Tra i diversi tipi di psicoterapia, la psicoterapia ad orientamento sistemico-relazionale richiede un’attenzione specifica a tutto il nucleo familiare. Nei casi di disagio adolescenziale lo psicoterapeuta si rivolgerà non soltanto al ragazzo portato in terapia (la maggior parte delle volte la richiesta è dei genitori) bensì all’intera famiglia, poiché spesso il disagio ha origine proprio nelle dinamiche comportamentali che vedono coinvolti tutti i suoi membri. Il terapeuta sistemico predilige un setting familiare poiché, in questo modo:
- tutti i componenti della famiglia si sentono coinvolti;
- si possono costruire nuove modalità di approccio all’adolescente.
L’incontro terapeutico dell’adolescente
Il primo incontro con un adolescente portato dai genitori in psicoterapia è delicato è difficile, il rischio di abbandono immediato da parte del ragazzo stesso o dei genitori è molto alto. L’obiettivo essenziale di stabilire una relazione significativa richiede un atteggiamento attivo e direttivo da parte del terapeuta.
Gli obiettivi di un primo colloquio puntano infatti:
- alla co-costruzione dell’autorevolezza del terapeuta
- all’intensità del coinvolgimento emotivo, in particolare dell’adolescente
- a garantire a tutti i componenti della famiglia uno spazio emotivamente sicuro
- a costruire un contesto di condivisione in cui nessuno si senta escluso o attaccato.
Perché è utile una terapia
L’esperienza clinica dimostra che sempre più famiglie richiedono le terapie per il sintomo conclamato di un figlio adolescente, ma non sempre i sintomi sono espressione di una condizione clinica grave del ragazzo stesso.
Piuttosto riguardano adolescenti che sono diventati dirompenti e ingestibili a casa e a scuola. Solitamente la richiesta di aiuto è più immediata anche se maggiormente sostenuta dall’aspettativa di delega al terapeuta.
Sin dall’inizio emerge da parte dei genitori la percezione di un pericolo, l’idea che possa accadere qualcosa di grave come una rottura psicotica o un suicidio. Non va trascurato poi, che i segnali di un disagio dei figli e le paure dei genitori si articolano in un processo circolare: il sintomo ha un significato relazionale legato al fatto che i figli intercettano le paure e le fobie dei genitori.
È come se i genitori per primi non fossero preparati ad accogliere la discontinuità, l’ambivalenza e l’incongruità del linguaggio adolescenziale dei figli, da cui si aspettano un essere “normali” e uno sviluppo continuo e regolare.
Le problematiche dell’adolescenza
L’adolescenza in psicologia non è soltanto l’età dello svincolo: il bisogno di separazione dell’adolescente è tanto forte quanto l’esigenza di appartenenza.
Ogni volta che un adolescente grida a parole la sua indipendenza e assume atteggiamenti sprezzanti verso la sua famiglia, affermando che il meglio è fuori, sta dicendo esattamente il contrario: la sua paura di crescere è tanta e il suo bisogno più forte è quello di poter sentire che deve ricucire la sua appartenenza.
L’approccio con l’adolescente e la famiglia
In terapia ci si accorge che, non appena si riesce a sostituire un senso della famiglia, ogni tipo di dipendenza viene subito ridimensionata. È per questo che la società si è organizzata per accogliere questa delega promuovendo servizi come:
- corsi di sostegno alla genitorialità
- parent training
- scuole per i genitori.
In letteratura c’è una concordanza su quali siano le forme attuali di disagio adolescenziale, ma c’è una certa eterogeneità sull’approccio terapeutico:
- alcuni propongono un approccio individuale all’adolescente
- alcuni laboratori di gruppo
- altri la terapia di gruppo.
La terapia sistemico-relazionale
Per il terapeuta sistemico, è importante vedere l’adolescente con la sua famiglia, pur accogliendo dapprima i genitori da soli o l’adolescente da solo: spesso è proprio l’adolescente a chiedere una terapia individuale, poiché ritiene che i genitori non siano capaci di aiutarlo.
La resistenza dell’adolescente alla psicoterapia è un atteggiamento fondamentalmente sano: lo stare in terapia rappresenta un attacco alla sua autostima e la collaborazione della famiglia è funzionale alla riparazione di tale ferita “narcisistica”.
Gli adolescenti “collaboranti” in generale sono ambivalenti rispetto alla relazione terapeutica:
- l'adolescente non è quasi mai il richiedente della terapia per sé
- se chiede aiuto è perché è spaventato.
Spesso, sono proprio i genitori che vogliono delegare al terapeuta la gestione del figlio adolescente a causa della loro ambivalenza, sensi di colpa, fatica a mettersi in gioco: per questo è importante fare un buon colloquio iniziale per aprire il lavoro psicoterapeutico.
Genitori si diventa, anche con l’aiuto della terapia
È fondamenta lavorare in un’ottica di prevenzione dei disturbi in età evolutiva. In particolare anche i conflitti familiari mal gestiti tra i due genitori possono essere un rischio per lo sviluppo di disturbi psicologici.
Può verificarsi anche la cosiddetta middlescence, una specie di “mezza adolescenza” che dipende dallo stato di salute del rapporto coniugale: se tale rapporto è problematico, infatti, l’adolescente tende a proteggere i genitori nell’affrontare i problemi di coppia, attirando l’attenzione su di sé.
I cambiamenti dell’adolescenza l'hanno sempre resa una fase complicata, ma oggi lo è forse ancora di più: i nostri adolescenti sperimentano una libertà individuale mai vissuta prima ma, a questa, non corrisponde purtroppo una promessa sull’avvenire.
“Affermerò che esiste una sola cura per l’adolescenza: il trascorrere del tempo e il passaggio dell’adolescente allo stato adulto.” D.W. Winnicott
Avviare un percorso di terapia, può aiutare a rafforzare gli adulti nella loro funzione genitoriale e incrementare il benessere di tutto il sistema familiare. Il lavoro che oggi si può fare, anche attraverso una modalità da remoto, consente all’intero nucleo familiare di rilanciare il proprio patto di solidarietà.