Il nostro corpo è, ora più che mai, parte fondamentale della nostra identità. Può essere definito in base alla sua funzione, alla sua forma, alle sue prestazioni, alle sue misure, alla sua bellezza. Eppure non è riducibile a nessuna di queste definizioni. Un po' come per la coscienza, nessuno saprebbe definire il corpo in maniera esaustiva, eppure tutti hanno un'esperienza diretta di esso. Ma perché è così importante l'immagine che diamo di noi stessi? Che rapporto c'è tra il nostro corpo e la nostra identità?
Cos'è il corpo?
La prima domanda da porci è che cos'è il corpo. Può sembrare una questione banale, ma a ben vedere la risposta si modifica in base all'interlocutore. Lo scrittore Tiziano Scarpa lo descrive come “il più inesplorato degli universi portatili”. E ha ragione.
Il nostro corpo, con cui viviamo costantemente, lo conosciamo solo in parte, a volte lo trascuriamo e lo confondiamo con il corpo immaginato e con quello desiderato. La percezione stessa ne che abbiamo cambia a seconda del momento e della nostra predisposizione: un giorno lo percepiamo debole e l'altro invincibile.
In alcuni casi la percezione cambia in maniera drastica. La percezione della propria immagine (totale o parziale) può essere completamente alterata nelle persone che soffrono di disturbi alimentari e legati all'aspetto fisico. Può capitare che si percepiscano come molto più grandi e pesanti di quello che sono realmente, o che non abbiano consapevolezza delle proporzioni delle singole parti del loro corpo.
Lo sguardo che rivolgiamo a noi stessi è dunque fallace e in continuo cambiamento. Come dice il filosofo e psicanalista Umberto Galimberti, “a nessuno è concessa un'immagine fedele del proprio corpo”. Così abbiamo bisogno di un altro sguardo per definirci: quello degli altri.
Il corpo sociale
La nostra identità, compresa quella corporea, viene costruita da un gioco di specchi fra noi e gli altri, e viene mantenuta viva da esso. Consapevolmente o meno, utilizziamo il corpo per presentarci e per definirci, concretizzando nell'apparenza un nostro modo d'essere. Anche quando vorremmo evitarlo, la nostra immagine comunica i nostri gusti, la cura che abbiamo per esso, le nostre abitudini.
Di contro, la società in cui cresciamo modella i nostri corpi. Vengono dati dei precisi standard di riferimento e ognuno di noi sceglie, più o meno consapevolmente, quanto aderire a tali parametri. Siamo accomunati da uno stile di vita che scandisce:
- le nostre giornate
- il tipo di lavoro
- il ritmo sonno-veglia
- la “giusta” attività fisica.
Ereditiamo dal posto dove nasciamo caratteristiche su cui non abbiamo scelta, come il colore della pelle o l'altezza. Non ultimo, avere una dieta ricca e variegata, cosa che non è possibile ovunque, influenza la possibilità di avere un più o meno sano. In questa costruzione a più mani si modella pian piano il nostro aspetto e, di conseguenza, l'idea che abbiamo di esso, permettendoci di costruire una consapevolezza (su cui a volte non viene riposta attenzione) di essere un corpo, oltre che avere un corpo.
Cambiamenti corporei
Dopo tutta questa fatica nel costruirsi un'identità, non stupisce che i cambiamenti non vengano sempre accettati di buon grado. Sono molti i passaggi della vita caratterizzati da modificazioni del nostro aspetto. Basti pensare all'importanza del cambiamenti fisici e psicologici in adolescenza, quando ci si trova a fare i conti con nuove forme e nuove stimolazioni. O anche a come cambia il corpo femminile durante la gravidanza, a come si modifica per accogliere la nuova vita e come viene vissuto successivamente al parto.
Alcuni cambiamenti vengono visti poi come veri e propri tradimenti:
- il modificarsi del metabolismo
- le rughe
- l'andropausa
- la malattia.
Sono tutti mutamenti naturali e fisiologici ma non per questo facili da accettare. La domanda che però alla fine si rivela determinante è: questo cambiamento quanto fa tremare la mia identità?
Zone d'ombra
Spesso non è con la nostra totalità che ci identifichiamo, ma piuttosto con alcuni suoi dettagli. Se la nostra storia di vita ci mette di fronte alla necessità di fare a meno di essi, potremmo essere in difficoltà.
Alcuni aspetti di noi stessi sicuramente ci rendono orgogliosi e li percepiamo come fondamentali. Può essere un neo, la forma del viso, le caviglie. Sicuramente tutti noi riusciremmo a riconoscere parti del nostro corpo essenziali per descriverci, altre secondarie e altre ancora non ci verrebbero nemmeno in mente. Infine ci sono tutte quelle caratteristiche di noi stessi che, sì, ci definiscono, ma che non ci piacciono. Ne abbiamo parlato anche nel podcast di psicologia di Unobravo, con una puntata dedicata alla percezione di sé.
Qui entra in scena il disagio verso sé stessi. Più la caratteristica che non ci piace viene percepita come fondante, più ci sentiamo inadeguati e accade facilmente che il corpo si riduca ad essa. Così per l'ammalato il corpo prende la forma dei suoi disturbi, chi soffre di anoressia si identifica nella privazione. E presto si desidera cambiare.
Cambiare la propria immagine: aiuta davvero?
Bisogna stare attenti a ciò che si desidera. Ciò che può verificarsi infatti è che cambiare il proprio aspetto non renda felici. Questo perché modificare la propria immagine si rivela un mezzo, non un fine. Nella difficile ricerca del benessere individuale o dell'apprezzamento sociale, cambiare la propria immagine viene erroneamente ritenuto l'obiettivo, dimenticando la vera ragione di sofferenza e non riconoscendo la reale finalità.
Con questo non si vuol dire che cercare di migliorarsi nell'aspetto è sbagliato, anzi, se si può fare qualcosa che ci fa stare meglio a lungo termine, perché non farlo? Tuttavia è importante rimanere in ascolto del nostro corpo. Può indicarci dove risiede il nostro dolore, a volte con più saggezza della nostra ragione.