Crescita personale
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Lutto: la reazione della famiglia alla morte

Lutto: la reazione della famiglia alla morte
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Carmela Di Lorenzo
Redazione
Psicoterapeuta ad orientamento Sistemico-Relazionale
Unobravo
Pubblicato il
7.2.2020

La perdita è un’esperienza che implica sempre il dover “riassestare” la propria storia. Il tempo, di solito, permette di elaborare il lutto, ma non sempre ciò risulta così ovvio e lineare.

Cambiamenti nella vita familiare

La famiglia deve far fronte, oltre alla perdita stessa, anche ai cambiamenti individuali generati nei singoli membri: non si è più madri di ma si diventa l’essere stata madre di, oppure l’essere stata figlia o moglie di. Ciascuno, nella sua reazione all’evento luttuoso, si riorganizza sia in funzione delle risorse del gruppo familiare, sia in base alle risorse e alle necessità individuali.

Accade spesso che, in seguito alla morte, si verificano dei cambiamenti nella composizione familiare. Ad esempio:

  • un parente può andare a vivere con la famiglia per aiutarla a superare la crisi;
  • un genitore che non se la sente di prendersi cura del bambino può mandarlo a vivere altrove;
  • il genitore può instaurare una nuova relazione sentimentale e risposarsi subito dopo la morte del coniuge.

Come parlare ai bambini della morte

È importante comprendere quale idea i bambini abbiano della morte, per potersi sintonizzare con loro quando si affronta questo tema e si risponde alle loro domande. La death education aiuterà ii più piccoli su una serie di aspetti importanti:

  • mantenere la fiducia negli adulti sapendo di poter contare su di loro;
  • non sentirsi abbandonati e lasciati da soli in preda alla confusione;
  • avere più chiara la situazione che vivono e poterla contenere nella mente.

Tutte cose che rappresentano dei fattori protettivi nella costruzione e nello sviluppo del funzionamento mentale che accompagnerà il bambino anche da adulto. Quando un bambino non fa domande su avvenimenti familiari dolorosi e importanti, non è perché non le abbia dentro di sé, ma perché ha capito benissimo che quelle domande non vanno fatte. Ai segreti si obbedisce in silenzio, ci si stipula sopra un patto sotterraneo, che però amplifica la risonanza del dolore.

Il problema non è se parlare o no con i bambini e i figli in generale, il problema è come farlo.
Parlare ai bambini della morte non è facile per niente e avviene sempre per tentativi ed errori, come in tutte le cose della vita. Ognuno reagisce in base al proprio funzionamento mentale, alla propria storia, al proprio patrimonio genetico, alle proprie caratteristiche.

Una domanda chiara vuole una risposta concreta

Lo psicologo Murray Bowen sostiene che nel lavoro con le famiglie che hanno subito un lutto sia molto importante utilizzare termini diretti come “morte”, “morire” e “seppellire”, rispetto ad altri quali “trapassato”, “deceduto” o “spirato”. Il termine diretto segnala all’altro che si è in grado di parlare con tranquillità della morte e aiuta anche gli altri a sentirsi a proprio agio, mentre un termine tangenziale sembra voler addolcire la realtà e induce la famiglia a rispondere con parole a loro volta imprecise, cosicché la conversazione giunge ad un punto tale che uno si domanda se si sta proprio parlando della morte.

Aaron Burden - Pexels

Il dramma che cammina di fianco alla speranza

Comunemente, si pensa che l’elaborazione di un lutto consista nell’accettazione della morte di una persona cara e quindi della perdita definitiva di quel legame d’amore. Invece, le fasi del lutto costituiscono un processo che evolve nell'esatto opposto, cioè nella conquista di un legame interno fatto di ricordi, di emozioni, di un calore che nessuno potrà più portare via.

Il lutto non è una malattia, ma un tempo doloroso della vita legato alla perdita, mentre spesso sono le soluzioni trovate per affrontarlo che possono rivelarsi problematiche. In alcuni casi, ad esempio, un lutto complicato può trasformarsi in un disturbo post traumatico da stress.

Se talvolta un lutto disgrega i legami familiari, altre volte può invece rappresentare un’opportunità di crescita, un punto drammatico di svolta per un cambiamento, grande e positivo, con sé stessi e con gli altri. Col tempo, non è escluso che una famiglia risulti più unita, rafforzata, con un’affettività più autentica al suo interno e al di fuori.

Dal dolore alla svolta

La prima fase del lutto è la distanza, dovuta anche anche alla difficoltà che si ha a esprimere i propri sentimenti. Quando si è colpiti da un grande dolore, si vive relegati in un mondo a parte, in uno stato dissociato dalla realtà dove non c’è posto per gli altri rapporti, anche quelli più stretti. All'inizio la vita non è più vita, solo un sopravvivere. Ma poi può succedere "qualcosa", una svolta.

Si riprende il rapporto con la realtà, con trasformazioni interne e un nuovo atteggiamento nei confronti degli altri, a cominciare dalle persone più vicine:

“Da un lutto "incistato" si passa a volte, attraverso una circolazione della sofferenza, a un modo nuovo di stare insieme, dove al centro c' è l'accettazione del proprio essere fragili, così indifesi nei confronti della sventura, la capacità di stare a contatto con le proprie emozioni e di saperle comunicare, di non proporsi più come pure maschere, nei soliti ruoli aridi, abitudinari, ripetitivi.” Maurizio Andolfi



Questo è un contenuto divulgativo e non sostituisce la diagnosi di un professionista. Articolo revisionato dalla nostra redazione clinica

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