La revisione del Codice Deontologico: intervista a Catello Parmentola

La revisione del Codice Deontologico: intervista a Catello Parmentola
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Angelo Capasso
Redazione
Psicoterapeuta Sistemico-Relazionale
Unobravo
Articolo revisionato dalla nostra redazione clinica
Pubblicato il
24.10.2023
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Nel giugno 2023 è stata approvata all’unanimità dal Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi (CNOP) la revisione del Codice Deontologico degli psicologi. Come prescrive la legge, il nuovo testo è stato sottoposto al referendum di tutta la comunità degli psicologi, che si è svolto a settembre 2023.


Angelo Capasso, psicologo clinico, psicoterapeuta e Clinical Manager per Unobravo, ha intervistato il Dott. Catello Parmentola, psicologo e psicoterapeuta, tra gli estensori del Codice Deontologico, oltre che Dirigente psicologo in quiescenza della ASL di Salerno e autore di numerosi libri e pubblicazioni tra cui ricordiamo Il Manuale deontologico degli psicologi, scritto con la giurista Elena Leardini e La storia della psicologia italiana. Per connettere, identificare, appartenere.


Da dove nasce l'esigenza di revisionare e aggiornare il codice deontologico e quali sono gli altri aspetti salienti e novità di questa revisione?


Nel Codice Deontologico c'erano molti aspetti che erano un po' superati, infatti erano già state tentate altre revisioni, che per diversi motivi non sono mai state portate a termine.


Questa revisione del 2023 è la prima più complessiva dopo 25 anni. A una prima lettura, alcune revisioni potrebbero non sembrare molto importanti ma, se si entra nel merito con attenzione, se ne scopre il grande valore.


Per esempio, abbiamo apportato degli aggiornamenti lessicali sul genere, articolo per articolo, che sono di sostanza, perché in qualche modo rendono più contemporaneo il codice che, a livello linguistico, faceva ancora riferimento all'esercizio professionale di 25 anni fa. 


Ci sono state varie considerazioni su questo punto. La nostra comunità professionale è composta per l'84% da donne. Sotto i 29 anni, è composta da donne al 92% . Quindi era giusto non utilizzare un lessico “tutto al maschile”. 


Aggiungo un’altra riflessione in merito: il codice deve riflettere e non essere impermeabile ai dibattiti che animano la società rispetto agli adeguamenti lessicali in tutti i tipi di documenti istituzionali. 


Adesso, la quota femminile della nostra comunità è esposta e appellata con il lessico più corretto. Se in futuro altri generi saranno giuridicamente e statisticamente significativi, sarà nostro compito valutare ulteriori nuovi cambiamenti nel linguaggio.


Un altro cambiamento è, per esempio, la titolazione degli articoli: adesso ogni articolo ha il suo titolo, cosa molto importante non soltanto perché agevola la consultazione permettendo di scorrerla velocemente, ma perché favorisce le componenti tematiche


Quindi se un domani, alla luce di tutti i cambiamenti intervenuti, volessimo pensare a un codice con raggruppamenti tematici diversi, per esempio mettere assieme tutta la sequenza degli articoli dedicati al consenso (da quello del principio a quello precettivo), da parte di chi sarà esposto a questo tipo di impegni istituzionali di future revisioni, sarà molto più facile procedere, avendo i titoli degli articoli.


Alcuni articoli hanno subito lievi modifiche, ma in altri le revisioni sono state più decisive. Ci dice di più?


Ci sono stati alcuni aggiustamenti che erano significativi non soltanto per la portata lessicale, ma anche perché in qualche modo indicano delle direzioni per il presente e il futuro della professione


Tenete presente che 25 anni fa, il codice è stato uno dei primi atti susseguenti alla legge istitutiva e, quindi, aveva anche una responsabilità identificativa, aveva dentro molta etica e molti principi. Adesso queste esigenze sono un po' distribuite, perché sono 25 gli anni di esercizio professionale e sono tante altre le sedi che ci hanno identificato.


Veniamo agli articoli che hanno subito una revisione più profonda iniziando dall’articolo 24, che tratta il tema del consenso informato.


Noi trovavamo ancora il consenso informato riferito a tutte le prestazioni dei colleghi, mentre invece la legge 209 del 2017 prevedeva, già sei anni fa, il consenso informato solo per i trattamenti sanitari e quindi c'era bisogno di questo adeguamento.


In primo luogo pensando ai colleghi esposti in contesti complessi, per esempio la psicologia scolastica. Acquisire ogni volta il consenso informato su un'utenza a volte di 1.500 persone e mille possibili prestazioni differenti, era davvero troppo impegnativo. 


