La self-disclosure del terapeuta

La self-disclosure del terapeuta
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Antonio Dessì
Redazione
Psicologo ad orientamento Cognitivo-Costruttivista
Unobravo
Articolo revisionato dalla nostra redazione clinica
Pubblicato il
10.7.2024
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La therapist self-disclosure (TSD) o “autorivelazione” è una tecnica attraverso la quale il terapeuta condivide in modo intenzionale le proprie esperienze di vita con il paziente. La TSD si distingue dall’'immediacy (IM) che riguarda invece la comunicazione di emozioni vissute nel qui ed ora della seduta (Hill at al., 2018).

TSD e IM sembrano avere un impatto positivo sulle esperienze di sofferenza dei pazienti e soddisfare il loro bisogno di integrazione, nella loro rappresentazione del clinico, su aspetti relativi alla persona e al terapeuta come professionista, rafforzando l'alleanza di lavoro e di relazione, predittiva del successo terapeutico.

In questo articolo affronteremo la discussione sulle tematiche legate a self-disclosure e immediacy in ambito clinico, sottolineando la necessità di ulteriori approfondimenti nella ricerca sperimentale e l'utilizzo di diverse metodologie.

Psicoterapia come "talking-cure"

La psicoterapia è un processo relazionale che si basa sull'utilizzo del linguaggio per favorire la ri-costruzione di significati condivisi tra paziente e terapeuta, portando alla riformulazione della percezione della sofferenza del paziente riguardo emozioni e sensazioni del suo vissuto (Avdi & Georgaca, 2018).

Tuttavia, a causa della varietà di approcci che esistono nel campo della psicoterapia e le specificità operative dell'uso del linguaggio terapeutico (Marx et al., 2017; Avdi & Georgaca, 2007; Peräkylä et al., 2008; Smoliak & Strong, 2018) non è ancora chiaro quali siano le motivazioni o i meccanismi interni dei terapeuti che favoriscono disclosure più o meno frequenti.

Secondo alcuni approcci, come l’orientamento psicoanalitico, la self-disclosure potrebbe essere sempre un fattore problematico e sconsigliabile all’interno del percorso clinico. Secondo queste cornici teoriche, il terapeuta è uno "schermo opaco impenetrabile" che favorisce la cura della sofferenza del paziente  (Ardis & Marcucci, 2013).

Ciononostante, nella pratica clinica molti professionisti utilizzano la self-disclosure. Questo aspetto sembrerebbe richiedere riflessioni approfondite per il clinico rispetto agli interventi di self-disclosure intenzionali, e a quelli di immediacy, ovvero inconsapevoli, accidentali o inevitabili, come la gravidanza della terapeuta, considerando anche le possibili reazioni  innescate nel paziente (Zur, 2010). 

Self-disclosure e alleanza terapeutica

Il termine “comunicare” deriva dal latino con-munire, che significa "legare assieme". Autori come Nancy McWilliams (2004) hanno iniziato a ridimensionare le indicazioni degli orientamenti psicodinamici riguardo alla self-disclosure del terapeuta, sottolineando l'importanza dell’inevitabilità della comunicazione e abbracciando la teoria della comunicazione di Watzlawick e Bateson (Watzlawick et al., 1967; Bateson, 1972).

In questo continuum tra astinenza e potere terapeutico dello svelamento del terapeuta, troviamo le posizioni dei teorici delle scuole umanistico-esistenziali che sin dall’inizio hanno sempre sostenuto l'utilizzo della self-disclosure come potente strumento terapeutico per creare una relazione autentica e congrua (Yalom, 2003). 

Nei modelli cognitivo-comportamentali, la self-disclosure del terapeuta è stata inclusa come passaggio di desensibilizzazione sistematica in situazioni di impasse emotiva ad alta intensità, senza compromettere il legame terapeutico (Goldfried, Burckell & Eubanks-Carter, 2003).

