La presa in carico del paziente: possibilità e limiti

La presa in carico del paziente: possibilità e limiti
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Enrico Reatini
Redazione
Psicologo ad orientamento Cognitivo-Comportamentale
Unobravo
Articolo revisionato dalla nostra redazione clinica
Pubblicato il
16.1.2025
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"Chiudi gli occhi, immagina una gioia, molto probabilmente penseresti a una partenza." 

Questo verso di Costruire di Niccolò Fabi mi torna spesso in mente quando rifletto sulle prime fasi di un percorso terapeutico. Ogni presa in carico, infatti, segna l'inizio di un viaggio condiviso tra terapeuta e paziente, un cammino che, pur avendo i suoi obiettivi e regole, si distingue sempre per panorami unici e diversi. 

Come in ogni partenza, nelle fasi iniziali emergono un intreccio di aspettative, paure e speranza. Il compito del professionista è di orientare il paziente lungo questo percorso con empatia e competenza, offrendo una guida sicura in un territorio inesplorato.

La presa in carico è un atto formale, ma anche un impegno profondo e personale: significa non solo creare uno spazio sicuro e accogliente dove il paziente possa sentirsi compreso e ascoltato, ma anche aiutare a dare forma e senso a situazioni che fino a quel momento potevano essere vissute come problemi irrisolti o irrisolvibili. 

È un processo che richiede flessibilità, ma anche una continua riflessione sulle esigenze del paziente e sui limiti del terapeuta.

Ci sono, però, circostanze in cui diventa necessario valutare con attenzione se proseguire il percorso. Questo può accadere, per esempio, quando il terapeuta riconosce di non avere le competenze specifiche per trattare una particolare problematica o quando il coinvolgimento emotivo rischia di compromettere la qualità e l’efficacia della terapia. 

Anche la mancanza di un’alleanza terapeutica solida o una resistenza marcata da parte del paziente possono segnalare l'esigenza di una riflessione più profonda sulla prosecuzione della presa in carico.

In questi casi, agire con consapevolezza ed etica è fondamentale per garantire che il percorso terapeutico possa essere utile e significativo per il paziente. Come in ogni viaggio, è importante saper riconoscere quando è il momento di fermarsi, di riorientarsi o, in certi casi, di cambiare rotta, affinché il cammino possa proseguire nel modo più efficace e autentico possibile.

Alex Green - Pexels

Cos’è la presa in carico del paziente?

La presa in carico del paziente in psicologia rappresenta un impegno formale e profondo da parte del terapeuta nella gestione dell’intero percorso di cura, che inizia con il primo incontro e prosegue attraverso interventi mirati.

Infatti, la presa in carico è un momento cruciale per la costruzione di un’alleanza terapeutica (Hilsenroth e Cromer, 2007). In questa fase, empatia e ascolto attivo giocano un ruolo fondamentale nel creare il clima di fiducia, nel quale il paziente si potrà sentire libero di aprirsi e condividere le proprie esperienze.

Le prime impressioni possono influenzare significativamente l’intero processo terapeutico (Swider, Barrick e Harris, 2016). In questa fase iniziale si gettano le basi per una relazione solida e costruttiva, che facilita il percorso di cura. La creazione di un ambiente sicuro e accogliente non è solo auspicabile, ma essenziale: è il terreno fertile in cui nascono speranza e motivazione nel paziente.

Il ruolo del terapeuta va oltre la semplice applicazione di tecniche. Esso implica una costante valutazione delle esigenze del paziente. Questa flessibilità è fondamentale, poiché il cammino terapeutico può essere pieno di imprevisti e necessità di cambiamento.

Tuttavia, ci sono momenti in cui diventa necessario fermarsi e riflettere. Agire con consapevolezza e responsabilità è essenziale per garantire che il percorso terapeutico resti non solo utile e significativo, ma soprattutto non iatrogeno

Questa capacità di adattamento non solo tutela il benessere del paziente, ma favorisce la costruzione di una relazione terapeutica autentica e profonda, capace di affrontare anche le sfide più complesse. 

Questa dinamica non è ovviamente lasciata al solo buon senso del professionista, ma è stata valutata e riesaminata dai codici professionali.