È stato molto importante risolvere questa questione. Con la revisione, il consenso informato (quello normativamente previsto nella norma precettiva, con quei requisiti e con quelle modalità) resta previsto per i trattamenti sanitari.


Per non lasciare del tutto scoperte le altre prestazioni, abbiamo valutato il fatto che - se non dovesse esserci quel consenso, in quella forma - non significava che non dovesse esserci consenso comunque, anche se non era pensabile che ci volesse quel consenso precettivo per ogni tipo di prestazione. 


Per chiarire, faccio un esempio estremo dal lato opposto: per un convegno o per un corso di formazione ci sono locandine, programmi, biglietti per partecipare: è evidente che c’è un consenso implicito. In un convegno non farebbero sottoscrivere gli stessi moduli dell'attività clinica. È chiaro che per le altre prestazioni, il consenso deve essere coerente e adeguato con il tipo di prestazione. 


D'altronde il consenso informato è anche un processo, quindi è proprio utile alla qualità della prestazione, dell'adesione, della collaborazione. Si danno delle informazioni, si acquisisce comunque un consenso: informazioni, modi di acquisizione, modi di documentazione devono essere coerenti al tipo di prestazione. 


Abbiamo voluto che gli articoli sul consenso informato (il 24 per gli adulti e il 31 per i minori) facessero riferimento alla norma precettiva, quindi pedissequamente alla Legge 219 del 17, mentre che tutte quante le altre prestazioni venissero trattate nei principi generali, quindi non seguendo una misura precettiva. 


Gli articoli 4, 24 e 31 sono dunque collegati al tema del consenso e approfondiscono i singoli e differenti aspetti di questo elemento. La revisione si è resa indispensabile anche per un altro motivo: la legge 219 del 2017 non soltanto riferisce il consenso solo dei trattamenti sanitari, ma allevia anche tutti quanti gli altri aspetti.


La legge dice infatti che il consenso deve essere acquisito nel modo più consono alle condizioni del paziente, mentre prima noi eravamo “standardizzati” con una tipologia di documentazione in forma scritta. Il consenso potrà anche essere dato attraverso le registrazioni. 


La legge 219 del 2017 è molto più laica e molto più leggera rispetto a prima e abbiamo ritenuto giusto che il nostro codice assumesse una nuova forma molto più agevole, anche se in ritardo di 6 anni (un ritardo abbastanza significativo) rispetto a quanto previsto dalla legge. Il testo dell'articolo 24, nella versione revisionata recita:


Nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge. L’acquisizione del consenso informato è un atto di specifica ed esclusiva responsabilità della psicologa e dello psicologo. Il consenso informato, acquisito nei modi e con gli strumenti più consoni al contesto e alle condizioni della persona, è documentato in forma scritta o attraverso videoregistrazione o, per la persona con disabilità, attraverso dispositivi che le consentano di comunicare. La psicologa e lo psicologo informano la persona interessata in modo comprensibile, completo, e aggiornato sulla finalità e sulla modalità del trattamento sanitario, sull’eventuale diagnosi e prognosi, sui benefici e sugli eventuali rischi, nonché riguardo alle possibili alternative e alle conseguenze dell’eventuale rifiuto del trattamento sanitario.


Continuando a parlare di consenso informato, quali sono invece le modifiche apportate all’articolo 31?


Anche in questo caso, bisognava adeguare alcune cose superate, anche normativamente: pensiamo alla responsabilità genitoriale che ha superato la potestà. Con riferimento all’articolo 31, abbiamo recepito il maggiore grado di autodeterminazione che adesso è previsto su soglie diverse per il minore (non più a 18 anni, per diversi ambiti e settori è stabilito anche a 16 o 14 anni).


Bisogna sentire anche il minore, prevederne l'assenso, anche se non si tratta proprio un consenso, che resta sempre in capo alle figure genitoriali.


La versione revisionata dell'articolo 31 dice: 

I trattamenti sanitari rivolti a persone minorenni o incapaci sono subordinati al consenso informato di coloro che esercitano sulle medesime la responsabilità genitoriale o la tutela. La psicologa e lo psicologo tengono conto della volontà della persona minorenne o della persona incapace in relazione alla sua età e al suo grado di maturità nel pieno rispetto della sua dignità. Nei casi di assenza in tutto o in parte del consenso informato di cui al primo comma, ove la psicologa e lo psicologo ritengano invece che il trattamento sanitario sia necessario, la decisione è rimessa all’autorità giudiziaria. Sono fatti salvi i casi in cui il trattamento sanitario avvenga su ordine dell’autorità legalmente competente o in strutture legislativamente preposte.


