I regali nella relazione terapeutica: intervista a Catello Parmentola

I regali nella relazione terapeutica: intervista a Catello Parmentola
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Emma Lerro
Redazione
Psicologa e Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale
Unobravo
Pubblicato il
30.11.2023

Lo scambio di regali nella relazione terapeutica è un tema delicato e complesso che merita un’analisi approfondita. L'asimmetria intrinseca nel rapporto tra paziente e terapeuta impone una riflessione sulle circostanze in cui si verificano questi gesti, sulle potenziali implicazioni etiche e cliniche e sulle sfide che i professionisti devono affrontare nel mantenere l'equilibrio tra accettazione e rifiuto di tali doni.


La dott.ssa Emma Lerro, psicoterapeuta Unobravo, ha intervistato il dott. Catello Parmentola, psicologo-psicoterapeuta, epistemologo, clinico, docente, dirigente psicologo in quiescenza dell’Asl Salerno, tra gli estensori del Codice Deontologico degli psicologi e autore di numerose pubblicazioni, fino a La storia della psicologia italiana (Parmentola C., 2020, Psiconline Editrice).


Possono capitare delle circostanze in cui paziente e terapeuta si facciano regali, per esempio in occasione di una festività o di un compleanno?


Quando si tratta questo argomento, è importante tenere sempre in considerazione l’asimmetria presente nella relazione terapeutica. Bisogna, quindi, fare una distinzione: a donare è il paziente o il terapeuta?


Nel primo caso non esistono circostanze certe, prevedibili e codificabili a riguardo. Tendenzialmente, senza drammatizzare, non si prevedono regali da paziente a terapeuta.


Questo va chiarito nelle informazioni preliminari alla relazione clinica, in modo che il paziente ne comprenda il senso come principio e regola generali della professione di psicologo e non possa equivocare, riferendo a se stesso un eventuale rifiuto e interpretandolo impropriamente all’interno dell’economia clinica della relazione.


Sappiamo però che nella pratica è difficile contenere sempre la disposizione al dono che la relazione clinica può sollecitare. Il pensierino natalizio al dottore, per esempio, ha più una connotazione antropologica che personale. Qualcosa di termico, fatto con le proprie mani, come una torta di mele o un prodotto del proprio orto, se privi di un valore commerciale e vissuti come beni non materiali, non hanno una portata inferente o corruttiva. Non possono essere equivocati o avere utilizzi e fini impropri.


Diverso, ovviamente, sarebbe se il regalo, per quanto realizzato con le proprie mani, avesse un valore commerciale, come il gioiello realizzato da un paziente orafo.


Per quanto riguarda il terapeuta, invece, è bene che eviti di fare regali ai pazienti.


L’argomento, data la delicatezza del tema del compenso corrispettivo, meriterebbe in ogni caso un inquadramento teorico su letture organiche specifiche, per esempio nelle parti dedicate all’interno de Il Manuale deontologico degli psicologi (Parmentola C., Leardini E., 2020, Psiconline Editrice).


Quando il paziente fa un regalo, come deve comportarsi il terapeuta?


Se è chiarito in premessa alla relazione clinica, tendenzialmente non dovrebbe succedere. Comunque, dipende dalla circostanza.


Lo psicologo ha il polso della relazione, del paziente e dell’intenzione, oltre che del senso e della misura del regalo. È nelle condizioni quindi di cogliere e valutare quando può alterare e amputare più un rifiuto che un accoglimento.


Se il dono è piccolo, termico, coerente simbolicamente con un passaggio della relazione clinica, può essere più indulgente, magari limitandosi a scoraggiare gesti simili per il futuro.


Se invece il valore del regalo altera significativamente il corrispettivo previsto della prestazione, se è “eccessivo” come portato transferale, se può inferire, contaminare, condizionare, corrompere il setting, allora lo psicologo rifiuta spiegando che si tratta di una regola generale della prestazione, non interpretabile come rifiuto nei confronti di quel regalo e di quel paziente nello specifico.


Quali aspetti etici e clinici bisogna tenere in considerazione in queste circostanze?


L’aspetto etico è legato al fatto che, per ogni paziente, la seduta è impagabile: darebbe al dottore tutto. Un terapeuta che profittasse della sua posizione per accumulare beni materiali, sarebbe non solo in grave deroga deontologica ma anche, ovviamente, in una complessa esposizione giuridica. Non è possibile evocare qui tutti i profili prevedibili a riguardo.


L’aspetto clinico è legato agli investimenti transferali e alla posizione asimmetrica o di dipendenza che tenderebbero a sproporzionare sempre il dono: questo va vigilato, poiché questi aspetti della relazione vanno canalizzati e utilizzati in una logica di processo terapeutico e non devono essere deviati da altri scopi.


