Quando non siamo pronti ad ammettere a noi stessi cosa proviamo e che qualità ha quel sentire, non possiamo avere una comunicazione reale con la nostra verità. Ancor meno sarà possibile instaurare un rapporto davvero intimo con l’altro, che sia il partner, un genitore, un capo, un amico. Per stare bene nelle relazioni con gli altri è necessario possedere una buona intelligenza emotiva. Controllare le nostre emozioni, invece, è bloccare la relazione nella sua spontanea evoluzione: è come voler controllare il cuore.
Si può amare se il cuore non rimane aperto?
Come si può assecondare il flusso di sentimenti ed emozioni positive e rigeneranti se stiamo ancora lottando per proteggerci? Alexander Lowen, fondatore dell’Analisi Bioenergetica, insegna che la capacità di amare è proporzionale alla capacità di essere aperti e di tollerare la vulnerabilità che questo comporta.
Non sono solo le emozioni spiacevoli a preoccuparci: molto spesso anche una forte gioia o una forte sensazione di piacere e di amore possono destabilizzarci e spaventarci. Spesso si reprime:
- la paura, perché ci paralizzerebbe;
- la rabbia, perché sarebbe troppo pericolosa;
- la disperazione o il dispiacere, perché sarebbero demoralizzanti;
- il dolore, ad esempio quello causato dalla mancata realizzazione di un desiderio, perché non siamo in grado di tollerarlo.
È così che la nostra mente rimane incastrata nel bisogno di controllarsi. Controlliamo i sentimenti che temiamo.

Fidarsi è bene!
Non è così scontato o facile, credere e fidarsi delle cose belle. Quanta fatica spesa a trattenerci dall’affidarci all’amore, al sentire la felicità, per paura che non duri! Sento sempre più spesso di relazioni impantanate e ferme dall’andare oltre, per paura che tanto finirà o finirà col ferirci.
Brunori Sas nella sua canzone La verità, canta: “la verità è che ti fa paura, l’idea che tutto quello a cui ti aggrappi prima o poi dovrà finire”. Ma forse è questo il punto, aggrapparsi non è fidarsi. Non ci si aggrappa alle persone o alle relazioni. È fondamentale rimanere centrati e radicati in noi stessi, nel nostro sentire, nella costruzione di una propria individualità, prima di poter diventare un Noi.
Cosa ci blocca?
È importante essere consapevoli dei propri sentimenti e della derivazione che hanno i nostri eventuali vissuti traumatici prima di attribuire all’altro qualità o mancanze che determinano il nostro attuale stato d’animo. Affinché la coppia non diventi la sfera in cui si riversano paure e conflitti, blocchi e censure emotive, è necessario lavorare su noi stessi e sulla capacità di scindere il passato dall’oggi.
Dovremmo avere la forza di rielaborare la nostra storia, riconoscere il punto in cui ci siamo bloccati, in quale ricordo emotivamente traumatico siamo rimasti. Cosa ci ha fatto così tanto male da farci blindare ogni movimento di libera espressione dei sentimenti? Da cosa ci difendiamo?

Come può aiutarci la psicoterapia?
È necessario rivolgere lo sguardo all’interno dei nostri più intimi sentimenti, riconoscerli e poterli esternare: un percorso terapeutico può aiutarci.
La psicoterapia è una presa di contatto con noi stessi, è l’analisi della nostra storia, degli eventi che hanno determinato ciò che siamo. È un processo e, come tale, prevede una forte motivazione: il coraggio di stare a vedere, di riconoscere che nonostante tutto è ancora possibile vivere una vita intensa ed emotivamente onesta. Un processo che richiede di rimanere, insomma, fedeli a se stessi.
Imparare a prendersi per mano
La terapia richiede coraggio e pazienza, perché l’accesso a queste parti di noi non sarà immediato. Prendere per mano il bambino ferito che siamo stati significa imparare ad essere l’adulto di cui avremmo avuto bisogno. Corazzare il cuore e mostrarsi forti non basta a coprire il sentimento doloroso, perché la tristezza interna è la più intima e pervasiva sofferenza, è il dolore di un cuore che sta stretto.