Facciamo un accenno anche al concetto di riservatezza, a cui è dedicato l’articolo 17: quali cambiamenti sono stati previsti?


Nella nostra revisione, le dimensioni di principio e di carattere etico sono state anteposte all'articolato: c’è infatti una premessa etica con i quattro principi, mentre l'articolato è rimasto molto più giuridico-formale. 


Abbiamo voluto privilegiare questa misura molto pratica del codice e “stralciato” in qualche modo, progressivamente, i principi. In questo caso abbiamo dato un segnale mettendo i principi etici in premessa ma, via via, dovrà essere fatto su tutti quei passaggi dove c'è poca tangibilità. 


Il non lasciare all’interno del codice le cose che tutti comprendono e su cui tutti sono d'accordo in termini di principio, è una cosa che abbiamo fatto in modo esemplare nell’articolo 17. Prendiamo per esempio il comma dell'articolo 17 dove si parlava del post mortem.


A proposito della riservatezza: come sanzionare il post mortem? Inizialmente avevamo immaginato una nomina nel corso dell'esercizio professionale, quindi in vita, di un custode per i nostri materiali in caso di post mortem. 


All'atto pratico, però, questo avrebbe gravato troppo sugli ordini territoriali, che avrebbero dovuto farsi carico rispettivamente della tenuta amministrativa di queste nomine, poi controllare che fossero state comunicate, poi sanzionare la mancata comunicazione. Era davvero un aggravio troppo pesante. 


Questo meccanismo ci è sembrato così tanto gravoso che abbiamo ritenuto più economico eliminare tout court questo comma dell'articolo 17. Per me è importante non tanto in sé, ma perché indica una direzione: le cose che non si possono maneggiare da parte delle commissioni disciplinari in modo molto tangibile, spedito e pratico, è meglio toglierle  piuttosto che appesantire inutilmente e confondere. Come si legge nell'articolo 17, versione revisionata: 


La riservatezza delle comunicazioni deve essere protetta e garantita anche attraverso la custodia e il controllo di appunti, note, scritti o registrazioni di qualsiasi genere e sotto qualsiasi forma, che riguardino il rapporto professionale. Tale documentazione deve essere conservata per almeno i cinque anni successivi alla conclusione del rapporto professionale, fatto salvo quanto previsto da norme specifiche. La psicologa e lo psicologo che collaborano alla costituzione ed all’uso di sistemi di documentazione si adoperano per la realizzazione di garanzie di tutela delle persone interessate.


Un altro articolo che tocca un tema molto sentito nella comunità degli psicologi è l’articolo 21, che vuole normare l’esercizio della professione rispetto quelle abusive. Con quali criteri vi siete approcciati alla revisione?


L'insegnamento delle conoscenze psicologiche è un fatto meritorio perché diffonde cultura psicologica. Ovviamente, insegnare l'uso di tecniche, metodi e strumenti propri della professione a chi non pratica questa professione è un altro discorso. Per quale motivo una persona che non svolge quella professione dovrebbe apprendere tecniche e metodi di quella professione? Non mi viene in mente un altro motivo che non sia la costituzione di condizioni per un esercizio abusivo


Sono cose assolutamente non confondibili, quindi il nuovo articolo 21 specifica cosa è meritorio e cosa non lo è. Se la condivisione e insegnamento di competenze a professionisti di altri ambiti (che è già una grave violazione) la si fa proprio per costituire le condizioni dell’esercizio abusivo, la violazione diventa gravissima. 


Sull’articolo 21 c'è stata molta demagogia: da sempre questo articolo è stato quello con più corsi e ricorsi già nella prima estensione del codice, perché si giocava sul fatto che l'articolo 33 della Costituzione tutela la libertà della Scienza e dell'arte e del loro insegnamento.


Quindi qualunque tipo di impedimento, da questo punto di vista, avrebbe un profilo incostituzionale. Per vari motivi, quell'articolo della Costituzione è a tutela del pluralismo ideologico ma poi la Costituzione, la legge quadro e la legge di indirizzo impattano a livelli diversi: se noi dovessimo fare coincidere o confondere le leggi quadro con le norme precettive, non ci sarebbe bisogno dell'uno o non ci sarebbe bisogno dell'altro. 


Facciamo un esempio: parliamo di conoscenze mediche, con l'insegnamento a un commercialista dell'uso chirurgico del bisturi. Tirando in ballo la Costituzione, si arriverebbe ad affermare che è incostituzionale impedire l'insegnamento a un commercialista dell'uso chirurgico del bisturi. 