Il Codice Deontologico degli Psicologi e la presa in carico

Nel contesto della presa in carico del paziente, il nuovo Codice Deontologico degli Psicologi rappresenta una bussola imprescindibile per garantire che ogni intervento sia condotto in modo etico e responsabile

Le norme del Codice forniscono linee guida che supportano il professionista non solo nel costruire una relazione terapeutica solida e rispettosa, ma anche nell'affrontare situazioni complesse in cui l'integrità del percorso di cura potrebbe essere messa a rischio.

Un aspetto cruciale che il Codice affronta è la possibilità, per il professionista, di non prendere in carico un paziente qualora siano presenti fattori che potrebbero compromettere il buon esito del trattamento. 

Tra questi rientrano i conflitti di interesse o altre condizioni normative e professionali che impongono al terapeuta di astenersi dall’avviare o continuare un percorso terapeutico. L’etica professionale impone, infatti, che il benessere del paziente rimanga prioritario, e ciò significa anche riconoscere quando l'intervento può essere inappropriato o addirittura dannoso.

L’articolo 26 del Codice Deontologico degli Psicologi

L'articolo 26 del Codice Deontologico degli Psicologi introduce il principio di astensione, il quale stabilisce che il terapeuta deve astenersi dall’intraprendere o proseguire un trattamento quando sussistono condizioni che potrebbero interferire con la sua capacità di agire in modo neutrale, obiettivo e professionale. 

Nello specifico l’articolo recita:

Lo psicologo si astiene dall’intraprendere o dal proseguire qualsiasi attività professionale ove propri problemi o conflitti personali, interferendo con l’efficacia delle sue prestazioni, le rendano inadeguate o dannose alle persone cui sono rivolte. Lo psicologo evita, inoltre, di assumere ruoli professionali e di compiere interventi nei confronti dell’utenza, anche su richiesta dell’Autorità Giudiziaria, qualora la natura di precedenti rapporti possa comprometterne la credibilità e l’efficacia.

Il conflitto di interessi è una delle principali ragioni per cui un professionista dovrebbe applicare questo principio. Il conflitto si verifica quando lo psicologo ha relazioni personali o professionali preesistenti con il paziente che potrebbero distorcere il giudizio clinico, influenzando negativamente la terapia. 

Potrebbe trattarsi di legami familiari, amicizie o rapporti di lavoro, che comprometterebbero la necessaria neutralità richiesta nel contesto terapeutico.

Allo stesso modo, il coinvolgimento emotivo troppo intenso da parte del terapeuta o del paziente può interferire con la qualità del trattamento, rendendo la relazione terapeutica non più efficace o persino dannosa.

Il principio di astensione non solo tutela il paziente, ma protegge anche il professionista, consentendogli di evitare situazioni in cui la sua imparzialità e capacità di cura verrebbero compromesse. Quando il terapeuta riconosce la presenza di un conflitto o di altre limitazioni, deve rivalutare la situazione e, se necessario, indirizzare il paziente verso un altro professionista, in grado di affrontare in modo più adeguato le sue necessità.

cottonbro studio - Pexels

L’articolo 28 del Codice Deontologico degli Psicologi

Un aspetto collegato, delicato e cruciale per la pratica professionale, viene affrontato dall’articolo 28 del Codice Deontologico degli Psicologi: la necessaria separazione tra vita privata e attività professionale

Secondo quanto stabilito da questo articolo, lo psicologo deve fare in modo che la sua vita privata non interferisca negativamente con il suo lavoro clinico. In altre parole, il professionista deve mantenere una chiara distinzione tra il suo ruolo come terapeuta e le sue esperienze e relazioni personali.

