La collusione in psicologia

La collusione in psicologia
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Monica Margiotta
Redazione
Psicologa ad orientamento Cognitivo-Comportamentale
Unobravo
Articolo revisionato dalla nostra redazione clinica
Pubblicato il
20.3.2025
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La relazione tra psicologo e paziente è un elemento cardine della psicoterapia: il rapporto che viene a crearsi si fonda su fiducia, empatia e collaborazione, elementi indispensabili per costruire una solida alleanza terapeutica (Bordin, 1979). 

Tuttavia, non sempre il legame terapeutico segue un andamento lineare, poiché vi è la possibilità che emergano delle dinamiche disfunzionali. Tra queste c’è la collusione, che può influire negativamente sull’efficacia del trattamento e sul benessere del paziente.

Con collusione si intende un fenomeno psicologico che coinvolge due o più individui in una sorta di “patto implicito”, spesso inconsapevole, che porta a un rinforzo di comportamenti o credenze disfunzionali. Nel contesto della terapia, questa dinamica è in grado di diventare un vero e proprio ostacolo al cambiamento e di consolidare pattern problematici. 

Esplorare il significato di collusione e di quello che è il suo impatto nella relazione terapeutica risulta essere essenziale per prevenirne le conseguenze e promuovere una pratica clinica etica ed efficace.

La collusione terapeuta-paziente

La collusione in psicologia si manifesta in vari contesti, tra cui le relazioni personali, i gruppi sociali e le dinamiche professionali. In generale, si riferisce a una convergenza inconscia tra due individui che agiscono in modo complementare al fine di mantenere una situazione disfunzionale.

Alcuni esempi di collusione in psicologia sono:

collusione di coppia: all’interno di una relazione entrambi i partner possono sostenere inconsapevolmente modelli disfunzionali, come il controllo reciproco o l’idealizzazione, perpetuando in questo modo conflitti o dipendenze emotive

collusione narcisistica: si tratta di un tipo di collusione che si verifica quando un partner o un gruppo conferma e amplifica il senso di grandiosità dell’altro, contribuendo a rafforzare tratti narcisistici e a evitare l’introspezione o la propensione ai cambiamenti

follia a due (folie à deux): un esempio clinico di collusione patologica, in cui due persone condividono deliri o convinzioni psicotiche, rafforzandosi reciprocamente nella distorsione della realtà (DSM-IV-TR; Rivista di Psichiatria, 2019).

La collusione spesso tende a svilupparsi attraverso meccanismi inconsci di transfert e controtransfert, rendendola particolarmente rilevante nell’ambito dei contesti terapeutici.

Alex Green - Pexels

Le cause della collusione

In psicoterapia la collusione tra terapeuta e paziente si può riscontrare nel momento in cui il primo, consapevolmente o inconsapevolmente, partecipa a delle dinamiche che tendono a mantenere o rafforzare i problemi del paziente

Si tratta di un fenomeno che rappresenta una complessità relazionale fortemente in grado di minare il processo terapeutico e ostacolare il cambiamento; spesso esso nasce dall’interazione tra le caratteristiche personali del terapeuta e i bisogni o le aspettative del paziente. 

La collusione può emergere per diversi motivi, tra cui:

bisogni irrisolti del terapeuta: il professionista può essere influenzato da desideri personali, come il bisogno di sentirsi accettato, apprezzato o utile. Per esempio, la paura di provocare un conflitto con il paziente potrebbe portare il professionista a un alleviamento di domande o interventi critici, finendo per assecondare comportamenti disfunzionali o atteggiamenti che perpetuano il problema

difficoltà nella gestione del controtransfert: il controtransfert si riferisce alle reazioni emotive che il terapeuta sviluppa in risposta alle dinamiche del paziente. Quando queste reazioni non vengono elaborate, il terapeuta può involontariamente colludere con gli schemi relazionali disadattivi del paziente, sostenendo dinamiche che rinforzano il problema. Per esempio, il terapeuta potrebbe rispondere con un’eccessiva empatia a comportamenti manipolatori o vittimistici, alimentando così gli stessi schemi che si intenderebbe modificare (Gelso & Hayes, 2007).

