Il controtransfert è una delle sfide più complesse e affascinanti nel lavoro terapeutico.
Si manifesta come una serie di reazioni emotive che il paziente suscita nel terapeuta, influenzando il corso della terapia. Inizialmente considerato un ostacolo, con il tempo il controtransfert è stato rivalutato come uno strumento essenziale per comprendere le dinamiche della relazione terapeutica e il suo impatto sul trattamento.
In questo articolo, esploreremo i diversi tipi di controtransfert, le teorie che ne hanno analizzato le implicazioni e come i professionisti della salute mentale possono riconoscerlo e gestirlo.
Cos’è il controtransfert?
Dal tedesco Gegenübertragung, il controtransfert è definito da Freud, in una lettera del 1909 destinata a Jung, come una controtraslazione, che insorge nel terapeuta su influsso del paziente, agendo sui suoi sentimenti inconsci.
Oggi potremmo parlare di controtransfert in psicologia riferendoci alle emozioni che il paziente suscita nel professionista all’interno della seduta.
Il controtransfert per Freud
Per parlare del controtransfert è necessario fare alcune premesse. La nascita della psicoanalisi viene sancita agli inizi del Novecento con la pubblicazione del libro L’interpretazione dei sogni di Sigmund Freud.
Con questo scritto, Freud postulò l’esistenza di un luogo oscuro e profondo, l’inconscio a cui le persone non hanno libero accesso per via di una “censura morale”. Sulla base di queste teorie, per Freud diventò fondamentale estrarre l’emozione penetrata e rimasta nella psiche profonda e inconscia, risvegliandone il ricordo e rivivendo l’emozione stessa, col fine di curare alcune psicopatologie.
Riuscendo a fare questo, i sintomi isterici sarebbero scomparsi, l’embolo d’emozione si sarebbe sciolto e la psiche avrebbe ripreso, insieme al corpo, il suo normale funzionamento.
Transfert e controtransfert: opportunità o limite?
Durante le sedute, Freud aveva osservato che i pazienti manifestavano sentimenti intensi nei confronti dell’analista, come se davanti a loro ci fosse un’altra persona. Questo introdusse il concetto di transfert.
Osservando attentamente il timing di queste manifestazioni nel paziente, intuì che ciò avveniva con regolarità nel momento in cui l’indagine sul passato raggiungeva una zona più sensibile, ovvero dei contenuti rimossi spesso situati nell’infanzia (Freud, 1912b).
In seguito, Freud si accorse che anche nell’analista potevano insorgere delle reazioni suscitate dal materiale che il paziente presentava: il controtransfert. Freud riteneva che la fonte di questa controtraslazione, derivasse da conflitti inconsci non risolti dell’analista. (Freud, 1912).
Il controtransfert: definizione ed evoluzione nel tempo
L’idea che il controtransfert dello psicologo rappresentasse un ostacolo nel processo psicoanalitico si mantiene sostanzialmente immutata per molto tempo. Il concetto di controtransfert “pericoloso” nella relazione con il paziente rimane il nucleo di quella che Kernberg (1965) definisce la concezione “classica” di questa manifestazione.
Tale concezione presuppone che il paziente sia l’oggetto da conoscere e che l’analista sia l’osservatore neutrale, motivo per cui il controtransfert viene ritenuto “inquinante” in questa distinzione di ruoli (Albarella e Donadio, 1998).
Una rivoluzione sincera: Sandor Ferenczi
Il controtransfert terapeutico e, in generale, il tema degli affetti e delle emozioni del terapeuta, viene trascurato per molti anni, con qualche eccezione. Uno dei primi a dare il suo contributo sul tema è stato Sandor Ferenczi (1928), pioniere nel riconoscimento del valore positivo degli affetti dell’analista e nella critica del mito della “neutralità analitica”.