A mio avviso, però, è una contestazione insensata. Oggi nell’articolo 21, secondo noi, è tutto più concreto, tangibile, chiaro, semplice e, dopo decenni, l'esercizio e la figura professionale sono molto più identificati:


La psicologa e lo psicologo anche attraverso l’insegnamento, in ogni ambito e ad ogni livello, promuovono conoscenze psicologiche, condividono e diffondono cultura psicologica. Tuttavia costituisce grave violazione deontologica l’insegnamento a persone estranee alla professione psicologica dell’uso di metodi, tecniche e di strumenti conoscitivi e di intervento propri della professione stessa. Costituisce aggravante il caso in cui l’insegnamento dei metodi, delle tecniche e degli strumenti specifici della professione psicologica abbia come obiettivo quello di precostituire possibili esercizi abusivi della professione.


All’articolo 21 fa eco l’articolo 8: ci dice di più? 


L'articolo 8 è chiaro: se si viene a conoscenza di esercizio abusivo bisogna segnalarlo all'ordine. Però, sorge una domanda: come si prova la violazione a livello di funzione disciplinare? Come dice Pietro Stampa, Vice-Presidente e Coordinatore della Commissione Deontologica dell’Ordine degli Psicologi del Lazio, questi abusi sono difficili da identificare, perché si gioca a chiamare in modo diverso la stessa cosa e con lo stesso modo due cose diverse. 


Insomma, è tutto molto più sfumato e poi, tranne che in rari casi, nessuno è così sprovveduto da fare abuso della professione con prove e testimoni. Gli ordini territoriali, poi, non hanno competenze, perché se è esercizio abusivo chi lo compie non è psicologo, quindi non è assoggettato alla nostra funzione disciplinare ma seguirebbe l’iter di legge. 


Per questo nell’articolo 8 ho fatto aggiungere il concetto di “presunto esercizio abusivo”: mi sembrava dovuto visto che l'accertamento richiede tre gradi di giudizio. L'unica risposta che abbiamo potuto dare per una maggiore tangibilità dell'articolo 8, è stato rendere più tangibile il 21. Nella nuova versione, l'articolo 8 recita:


La psicologa e lo psicologo contrastano l’esercizio abusivo della professione come definita dagli articoli 1 e 3 della Legge 18 febbraio 1989, n. 56, e segnalano al Consiglio dell’Ordine i presunti casi di abusivismo o di usurpazione di titolo di cui vengono a conoscenza. Parimenti, utilizzano il loro titolo professionale esclusivamente per attività ad esso pertinenti, e non avallano con esso attività ingannevoli od abusive.


Ci racconta il processo che ha portato alla revisione del codice deontologico?


Questa è una questione istituzionale più che tecnica. Si tende spesso a sottovalutare quanto sia impegnativo intervenire nell'articolato e il fatto che siano necessarie competenze molto specialistiche. Modificare il codice vuol dire stare del perimetro della norma, negli equilibri, nelle sequenze coerenti.


E allora, anche un po' vezzosamente, si perde molto tempo sul confronto dottrinario e poi, quando ci si è messi d'accordo da questo punto di vista, resta sempre pochissimo tempo per tradurre tutto quello dentro l'articolato. Questo è il motivo, insieme ai cambiamenti delle nomine di consiliatura del CNOP, per cui tante volte non si è fatto in tempo a portare a referendum il lavoro fatto e si cominciava poi da capo.


Questa modifica del codice ha ricevuto l’approvazione all’unanimità. Tutte le componenti politiche del CNOP hanno votato a favore di questa revisione, fatto molto significativo e importante: c'è stata molta collaborazione e molta responsabilità da parte di tutti gli attori coinvolti. 


Il nuovo testo del codice deontologico delle psicologhe e degli psicologi italiani è stato sottoposto a referendum: ci dice di più?


Con il referendum, le psicologhe e gli psicologi hanno votato la revisione. Essa è riferita soltanto all’articolato e c’è poco da valutare sulla premessa etica e i principi già condivisi, mentre nell'articolato, normativamente, è previsto che si esprima tutta la comunità.


Trovo molto giusto e democratico questo meccanismo: dentro gli organismi che hanno fatto la revisione, erano presenti tutte le parti politiche, sia dentro la commissione che l'osservatorio. Quindi, in linea teorica, la comunità era già rappresentata nella sua totalità. Il CNOP è la massima istituzione degli psicologi italiani e li rappresenta tutti, quindi noi avremo anche potuto non ascoltare più nessuno. Avere ascoltato anche gli altri non era un atto dovuto, è stato un atto voluto. 