È importante ricordare che qualsiasi comportamento in seduta comunica qualcosa di noi come terapeuti e persone, influenzando la relazione e l'alleanza terapeutica. Ciò può promuovere la comprensione reciproca e può essere indirizzato al raggiungimento di obiettivi terapeutici. È fondamentale considerare che la comunicazione segue regole universali: lo stesso accade nella self-disclosure e nell'immediacy

Questo ci può aiutare a comprendere meglio come l’inevitabilità di comunicare contribuisce alla costruzione dei significati nella relazione con il paziente e a riconoscerne l’importanza, preparandosi a gestirne i potenziali effetti.

La self-disclosure inevitabile

I terapeuti rivelano molte cose su se stessi, spesso anche inconsapevolmente. I sottili cambiamenti nel tono di voce, l'accento, inflessioni regionali, l'aspetto fisico o, per esempio, una disabilità osservabile. Tutti questi elementi dicono al paziente qualcosa sul professionista, senza che si decida deliberatamente di rivelarlo.

Osservare il fenomeno da questa prospettiva ci consente di riconoscere che anche un terapeuta silenzioso e semplicemente in ascolto comunica un messaggio soggettivo e pieno di significati da comprendere. Riflettere sull'importanza di essere consapevoli del nostro stile comunicativo verbale e non verbale durante le singole sedute può migliorare la relazione terapeutica e il nostro monitoraggio sul processo di cura.

La self-disclosure e il setting in psicoterapia

L'arredamento dello studio dello psicologo, il modo di vestire, i tatuaggi visibili, le fedi nuziali, l'indossare una croce, un cuore o qualsiasi altro simbolo, sono altri modi in cui i terapeuti si rivelano ai pazienti (Semi, 1985; Tillman, 1998; Zur, 2007). Non c’è giusto o sbagliato, ma ognuno di noi, come terapeuta, deve averne consapevolezza.

Per esempio, lo studio, in persona o nel contesto delle sedute online, è un ambiente che garantisce al paziente un'ampia self-disclosure su stato economico, struttura e scorci familiari, personale di servizio, animali domestici o altre caratteristiche della vita del terapeuta al di fuori della stanza di terapia. Anche l'annuncio delle vacanze, la scrittura e la presenza nella comunità professionale presentano self-disclosure inevitabili e, per quanto attenti al setting, sono aspetti di cui dobbiamo riconoscere l’inevitabilità e che dovremmo gestire. 

Ciò che, invece, viene rivelato intenzionalmente e con varie motivazioni interne del terapeuta, spesso in ricerca di maggiore connessione, merita un discorso differente.

Le self-disclosure innescate dal paziente

Potremmo includere TSD e IM nel concetto di setting (Semi, 1985). Il setting delimita un'area non solo spazio-temporale, ma anche relazionale vincolata da indicazioni che determinano ruoli e funzioni del terapeuta e del paziente. È importante che ciò avvenga in una situazione specificatamente costruita o, se consideriamo l’inevitabilità di TSD ed IM, co-costruita. Per esempio, la ricerca di informazioni sui terapeuti da parte dei pazienti tramite fonti esterne può rappresentare una forma indiretta di TSD (Zur, 2007; 2010).

Terapeuti e pazienti possono apprendere molto l'uno dall'altro anche attraverso segnali non verbali come espressioni facciali, linguaggio del corpo e scelte di intervento durante le sedute di terapia. Questo processo avviene in modo naturale e riflette il bisogno di controllo di entrambe le parti, consentendo una maggiore comprensione reciproca e facilitando il processo terapeutico (McWilliams, 2004; Thompson, 1956).

Che si tratti di self-disclosure e immediacy volontarie o involontarie, i pazienti non possono non rispondere a queste comunicazioni, comunicando a loro volta. Tenerlo a mente ci consente di osservare in ogni seduta il processo di costruzione comunicativa in divenire, anche nella sua squisita umanità e nel momento di vita del terapeuta e del paziente. È inevitabile che il terapeuta comunichi al paziente come si struttura la propria attività mentale e che persona è (Semi, 1985). 