Ferenczi propose un nuovo approccio alla terapia e al paziente, attento alla soggettività dell’analista e precocemente vicino ai dibattiti che caratterizzeranno successivamente la corrente intersoggettiva della pratica e del pensiero psicoanalitico.
Le sue idee anticiparono, infatti, i concetti chiave della psicoanalisi della seconda metà del Novecento: l’importanza della “sincerità” e autenticità dello psicoterapeuta, il valore delle sue emozioni e l’utilizzo del controtransfert come strumento di analisi.
La svolta degli anni Cinquanta e l’identificazione proiettiva
La vera svolta però arriva negli anni Cinquanta, con l’introduzione del concetto di identificazione proiettiva di Melanie Klein (1946). La Klein introduce la proiezione delle parti buone e cattive del sé del bambino verso la madre, creando un ponte tra la teoria psicoanalitica classica e quella interpersonale.
Si passa quindi da una visione puramente individuale e intrapsichica a una dimensione relazionale.
Grazie a questi nuovi contributi teorici, è possibile ripensare l’ideale di un analista “distaccato” in favore di una situazione analitica concepita come una relazione tra due persone. Ciò che la rende terapeutica non è l’assenza di sentimenti nell’analista, bensì la sua capacità di sostenerli ed elaborarli, invece che lasciarli cadere nel vuoto.
Il terapeuta diviene quindi un “osservatore partecipe” (Sullivan, 1954).
Il declino della nozione di terapeuta come osservatore esterno, onnisciente e distaccato dal paziente ha permesso un'evoluzione delle teorie riguardanti le emozioni del professionista come canale preferenziale di accesso al mondo del paziente.
In questo contesto, anche la self-disclosure del terapeuta può essere considerata uno strumento per rafforzare l’alleanza terapeutica con il paziente.
Tipi di controtransfert
Heinrich Racker è stato uno dei principali psicoanalisti a inquadrare il ruolo del controtransfert nella pratica clinica (1952, 1953, 1968). In particolare, ha classificato il controtransfert del terapeuta in diverse tipologie, sulla base dell’identificazione che si crea tra professionista e paziente:
- controtransfert concordante, che di verifica quando l’Io e l’Es dello psicologo si identificano con quelli del paziente, consentendo una condivisione del vissuto;
- controtransfert complementare, quando lo psicologo si identifica con le rappresentazioni della psiche del paziente;
- controtransfert diretto, nel caso in cui la risonanza del terapeuta è evocata dal paziente e dal suo vissuto;
- controtransfert indiretto, se la reazione del terapeuta è evocata da una persona esterna al setting.
Racker ha esplorato anche il controtransfert sessualizzato, definendolo come una parte inevitabile del processo terapeutico che può essere utilizzata in modo produttivo, integrandola come uno strumento di comprensione delle dinamiche del paziente.
Vivere e metacomunicare le emozioni durante la seduta
Per alcuni approcci, come quelli che si rifanno alla cibernetica di secondo ordine, che pongono molta attenzione sull’effetto degli interventi del terapeuta in seduta, le emozioni che risuonano in terapia possono essere utilizzate per creare un livello metacomunicativo.
In quest’ultimo livello, le sensazioni provate dal terapeuta all’interno della relazione terapeutica nel qui ed ora possono essere esplicitate per far riflettere il paziente su quelle sensazioni.
La risonanza è uno dei modi che il terapeuta ha per entrare e consolidare la relazione con i pazienti. In molte teorie contemporanee, infatti, l'autenticità del terapeuta diventa centrale affinché si instauri una solida alleanza terapeutica che permetta al paziente di sperimentare una tipologia di relazione diversa da tutte quelle provate fino a quel momento e che in qualche modo lo hanno fatto soffrire.
Per fare questo il terapeuta, seguendo l'indicazione di Whitaker, “deve entrare profondamente dentro il paziente e la famiglia”, diventandone parte, ma mantenendo allo stesso tempo la giusta distanza, in modo da non rimanere invischiato nella dinamica relazionale in cui è immerso.