Senza entrare troppo nel merito di tutti i profili prevedibili, può fare anche qui un esempio?


Negli anni ‘60, un paziente intestò a un noto psicanalista notevoli proprietà immobiliari, causandogli seri problemi giudiziari poiché quelle “donazioni” furono ritenute esito di un plagio, reato ancora previsto all’epoca.


Oggi l’esposizione giudiziaria potrebbe riguardare, per esempio, la circonvenzione: il setting psicoterapeutico non è extraterritoriale. Nell’esercizio di una professione come la nostra, per di più giuridicamente riconosciuta, non si risponde solo ai codici e ai paradigmi professionali, ma prima alle leggi dello Stato.


E certe transazioni smisurate, difficilmente possono essere spiegate come dono in una sua accezione comprensibile, figurarsi giustificabile.


In che modo il regalo del paziente può influire sulla relazione terapeutica?


Se sproporziona il corrispettivo, può avere una portata corruttiva nella convenienza consapevole e incoraggiata da parte del cattivo clinico. Ma il più delle volte, anche inconsciamente, può inferire sulla qualità della disposizione interiore verso un paziente.


Nel paziente potrebbe far maturare la falsa convinzione che, col dono, possa “conquistare” privilegi psicologici o pratici, orientare o condizionare in qualche sua direzione setting o relazione.


Nel momento in cui il regalo al terapeuta viene da parte di un bambino, ci sono aspetti diversi da quelli menzionati da tenere in considerazione?


Sì, certo. Un bambino è mediamente più “innocente”, può donare senza finalità manipolative e non in conseguenza di distorsioni interpretative.


Inoltre, rifiutare un dono da parte di un bambino può produrre con più probabilità delicati effetti psicologici come delusione, il sentirsi rifiutato o respinto, disaffezionamento, ecc… Sarebbe più difficile spiegare che ci sono regole professionali o altre misure di inopportunità.


Quindi, nel caso dei bambini, si può sdrammatizzare la questione del dono ed essere più indulgenti. Ovviamente, deve essere un dono del bambino, davvero sentito da parte sua, e avere un valore commerciale pari o simile allo zero.


Uno psicologo può fare un regalo a un paziente?


Tendenzialmente no. In qualche rarissima occasione un dono, se privo di valore materiale e non equivocabile, potrebbe avere una misura di senso, simbolicamente e utilmente prefigurabile e spendibile nell’economia clinica. Potrebbe essere così tanto attinente da descriversi un’amputazione nel suo evitamento.


Ma questo dovrebbe essere teoricamente inquadrabile nella lacaniana azione reale, il che richiederebbe clinici esperti e maneggiamenti tecnico-professionali molto precisi.


È consigliabile evitare se non si rientra in questo target.


Può fare un esempio di un caso in cui un dono potrebbe avere una misura di senso da parte del terapeuta?


Sempre considerandoli casi eccezionali, potrebbe avere una misura di senso un dono privo di valore commerciale che sia tematicamente coerente con un messaggio terapeutico, che riprenda simbolicamente un punto che la terapia sta sollecitando in quel momento e che può ricadere utilmente nell’economia clinica.


In due casi mi è capitato di fare doni non materiali e tangibili. Ho ritenuto importante assistere al concerto pianistico di un mio paziente in un caso, e a un’opera in cui danzava una mia paziente nell’altro. Un dono da spettatore in platea, senza nessun contatto con loro nella vita reale, contattando solo le loro espressioni artistiche.


Se si lavora con i bambini, un’altra eccezione può essere costituita da un piccolo regalo, sempre privo di valore commerciale. Questo potrebbe accadere nel caso in cui ci fosse bisogno, ai fini terapeutici, di empatizzargli i primi accessi o premiarne qualche progresso.


Il bambino, diversamente dall’adulto, non è esposto nella stessa misura alle distorsioni elaborative e, quindi, il dono è meno “rischioso”.


In che modo un regalo del terapeuta può influire sulla relazione terapeutica?


Non dimentichiamo il senso psicologico del dono quando ci sono in gioco l’investimento transferale e la posizione asimmetrica e di dipendenza del paziente all’interno della relazione.


Proviamo a immaginare cosa potrebbe eccitare nel paziente il regalo del terapeuta, quali elaborazioni distorte, a quale “danno” potrebbe venire esposto, quale alterazione potrebbe determinargli nell’atteggiamento relazionale, che confusione di livelli potrebbe generarsi e come potrebbe confondere le assegnazioni di senso e di funzione alla relazione professionale.

Bibliografia

Questo è un contenuto divulgativo e non sostituisce la diagnosi di un professionista. Articolo revisionato dalla nostra redazione clinica

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