L’articolo 28 nello specifico recita:

Lo psicologo evita commistioni tra il ruolo professionale e vita privata che possano interferire con l’attività professionale o comunque arrecare nocumento all’immagine sociale della professione. Costituisce grave violazione deontologica effettuare interventi diagnostici, di sostegno psicologico o di psicoterapia rivolti a persone con le quali ha intrattenuto o intrattiene relazioni significative di natura personale, in particolare di natura affettivo-sentimentale e/o sessuale. Parimenti costituisce grave violazione deontologica instaurare le suddette relazioni nel corso del rapporto professionale. Allo psicologo è vietata qualsiasi attività che, in ragione del rapporto professionale, possa produrre per lui indebiti vantaggi diretti o indiretti di carattere patrimoniale o non patrimoniale, ad esclusione del compenso pattuito. Lo psicologo non sfrutta la posizione professionale che assume nei confronti di colleghi in supervisione e di tirocinanti, per fini estranei al rapporto professionale.

L'articolo 28 impone quindi al terapeuta di evitare qualsiasi condotta, nella sfera personale, che possa ledere la sua professionalità o pregiudicare il benessere del paziente. Questo richiamo alla responsabilità riguarda tanto le azioni esterne quanto le dinamiche interne che potrebbero condizionare l’efficacia del trattamento.

Nella pratica, il rispetto dell'articolo 28 richiede una costante attenzione da parte del professionista verso le proprie emozioni, comportamenti e situazioni di vita che potrebbero interferire con l'attività clinica. Le casistiche in cui questo principio trova applicazione sono molteplici.

Per esempio, se lo psicologo attraversa un periodo di stress o di difficoltà personale, come un lutto, una separazione o problemi di salute, è essenziale che egli si interroghi su quanto tali eventi possano incidere sulla qualità del trattamento offerto ai suoi pazienti.

In questi casi, lo psicologo potrebbe valutare la possibilità di sospendere temporaneamente l’attività o ridurre il carico di lavoro, qualora ciò sia necessario per mantenere uno standard professionale adeguato.

L’uso improprio delle informazioni personali sui social media è un altro ambito rilevante. Le attività che lo psicologo svolge online e le interazioni sui social network devono essere gestite con particolare cautela, poiché eventuali condotte inopportune potrebbero compromettere la sua immagine professionale o danneggiare il rapporto con i pazienti.

La capacità del terapeuta di riconoscere quando è necessario riorientare il trattamento o interromperlo dimostra non solo responsabilità e consapevolezza professionale, ma anche un profondo rispetto verso il benessere del paziente.

Il Codice Deontologico, con le sue norme e il principio di astensione, garantisce infatti che la presa in carico sia sempre guidata da criteri di trasparenza, etica e massima tutela della salute psicologica del paziente.

Quando un professionista non dovrebbe prendere in carico un paziente?

Come visto, il Codice Deontologico sottolinea numerose situazioni in cui uno psicologo dovrebbe astenersi dal prendere in carico un paziente. Per questo motivo potrebbe essere utile stilare una lista di situazioni prototipiche in cui è possibile imbattersi durante la pratica clinica: 

  • relazioni personali preesistenti: quando lo psicologo ha una relazione personale con il paziente, come un’amicizia, un rapporto familiare o professionale preesistente, il rischio di compromettere la neutralità e l’oggettività terapeutica è elevato. Per esempio, per uno psicologo che viene contattato da un familiare con cui intrattiene rapporti, sarebbe opportuno rinviare il parente a un altro professionista per evitare implicazioni emotive che possano ostacolare il trattamento
  • mancanza di competenze specifiche: se la problematica del paziente esula dalle competenze specifiche dello psicologo, questi dovrebbe evitare di prendere in carico il caso. Per esempio, nel caso di severi disturbi alimentari, se uno psicologo non è specializzato nel trattamento di questo tipo di condizioni cliniche, dovrebbe indirizzare il paziente a un collega con esperienza in DCA o a un team multidisciplinare
  • mancanza di risorse o tempo: se un professionista sta già seguendo un numero elevato di pazienti e si trova in un periodo di forte stress personale, rischierebbe di non poter offrire la dovuta attenzione e disponibilità al nuovo paziente. In questo caso, è più etico rifiutare la presa in carico o rimandarla a un momento più opportuno
  • vantaggi ulteriori rispetto al compenso pattuito: se lo psicologo trae, o potrebbe trarre, un vantaggio personale ulteriore rispetto al compenso concordato per il trattamento, questo rappresenterebbe un chiaro conflitto di interesse. Il terapeuta deve sempre garantire che l’unico beneficio derivante dalla relazione terapeutica sia legato al benessere del paziente e non ad altre forme di profitto
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  • impossibilità di garantire un supporto adeguato: pazienti che necessitano di un supporto intensivo, come in situazioni di crisi psichiatriche acute, potrebbero aver bisogno di strutture o trattamenti ospedalieri che lo psicologo non può garantire. In tali circostanze, è fondamentale che il professionista sappia riconoscere i propri limiti e indirizzi il paziente verso servizi più appropriati
  • rischio di mancata oggettività: quando lo psicologo si accorge che un coinvolgimento emotivo personale verso il paziente, positivo o negativo, potrebbe influenzare la sua capacità di giudizio clinico, dovrebbe evitare di prendere in carico quel caso. Per esempio, un terapeuta potrebbe essere eccessivamente indulgente o, al contrario, troppo critico nei confronti di un paziente con cui condivide delle esperienze o delle visioni personali
  • influenza di dinamiche esterne: in alcune situazioni, fattori esterni possono influenzare la relazione terapeutica, come la pressione da parte di altre figure coinvolte nella vita del paziente (familiari, datori di lavoro) o aspettative non realistiche imposte da terze parti. Quando tali influenze interferiscono con la capacità del terapeuta di gestire in modo indipendente e neutrale il percorso terapeutico, è necessario considerare la possibilità di astenersi dalla presa in carico.