La collusione può manifestarsi in molte forme diverse, a seconda del tipo di relazione che si sviluppa tra paziente e terapeuta. Ecco alcuni esempi di frequenti:

  • conferma di un ruolo vittimista: un terapeuta potrebbe accettare passivamente la narrazione del paziente come vittima, senza porre in discussione la prospettiva proposta. In questo modo, il professionista incontra il rischio di rafforzare l’identificazione del paziente con il ruolo di vittima, invece di aiutarlo nell’esplorazione di altre possibilità o nell’assunzione di maggiore responsabilità per le proprie azioni
  • complicità nella dipendenza emotiva: un terapeuta potrebbe colludere nel momento in cui evita di incoraggiare l’autonomia del paziente, mantenendo in questo modo una relazione che rafforza la dipendenza emotiva. Per esempio, rispondere continuamente alle richieste di rassicurazione del paziente senza proporre strategie alternative può limitare lo sviluppo dell’indipendenza emotiva
  • evitamento del conflitto: per timore di compromettere la relazione terapeutica, uno psicologo potrebbe evitare di affrontare argomenti difficili o aspetti problematici, come comportamenti disfunzionali o difese rigide. Tale atteggiamento, sebbene inizialmente sembri preservare il legame, ostacola il processo e impedisce di affrontare i nodi centrali del problema, ostacolando di conseguenza il progresso terapeutico.

Gestire la collusione

Per affrontare e gestire la collusione in terapia è necessario che il professionista sviluppi una profonda consapevolezza delle dinamiche relazionali, così come una capacità di monitorare costantemente le proprie reazioni emotive e comportamentali. La riflessione su di sé costituisce uno strumento di estrema importanza per il riconoscimento dei segnali di collusione, come il desiderio di evitare conflitti o la tendenza a compiacere il paziente. 

Tale processo di auto-osservazione offre al terapeuta l’opportunità di individuare eventuali aspetti problematici nel proprio approccio e di intervenire per correggerli.

La capacità di comunicare in modo trasparente con il paziente è un ulteriore elemento per la prevenzione delle dinamiche collusive. Infatti, affrontare in modo aperto temi difficili o situazioni di disagio, senza il timore di poter in questo modo compromettere il legame terapeutico, è di aiuto nella costruzione di una relazione che si fonda sulla fiducia reciproca e sull’autenticità. 

Questa trasparenza non implica un atteggiamento critico o giudicante, bensì piuttosto una disponibilità a esplorare insieme al paziente le aree problematiche, favorendo in questo modo il cambiamento.

Un altro aspetto centrale nella gestione della collusione è lo sviluppo di un’alleanza terapeutica forte e collaborativa. Secondo Bordin (1994) una relazione terapeutica basata su obiettivi condivisi, rispetto reciproco e impegno verso il cambiamento riduce in modo significativo il rischio di collusione. Un’alleanza solida permette di affrontare anche argomenti complessi senza compromettere la relazione e offre al paziente un modello relazionale autentico e costruttivo.

Ci sono diversi strumenti che possono essere di supporto al terapeuta nel riconoscimento e nella gestione del fenomeno della collusione. La supervisione clinica è un mezzo fondamentale per analizzare i casi con il supporto di colleghi esperti. Infatti, la discussione delle dinamiche della relazione terapeutica con un osservatore esterno permette l’eventuale identificazione di schemi collusivi che possono sfuggire al professionista. 

Allo stesso modo, il confronto con altri professionisti attraverso incontri di intervisione è in grado di offrire nuove prospettive e idee su come affrontare situazioni complesse.

Non meno importante è la formazione continua. L’approfondimento delle proprie conoscenze teoriche e pratiche, la partecipazione a corsi di aggiornamento e lo studio di approcci innovativi aiuta il terapeuta a sviluppare una maggiore competenza nella gestione di situazioni difficili, inclusa la collusione. 

Tale processo di apprendimento permette di affrontare con maggiore sicurezza le sfide che è possibile incontrare all’interno della relazione terapeutica e di adattare così il proprio approccio alle esigenze specifiche di ciascun paziente.

Pavel Danilyuk - Pexels

Le conseguenze della collusione con il paziente

Se non viene correttamente riconosciuta e gestita, la collusione può avere effetti profondamente negativi sulla relazione terapeutica e sull’efficacia del trattamento. Tra le conseguenze più rilevanti troviamo:

  • il mantenimento dello status quo, che impedisce al paziente l’esplorazione di nuove prospettive, così come di avviare un processo di cambiamento significativo
  • compromissione della fiducia reciproca a causa di relazione priva di autenticità
  • mancato conseguimento di un progresso tangibile, che può emergere nella percezione di fallimento sia personale che professionale da parte del paziente (Safran & Muran, 2019).

Per una relazione terapeutica funzionale

La collusione è una dinamica complessa e potenzialmente pericolosa all’interno della relazione tra terapeuta e paziente. Il suo riconoscimento e la sua gestione sono un compito fondamentale per il professionista, che deve essere in grado di mantenere un equilibrio tra empatia e professionalità. 

Attraverso strumenti come la supervisione, l’intervisione e una costante auto-riflessione, il terapeuta può dunque evitare o imparare a gestire situazioni collusive, garantendo il massimo beneficio per il paziente.

Bibliografia
Questo è un contenuto divulgativo e non sostituisce la diagnosi di un professionista. Articolo revisionato dalla nostra redazione clinica

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