Immediacy: ciò che resta del concetto di controtransfert

La controversia sulla divulgazione del controtransfert (ciò che abbiamo chiamato finora immediacy) è molto evidente nelle discussioni su quanto un terapeuta debba rivelare le reazioni emotive nell'interazione con il paziente o in relazione a esso, in un momento particolare o nel qui ed ora della seduta.

Eherenberg (1995) e altri studiosi contemporanei sottolineano che qualsiasi cosa un terapeuta dica o faccia, compreso il silenzio, può essere una forma di messa in atto del controtransfert (Gabbard, 1995; Maroda, 1991; Ehrenberg, 1995; Gorkin, 1987). In questo ambito, tuttavia, è stato sostenuto il valore di una divulgazione personale selettiva per quanto riguarda l'orientamento sessuale (Isay, 1991; Jeffery & Tweed, 2015), le credenze religiose (Tillman, 1998), l'orientamento politico (Solomonov & Barber, 2018), la razza e l'etnia (Leary, 1997).

Nel suo saggio Love in the Afternoon, Davies (2009) esplora l'idea del controtransfert erotico, per chi volesse approfondire queste tematiche.

In tutte le forme di disclosure, le opinioni cliniche e teoriche sono molte e varie, e vanno dalla completa astinenza alla piena difesa, con posizioni moderate che riempiono la complessità della questione su cui sarà necessario dedicare approfondimenti futuri.

Terapia online e self-disclosure

La terapia online è stata oggetto di attenzione per molto tempo (Barak, 1999; Pergamot, 1998), molto prima della recente impennata della telemedicina in risposta alla pandemia globale di Covid-19.

Per quanto riguarda l'efficacia e l'accettabilità della terapia online, i risultati di diversi studi hanno dimostrato che tali servizi sono soddisfacenti per i pazienti e i terapeuti, migliorano i risultati, sono economicamente vantaggiosi (Richardson et al., 2009) e sono considerati equivalenti al trattamento faccia a faccia nella terapia cognitivo-comportamentale (Carlbring et al., 2018; Käll et al., 2021; Paris et al., 2018), nella terapia familiare (Comer et al., 2017; Sapru et al., 2018) e nella terapia di coppia (Doss et al., 2016; Roddy et al., 2020).

Per i terapeuti, condurre sessioni online può comportare cambiamenti nell’uso di tecniche, meno silenzi, terapie più brevi e un incremento di TSD ed IM (Aafjes-van Doorn et al.,  2022).

Bisogna però considerare che il TSD non è sempre benefico e andrebbe incluso nella riflessione sul setting e la sua co-costruzione tra terapeuta e paziente (Hill et al.,  2018 ). Può quindi essere difficile per i terapeuti affrontare azioni terapeutiche che coinvolgono autenticità e rivelazione di sé. In accordo con Zur (2010) uno degli esempi più citati di self-disclosure inadeguata è quello in cui i terapeuti discutono dei propri problemi personali e delle proprie difficoltà con i clienti senza alcuna motivazione orientata da obiettivi clinici.

A tal riguardo, cambiando prospettiva e chiedendoci se gli interventi di TSD e IM siano benefici per il terapeuta, un recente studio ha evidenziato un aumento della Trauma-Related Stress Disorder tra i terapeuti intervistati (Luo X. et al., 2023).

I ricercatori hanno osservato che l'aumento della TSD ha portato a livelli più elevati di trauma soggettivo indiretto nei terapeuti, a fronte di una maggior connessione emotiva con i pazienti. Gli intervistati hanno segnalato un aumento del disagio professionale, nonostante il loro genuino obiettivo fosse migliorare la relazione emotiva con i pazienti.