Gestire il rifiuto della presa in carico

Rifiutare la presa in carico di un paziente è una decisione difficile ma a volte necessaria, e rappresenta un esercizio del fondamentale diritto assertivo di “dire di no”. 

Quando si comunica un rifiuto, è importante essere chiari e onesti. Un approccio efficace potrebbe essere dire: "Dopo aver valutato attentamente la tua situazione, credo che non sia in grado di offrirti il supporto di cui hai bisogno in questo momento". 

Mostrare empatia, riconoscendo le emozioni del paziente è altrettanto fondamentale. Semplici formule come "Capisco che questa notizia possa essere deludente", aiutano a mantenere un clima di fiducia.

È cruciale anche utilizzare un linguaggio accessibile. Evitare termini tecnici può infatti prevenire confusione. Invece di utilizzare frasi complesse, un terapeuta potrebbe dire: "Non ho la formazione necessaria per affrontare questa situazione specifica".

Ovviamente offrire alternative concrete è essenziale. Se un terapeuta non può seguire un paziente, potrebbe consigliare di contattare un collega esperto, dicendo: "Ti consiglio di rivolgerti a questo professionista, che ha molta esperienza con questo tipo di situazioni". Inoltre, fornire risorse utili, come articoli o libri, può essere un modo per supportare il paziente.

Incoraggiare il paziente a cercare attivamente un professionista che possa aiutarlo è un passo importante. Spiegare che trovare lo psicologo giusto è un processo valido e necessario, per esempio dicendo: "È fondamentale che tu possa lavorare con qualcuno che abbia l'expertise giusta per te", contribuisce a far sentire il paziente sostenuto anche dopo il rifiuto.

In questo modo, dire di no diventa non solo un atto di responsabilità, ma anche un gesto di rispetto verso il paziente, dimostrando che il suo benessere è sempre al centro della pratica professionale.

A volte, è importante dire di no

Dire di no può apparire frustrante, sia per il terapeuta che per il paziente, ma è un atto che salvaguarda il benessere di entrambi. Agire con etica e trasparenza non solo rispetta i limiti del terapeuta, ma offre al paziente la possibilità di trovare un aiuto più adeguato.

La presa in carico responsabile implica la capacità di riconoscere quando è opportuno riorientare il cammino. È in queste scelte che risiede la vera essenza del supporto terapeutico: non si tratta solo di accompagnare, ma di farlo in modo autentico e consapevole, per garantire che ogni viaggio possa continuare nel modo migliore possibile.

In altri termini, anche un no può "silenziosamente costruire”.

Bibliografia
Questo è un contenuto divulgativo e non sostituisce la diagnosi di un professionista. Articolo revisionato dalla nostra redazione clinica

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