situazioni che potrebbero minacciare questa percezione.
Al contrario, i cinesi considerano il fallimento in modo più tollerante, vedendolo come meno dannoso per la loro autovalutazione e meno problematico per il raggiungimento dei loro obiettivi a lungo termine. Questa visione più resiliente del fallimento spinge i cinesi a ri–affrontare le sfide con maggiore determinazione, dimostrando una propensione ad apprendere dall'insuccesso. Al contrario, gli americani sono più inclini a ritirarsi da situazioni che potrebbero minare la loro autostima.
Questa discussione può essere applicata anche nel contesto accademico (Edwards & Ashkanasy, 2018).
Nel loro studio, gli autori sottolineano come il fallimento possa generare un elevato livello di stress tra studenti e professionisti accademici. Essi propongono quindi di normalizzare l'esperienza del fallimento, sostenendo che questa pratica sia cruciale per costruire resilienza nelle nuove generazioni.
Creando un ambiente in cui il fallimento non sia visto come una macchia irreversibile, ma come parte del processo di apprendimento, le istituzioni accademiche possono ridurre l'ansia associata agli insuccessi e favorire un percorso di crescita e sviluppo più sano e supportivo che può portare vantaggi a lungo termine e a lungo raggio.

Il fallimento come opportunità di apprendimento
Quando si parla di apprendimento e di come il fallimento possa trasformarsi in un'opportunità di crescita, è inevitabile citare lo psicologo B.F. Skinner, tra i più influenti del secolo scorso.
Nella sua teoria dell'apprendimento comportamentale, infatti, gli errori e il fallimento assumono un'importanza centrale. Skinner, pioniere del condizionamento operante, sosteneva che il comportamento umano fosse modellato dalle conseguenze delle azioni, con il rinforzo positivo e negativo come strumenti chiave per influenzare il comportamento. Nella sua teoria, attraverso successi ed errori, l'individuo impara ad adattarsi e a modificare le proprie risposte all'ambiente in modo più efficace.
Skinner cattura questa visione affermando: “Un fallimento non è sempre un errore, può semplicemente essere la cosa migliore che si possa fare date le circostanze. Il vero errore è smettere di provarci”.
Questa citazione esprime chiaramente l'approccio costruttivo di Skinner, secondo cui il fallimento non è una barriera, ma una fonte di informazioni per migliorare le prestazioni future. Gli errori forniscono un feedback essenziale, che permette agli individui di apprendere e adattarsi, trasformando così gli insuccessi in opportunità di crescita.
Secondo Skinner, il progresso non si basa sull'assenza di fallimenti, ma sulla capacità di riflettere su di essi, modificare il comportamento e continuare a sperimentare, come sottolineato anche nel suo lavoro Beyond Freedom and Dignity (1971).
Questo principio rimane rilevante anche nelle moderne teorie educative, dove l'apprendimento attraverso il fallimento è considerato essenziale per il miglioramento continuo e l'innovazione.
Resilienza:un costrutto da maneggiare con cura
Nel contesto sociale e lavorativo attuale, dove il successo è spesso idolatrato, la resilienza è considerata una competenza chiave per superare le difficoltà, ma viene spesso fraintesa e semplificata.
Eva Illouz, nel capitolo della Routledge International Handbook of Global Therapeutic Cultures (2020), esplora come la società contemporanea, in particolare nei settori aziendali e militari, abbia trasformato la resilienza in una capacità essenziale, spesso ignorando la complessità della sofferenza umana.
Questo approccio riduttivo tende a trattare il dolore personale come una fase da superare rapidamente, piuttosto che riconoscerlo come un’esperienza profonda e trasformativa.
Per esempio, nel contesto aziendale, quando un dipendente viene licenziato, la resilienza viene spesso intesa come la capacità di rimettersi immediatamente in gioco e cercare un nuovo lavoro, senza dare spazio al processo di elaborazione emotiva. In questo caso, la pressione a dimostrare resilienza può banalizzare l'impatto del licenziamento sulla persona, trascurando il tempo necessario per riflettere sull’esperienza e recuperare emotivamente, favorendo una cultura che non solo minimizza il valore del benessere psicologico dell’individuo, ma rischia di favorire scelte affrettate e poco elaborate.
Anche Schwarz (2018) ci offre un’analisi critica del concetto di resilienza, sottolineando come il fallimento possa diventare uno strumento per mettere in discussione le narrazioni dominanti della società.
Per esempio, un neo genitore che si sente sopraffatto e commette errori nella gestione delle complesse dinamiche familiari, potrebbe riflettere su come le aspettative sociali riguardo alla genitorialità possano essere irrealistiche. Invece di concentrarsi esclusivamente sui propri errori come segnali di inadeguatezza, il genitore potrebbe utilizzare queste esperienze per stimolare una discussione più ampia sul supporto ricevuto.
Questo processo di riflessione potrebbe portarlo a organizzare gruppi di supporto per genitori, creando uno spazio in cui le persone possano condividere le proprie esperienze senza giudizio, contribuendo a sfidare le norme sociali che rendono difficile per i genitori chiedere aiuto o riconoscere le proprie vulnerabilità. In tal modo, il fallimento diventa non solo un’opportunità per la crescita personale, ma anche un catalizzatore per il cambiamento sociale.