Questo solleva la questione se la TSD possa, al di là delle sue potenzialità benefiche, essere anche improduttiva e dannosa per i pazienti e per i terapeuti stessi. In tal senso, la rivoluzione post-pandemica ha cambiato il modo di lavorare, offrendo nuove prospettive di esplorazione, ma anche nuove necessità di approfondimento e crescita.

Riflessioni e proposte per noi professionisti

Il tema della TSD e IM è molto vasto e complesso e richiede di essere conosciuto più approfonditamente. Con questo articolo si è cercato di dare una dimensione dell’argomento.

Tra i vantaggi di TSD e IM discussi in letteratura troviamo:

  • la conferma del senso di realtà del paziente (Gorkin, 1987; Mathews, 1988) 
  • l'affermazione dell'onestà e della genuinità del terapeuta 
  • la dimostrazione che anche il terapeuta è umano 
  • la chiarificazione della natura dell'impatto del paziente sul terapeuta e sulle persone in generale
  • la possibilità di superare le impasse del trattamento e le resistenze profondamente radicate
  • aiutare i pazienti a lavorare su questioni esistenziali (Geller, 2003; Jourard, 1971; Yalom, 2002; 2003)
  • accedere a un regno di informazioni altrimenti sfuggenti
  • il permettere al paziente di sperimentare il messaggio del terapeuta come più autentico e più personale (Jacobs, 1995)
  • il migliorare l'alleanza di lavoro e la relazione (Pinto-Coelho et al., 2016-2018-2020).

Ciononostante, data la natura del rapporto terapeuta-paziente, esiste un intrinseco squilibrio di potere. I confini professionali sono comunque necessari al di là delle TSD inevitabili e accidentali: infatti, secondo Peterson (1992), i confini sono i limiti che consentono una connessione sicura basata sui bisogni del paziente e su cui rimane aperta la discussione.

Self-disclosure e immediacy si sono poi “accidentalmente” modificati a seguito della pandemia, quando le terapie tradizionali in studio sono migrate su piattaforme digitali. L’impatto di tale rivoluzione sul nostro lavoro può essere mitigato e infuso di potere, resilienza, professionalità con azioni di intervisione, supervisione, formazione e proteggendo i valori di empatia, professionalità e accoglienza.

Alcuni tipi di TSD ed IM sono inevitabili e vanno gestite con attenzione. Alcuni studi recenti ci dicono che le dichiarazioni verbali involontarie di immediacy potrebbero non sempre essere ricordate o riportate dai terapeuti e dai pazienti. È però importante per noi professionisti prendere l’abitudine di tenerne nota e portare queste riflessioni in intervisione e supervisione, per esplorare come possano influenzare il dialogo terapeutico, soprattutto nel caso di TSD consapevoli e intenzionali. 

Potremmo tenere a mente alcuni spunti di approfondimento nella nostra pratica professionale. Tra questi, forse la più semplice e importante è di fermarsi e chiedersi: “Perché lo sto dicendo?”.

È importante per noi terapeuti essere consapevoli di noi stessi e delle nostre esperienze personali, al fine di gestire meglio le varie tipologie di TSD e IM durante le sessioni terapeutiche. Si sottolinea l'importanza di valutare le motivazioni e il livello di stress nella relazione terapeutica con il paziente, nonché di cercare una sintonizzazione emotiva equilibrata, monitorando il proprio bisogno di vicinanza.

Si consiglia di valutare attentamente l'opportunità di fare divulgazioni personali e di ricordare che un certo grado di squilibrio nella relazione può favorire la sintonizzazione emotiva (Zur, 2010). Si sottolinea, inoltre, che l'esperienza professionale non protegge automaticamente dai rischi di TSD inappropriato: i terapeuti più esperti potrebbero essere più inclini e a rischio di utilizzare la TSD rispetto ai terapeuti più giovani.

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Bibliografia
Questo è un contenuto divulgativo e non sostituisce la diagnosi di un professionista. Articolo revisionato dalla nostra redazione clinica

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