I segnali del controtransfert
Riconoscere e comprendere come il controtransfert si manifesta è fondamentale per i professionisti della salute mentale, poiché può avere un impatto diretto sull'efficacia del trattamento.
Come accorgersi del controtransfert, quindi? È importante prestare attenzione al proprio sentire e gestire eventuali criticità che potrebbero influenzare la relazione terapeutica.
Alcuni esempi di controtransfert e fattori da tenere in considerazione possono essere:
- emozioni intense e sentimenti di varia natura, come la rabbia, la frustrazione, l’attrazione, o l’affetto nei confronti del paziente. Per esempio, un paziente che racconta un trauma subito potrebbe innescare un controtransfert nel terapeuta con vissuti traumatici simili;
- fantasie o pensieri persistenti non collegati alla terapia. Per esempio, il terapeuta potrebbe ritrovarsi a pensare spesso al paziente anche al di fuori delle sessioni, o potrebbe sviluppare fantasie salvifiche o di idealizzazione;
- comportamenti non verbali e corporei: sentimenti di disagio, tensione fisica, o persino un bisogno inconsapevole di aumentare la distanza fisica dal paziente possono emergere durante una seduta. Potrebbe trattarsi di un controtransfert negativo. Allo stesso modo, comportamenti come la modifica della postura o il mantenimento di un contatto visivo eccessivo possono riflettere una risposta emotiva del professionista;
- tendenza a evitare o favorire determinate discussioni: il terapeuta potrebbe evitare inconsciamente di esplorare determinate tematiche perché generano disagio emotivo o, al contrario, spingere in modo eccessivo su certi argomenti a causa di un coinvolgimento personale. Questo può accadere, per esempio, quando il terapeuta ha vissuto esperienze simili a quelle del paziente e prova il bisogno di guidare il paziente verso soluzioni che rispecchiano i propri vissuti;
- reazioni di eccessiva cura o distacco: nel primo caso, il terapeuta può sentire un bisogno forte di "salvare" il paziente, superando i limiti della neutralità professionale. Nel secondo caso, il terapeuta potrebbe distanziarsi emotivamente, chiudendosi al coinvolgimento con il paziente per evitare il confronto con sentimenti difficili;
- sogni o pensieri inconsci: alcuni terapeuti possono notare che i pazienti compaiono nei loro sogni in ruoli che riflettono la dinamica della terapia o aspetti non affrontati durante le sedute.
Come gestire il controtransfert
Abbiamo visto come il controtransfert sia il risultato delle emozioni che il paziente suscita nel terapeuta.
Allo stesso modo, le risonanze sono il risultato di similitudini nella storia, nei vissuti infantili o familiari che “risuonano” dentro al terapeuta e che portano a un’identificazione con l’altro.
Entrambe possono essere utilizzate come strumenti dal professionista per comprendere a fondo i vissuti della persona che ha davanti e guidarla nella danza tra vicinanza e comprensione, offrendo nuovi punti di vista molto distanti da quelli del paziente.
I rischi maggiori di questo approccio potrebbero essere quelli di colludere con le modalità che il paziente porta, perché troppo vicine alla modalità del terapeuta, oppure quella di interpretare con le sue premesse le storie e le emozioni dell’altro.
Sulla collusione del terapeuta si è concentrato lo psicanalista e psichiatra Otto Kernberg (1984), in particolare in riferimento al controtransfert con paziente narcisista. In questi casi è fondamentale che il professionista sia ben consapevole dei propri vissuti in modo da non alterare il setting.
L’antidoto, come suggerito già da Freud, è quello del lavoro sul sé professionale, anche attraverso incontri di supervisione e intervisione. Lo psicologo deve fare in modo di entrare nella relazione terapeutica spogliato delle sue premesse, o quanto meno consapevole delle proprie emozioni, in modo che eventuali controtransfert non determinino la fine della terapia.