Affrontare il fallimento in modo costruttivo: dall’accettazione alle strategie di fronteggiamento
Affrontare il fallimento in modo costruttivo richiede una profonda consapevolezza emotiva e l'accettazione della propria vulnerabilità. Essere consapevoli del proprio vissuto emotivo durante i momenti di crisi può infatti fare la differenza nel modo in cui interpretiamo, affrontiamo e superiamo un fallimento.
La capacità di accettare le emozioni negative e re-impegnarsi verso nuovi obiettivi significativi è un fattore cruciale per il benessere psicologico. L'accettazione delle emozioni negative permette di non evitarle o reprimerle, ma di riconoscerle, gestirle e trasformarle in leve per il cambiamento (North et al., 2014).
Un esempio è quello di Vincent van Gogh, il celebre pittore olandese. Durante la sua vita, van Gogh lottò con povertà, problemi di salute mentale e il mancato riconoscimento artistico. La sua arte fu ignorata e aspramente criticata, e per molti sarebbe stato facile considerare la sua carriera un fallimento.
Tuttavia, van Gogh non smise mai di dipingere. Sebbene non abbia raggiunto il successo desiderato in vita, la sua storia ci dimostra che superare il fallimento non significa sempre ottenere fama o successo, ma può consistere nel trovare significato e soddisfazione personale in ciò che si fa.
Superare un fallimento, infatti, non significa necessariamente raggiungere una grande meta, ma può tradursi in un percorso di crescita personale indipendentemente dalla grandezza dei risultati.
Il superamento del fallimento può significare acquisire una nuova prospettiva sulla vita, imparare lezioni importanti o semplicemente trovare la forza di rialzarsi e riprovare.
Per raggiungere questi obiettivi, potrebbe essere utile tenere a mente che, anche quando non sembra possibile, possiamo contare su:
- sostegno sociale: condividere i propri sentimenti con persone di fiducia, come amici e familiari, è essenziale per ridurre il senso di isolamento e ricevere supporto emotivo. Parlare apertamente del proprio fallimento permette di ridimensionarlo e di vedere aspetti positivi che potrebbero non essere evidenti
- ricognizione dei successi passati: ricordare e annotare i propri successi passati, anche i più piccoli, aiuta a riacquistare fiducia nelle proprie capacità. Tenere un diario in cui registrare le proprie realizzazioni permette di vedere come si sia stati in grado di superare altre sfide. Questa pratica aumenta la fiducia in sé stessi, specialmente quando si affrontano momenti di crisi
- fissare obiettivi realistici: creare traguardi raggiungibili aiuta a mantenere la motivazione alta e a evitare sentimenti di frustrazione. Per esempio, dopo un fallimento professionale, si può cominciare impostando piccoli obiettivi, come migliorare il proprio curriculum o seguire un corso di aggiornamento. Questo approccio incrementale è particolarmente utile per chi ha uno stile perfezionistico, in quanto permette di gestire la paura del fallimento e ridurre l'ansia da prestazione (Conroy et al., 2007)
- accettazione delle emozioni negative: accettare le proprie emozioni negative e non tentare di reprimerle è un passo fondamentale per il recupero dopo un fallimento. Quando si permette a queste emozioni di emergere senza cercare di controllarle o evitarle, si crea lo spazio per un adattamento psicologico più sano, che può portare a un maggiore benessere.
Infine, il supporto professionale, come la consulenza psicologica online, può essere determinante per affrontare i meccanismi psicologici che si attivano dopo un fallimento. Un professionista può aiutare a esplorare le paure legate al fallimento e a sviluppare strategie di coping più efficaci, come la ristrutturazione cognitiva, che permette di trasformare le percezioni negative in opportunità di apprendimento.
Il fallimento: una chiave insospettabile per il benessere
Data l’impossibilità di prevedere e controllare tutti gli eventi della nostra vita, la gestione del fallimento si rivela essere una parte integrante e necessaria del nostro percorso verso il benessere emotivo.
La nostra capacità di affrontare e interpretare il fallimento, piuttosto che evitarlo, determina non solo la nostra crescita personale, ma anche il nostro benessere complessivo. Infatti, attraverso la consapevolezza delle emozioni, la resilienza e il supporto sociale, possiamo trasformare gli insuccessi in opportunità di apprendimento e miglioramento.
Un libro illuminante su questo tema è Fallire e vivere felici di Alain de Botton. In quest'opera, de Botton esplora l'importanza del fallimento nella vita, sostenendo che è attraverso gli insuccessi che possiamo trovare significato e autentica felicità.
L'autore invita i lettori a considerare il fallimento non come una fine, ma come una parte essenziale della condizione umana, contribuendo alla nostra crescita e alla nostra capacità di affrontare le sfide. Attraverso una narrazione incisiva, de Botton ci mostra come l'accettazione del fallimento possa portare a una vita più ricca e significativa.
Un film che esplora temi di comunità e resilienza è The Old Oak (2023), diretto da Ken Loach. La storia ruota attorno a un pub in una piccola comunità nel Regno Unito, dove la vita dei residenti viene sconvolta dall'arrivo di una nuova comunità di rifugiati. I protagonisti, le cui storie personali sono segnate da numerosi fallimenti personali, relazionali e sociali, si trovano a dover affrontare le sfide dell'unità e della comprensione in un contesto di crescente tensione.
Il film mette in luce le difficoltà e i fallimenti che possono derivare dalla paura, ma anche la capacità umana di adattarsi e trovare solidarietà. La lotta per accettare l'altro e costruire un legame attraverso il dialogo diventa un potente messaggio di speranza e resilienza.