Famiglia

I pensieri negativi: la voce del nostro “genitore critico”

I pensieri negativi: la voce del nostro “genitore critico”
logo-unobravo
Vania Pensa
Redazione
Psicoterapeuta ad orientamento Cognitivo-comportamentale
Unobravo
Pubblicato il
7.2.2020

Quante volte ci capita di etichettarci in modo critico e svalutante? E quanto spesso, nella nostra mente, sono passati pensieri negativi e aspri rivolti a noi stessi, tanto da farci pensare: “sono un idiota”, “sono una stupida”, “che buono a nulla!”, “sbaglio qualsiasi cosa io faccia!”.

Ora pensate ad una persona molto importante per voi: un figlio, il partner, una sorella. Usereste mai quelle parole e soprattutto quei toni tanto aspri con loro, in una situazione di calma e tranquillità?

Immaginate che, al posto di quelle persone che tanto vi stanno a cuore, ci siete voi, che ascoltate quei giudizi e quelle ricorrenti svalutazioni. Provate a fermarvi un attimo e chiedetevi: “come mi fa sentire ricevere questi messaggi negativi?”, “come sarebbe la mia vita se ci fossero dei pensieri diversi?”.

Il “genitore critico”

Lo psicoterapeuta J. Young, padre del modello della Schema Therapy, ha supposto che in ognuno di noi vi siano diverse parti, da lui definite Mode e che una di queste viene identificata con il nome di “genitore critico”.

Proprio questo "genitore critico" sarebbe responsabile dei pensieri intrusivi e degli appellativi svalutanti che ci attribuiamo quando facciamo un errore, non portiamo a termine un compito, ci dimentichiamo un appuntamento, non raggiungiamo un obiettivo prefissato e, ahimè, in tante altre occasioni.

Andrea Piacquadio - Pexels

Da dove viene il “genitore critico”

Vi starete chiedendo come sia possibile che all’interno di ognuno di noi possa esserci una parte così poco funzionale e di sostegno, responsabile di tanta sofferenza e amarezza. La risposta è che questo Mode si forma sin da quando siamo molto piccoli e ha origine:

  • dai messaggi che riceviamo dalle principali nostre figure di accudimento e riferimento;
  • dalle regole imposte all'interno dei nostri ambienti di vita;
  • dalle credenze che fanno parte del nostro mondo e della nostra cultura.


Le conseguenze del “genitore critico”

Un bambino che sin da piccolo comincerà a subire critiche aggressive e svalutazioni circa il suo aspetto fisico, il suo carattere, il suo comportamento, le sue performances, inizierà pian piano ad interiorizzare questi messaggi negativi e a farli propri, sotto forma di pensieri intrusivi.

Da adulto, ogni volta che questa parte critica si attiverà mandandogli questi messaggi negativi, egli penserà di essere:

  • sbagliato
  • non abbastanza (atelofobia)
  • colpevole
  • in difetto rispetto agli altri.

A tutti noi viene facile credere ai nostri pensieri e ritenerli corretti, con la conseguenza di fondersi completamente con questi giudizi critici e sentirsi profondamente sbagliati. Cosa ci può essere utile fare per cominciare a prendere le distanze da questo genitore interiorizzato?

Angela Roma - Pexels

Qualche consiglio

La principale difficoltà che emerge nel prendere le distanze dal “genitore critico” è che è una parte insita in noi da moltissimo tempo e, per tale ragione, familiare. Il nostro cervello quindi ci spinge a credere ai nostri pensieri, per quanto negativi e disfunzionali possano essere, e a pensare che dobbiamo fidarci di essi.

Ecco cosa possiamo fare per guardare da un’altra prospettiva:

  • riconoscere che esiste questa parte di noi e chiedersi quale può essere la sua origine e quali figure del nostro passato evochi con il suo tono e i contenuti delle sue critiche (un’insegnate molto severa, un genitore particolarmente svalutante, un compagno di classe che ci aveva preso di mira);
  • capire in quali occasioni si attiva e come ci fa sentire;
  • notare i tipi di pensieri che ci passano per la mente quando questa parte si attiva: solitamente il genitore critico si avvale molto di generalizzazioni: “sbagli sempre”, “non sei capace di fare nulla”. Usa etichette come: “sei un fallito”, “sei inaffidabile”. Passa da un estremo all’altro saltando alle conclusioni: “se non passi gli esami in modo impeccabile significa che sei un perdente”.
  • interrogarsi sul nostro atteggiamento e modo di parlare se dovessimo relazionarci con una persona molto importante per noi: sarebbe lo stesso? Questo ci aiuta a prendere le distanze dai nostri pensieri disfunzionali e ad entrare in una parte di noi denominata da J. Young: “adulto sano”;
  • sostituire quei messaggi negativi con pensieri più adeguati e funzionali, che tengano conto davvero della realtà che ci circonda, di noi stessi e della nostra esperienza oggettiva.

La nostra parte più bella

Questa parte di noi esiste perché abbiamo interiorizzato dei messaggi con cui ci critichiamo, ci colpevolizziamo, ci svalutiamo. Dentro di noi è presente anche una parte che va allenata e potenziata ogni giorno, in modo che possa imparare a riconoscere la voce del “genitore critico” e ci possa fornire i messaggi sani e funzionali che meritiamo e di cui abbiamo davvero bisogno.

Solo così impareremo a notare gli aspetti positivi di noi, a essere più compassionevoli verso noi stessi, ad accettare i nostri errori e fragilità e a migliorarci in modo consapevole.

Questo è un contenuto divulgativo e non sostituisce la diagnosi di un professionista. Articolo revisionato dalla nostra redazione clinica

Potrebbero interessarti

Il costo psicologico del carico assistenziale nel caregiver
Famiglia

Il costo psicologico del carico assistenziale nel caregiver

Back to school: il ritorno alla routine per genitori e figli
Famiglia

Back to school: il ritorno alla routine per genitori e figli

Il sostegno psicologico ai padri separati
Famiglia

Il sostegno psicologico ai padri separati

scopri tutti gli articoli