Abbiamo condiviso un questionario che ha riguardato tutti i colleghi, abbiamo dato udienza ad associazioni, organizzazioni e società. Insomma, abbiamo parlato davvero con tutti, incluse le stesse associazioni politiche già presenti dentro gli organismi istituzionali, che hanno partecipato con i loro tecnici esterni.


Credo ci starà sempre quella quota di persone, legittimamente, non d'accordo. Però, insomma, spero che questa revisione riesca a essere approvata. Come 25 anni fa con l’estensione del primo codice, ci ho messo la faccia: sto revisionando una cosa che ho scritto io stesso, perché credevo e ritenevo che fosse giusto per la categoria professionale.


Non credo che si possa riuscire a pensare il codice tutto da capo in termini completamente diversi e rivoluzionari, però penso che tutte le indicazioni che sono state date debbano essere portate più avanti. Come psicologi, il nostro primo accesso alla cultura istituzionale è avvenuto per la prima volta 25 anni fa, ora siamo diventati una “versione adulta”. Questo si è potuto fare caricando la dimensione del principio dell'etica sulla premessa e lasciando all’articolato un senso più giuridico e formale. 


La deontologia, in questo senso, ha fatto molto bene e ha nutrito la nostra identità di psicologi prima di tutto: alla base c'è una sola professione, quella di psicologo, anche se poi oggi ci specializziamo nell’avere a che fare con sintomi eccetera, quello che fa la differenza nel mercato è che abbiamo delle quote intellettuali e culturali che sono proprie dello psicologo.


Non bisogna confondere una specializzazione clinica con una identità professionale, c'è una sola professione, quella di psicologo. Una professione riconosciuta e normata da un solo codice. Mi piacerebbe quindi che non avessimo paura di essere psicologi, neanche noi che siamo all'osservatorio, e che parlassimo da psicologi a tutti gli psicologi.


Com’è andata la votazione


Il Dott. Catello Parmentola ci ha dato una visione d’insieme sulle modifiche al codice deontologico delle psicologhe e degli psicologi proposte con la nuova revisione, accompagnandoci nella sua interpretazione. Dal 21 al 25 settembre 2023 le psicologhe e gli psicologi italiani hanno espresso il proprio parere rispetto questa nuova versione. Si è votato esclusivamente in modalità online, accedendo alla propria area riservata del CNOP con SPID o CIE e poi accedendo alla piattaforma di voto VotarePA.


Il voto è stato espresso sul seguente quesito: 


“Approvate voi il codice deontologico delle psicologhe e degli psicologi italiani, come modificato dalla deliberazione del CNOP n. 14 del 28 aprile 2023?”. Il risultato della votazione ha visto la partecipazione di 16.909 votanti, con:


  • una maggioranza per il sì di 9.034 voti 
  • 7.617 voti per il no.


Il Codice Deontologico è ufficialmente aggiornato. Sottolineandone il valore e l’importanza, il dottore Catello Parmentola ha dichiarato in altre sedi che


“Il Codice Deontologico è lo strumento, scritto e reso pubblico, che stabilisce e definisce le concrete regole di condotta che devono necessariamente essere rispettate nell’esercizio di una specifica attività professionale.


Un tale strumento di autoregolamentazione deve avere come riferimento una morale soggettiva, incardinata con un ‘dover essere’ inteso come insieme di doveri professionali ed un ancoraggio al sistema di valori e di norme del contesto sociale, anche per evitare slittamenti corporativi.


Il Codice Deontologico definisce in ambito sociale l’etica della relazione. Se l’etica è la filosofia dell’azione volontaria del soggetto, il Codice Deontologico la va a definire all’interno della relazione professionale.”


Del resto, la responsabilità professionale degli psicologi è stata ribadita ancora una volta da David Lazzari, presidente del CNOP, agli Stati generali della Psicologia “La psiche è vita”, durante il quale sono stati presentati gli aggiornamenti al codice deontologico:


“Lo psicologo è l’esperto delle relazioni, tra le nostre parti interne, tra noi e gli altri, tra individuo e contesto, tra soggettivo e oggettivo, tra i diversi aspetti dell’esperienza umana, tra le generazioni, tra le persone… ed è fondamentale illuminare tutte queste relazioni per avere orizzonti reali, di significato, e non scenari fittizi.”


Leggi il testo del nuovo Codice Deontologico delle psicologhe e degli psicologi.


Bibliografia
Questo è un contenuto divulgativo e non sostituisce la diagnosi di un professionista. Articolo revisionato dalla nostra redazione clinica

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